11 maggio 2013

Festa della mamma e riconoscenza sociale


La seconda domenica di maggio è tradizionalmente dedicata alla Festa della mamma. Ben venga almeno una volta l’anno l’occasione di omaggiare non solo le nostre mamme, ma «la mamma» e più in generale «la donna», che da che mondo è mondo incarna l’idea stessa di maternità. Purtroppo anche questa ricorrenza, come quella del 1° maggio dedicata al lavoro, più che un evento da festeggiare dovrebbe essere stimolo alla riflessione sul disagio sociale e sulla crisi delle famiglie.

Mi riferisco specialmente alla situazione italiana, dove le mamme sono le più colpite. Sono le prime ad essere licenziate, le prime a far fronte a una eventuale riduzione del bilancio familiare, le prime a fare rinunce. Spesso, purtroppo, sono anche le prime a rinunciare a ulteriori maternità perché i figli costano troppo!

Mancanza di una vera politica familiare
Anche in Svizzera, dove la situazione è comunque molto migliore di quella italiana, secondo una recente statistica, in una coppia con uno o più figli sotto i 25 anni, l’88% dei padri svolge un’attività professionale a tempo pieno, ma solo il 17% delle madri. Il 61% delle madri svolge un’attività professionale a tempo parziale, mentre la percentuale dei padri si ferma al 7,8%. E’ ancora molto diffusa l’opinione che il lavoro fuori casa delle madri sia solo accessorio e complementare a quello degli uomini e non un diritto.
In questi ultimi anni, i media italiani, troppo attratti dai giochi spesso indecorosi della politica, hanno sottovalutato e trascurato (salvo sbattere in prima pagina casi di femminicidio e infanticidio) il crescente disagio delle famiglie, la piaga della disoccupazione giovanile, i tanti giovani adulti costretti a stare in casa perché senza lavoro, la carenza di adeguate strutture di assistenza e di sostegno (consultori, asili nido, doposcuola, ecc.). La politica familiare sta accumulando gravi ritardi, fatta eccezione per le detrazioni fiscali per i figli a carico.
La famiglia dovrebbe tornare al centro dell’attenzione e dell’azione politica, come in diversi articoli prevede la Costituzione italiana. Ne cito uno per tutti (art. 31): «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità e l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». C’è ancora molto da fare.

La mamma è come un albero grande
Diceva una vecchia poesia (di Francesco Pastonchi) che mia mamma mi recitava quand’ero bambino: «Una mamma è come un albero grande / che tutti i suoi frutti dà: / per quanti gliene domandi / sempre uno ne troverà. / Ti dà il frutto, il fiore e la foglia, / per te di tutto si spoglia, / anche i rami si toglierà…». Per questo, credo, nessun figlio dovrebbe mai sottrarsi al dovere della riconoscenza, ma nemmeno la società. Mettere al mondo dei figli, accudirli, educarli e farli crescere, è una funzione altamente sociale e una responsabilità enorme, che comporta soprattutto nelle mamme grandi sacrifici e rinunce. Per questo esse meritano anche la solidarietà e la riconoscenza sociale.
Una forma moderna di solidarietà dovrebbe consistere anzitutto in un ripensamento profondo dell’attuale distribuzione del lavoro nella società e nell’ambito familiare, cominciando dalla stessa nozione di «lavoro», riservata abitualmente all’attività professionale fuori casa. Ancora oggi si esita a considerare «lavoro» l’attività che svolgono in casa le mamme. Persino il noto giornalista ticinese di origine italiana Michele Fazioli, in un bel pezzo sul Corriere del Ticino («Piccolo elogio della madre casalinga»), tentenna tra «madre casalinga» e «madre lavoratrice» e scrive: «la madre che non lavora, diciamo la casalinga (…) dovrebbe essere valorizzata, dovrebbe essere riconosciuta come forza produttiva in senso morale ed economico…». A mio parere, bisognerebbe dire senza esitazione alcuna che anche l’attività domestica compiuta prevalentemente dalle donne è «lavoro», sebbene non retribuito. Del resto è quel che fa già da diversi anni l’Ufficio federale di statistica (UST) quando calcola il valore monetario del lavoro casalingo non remunerato, mettendolo in relazione con il valore aggiunto lordo totale della Svizzera.

I «lavori domestici»
Ritengo un errore e un difetto che nell'opinione pubblica non si sia ancora riusciti a rivalutare adeguatamente anche sotto l’aspetto reddituale l’educazione dei figli, l’assistenza ai membri bisognosi di una famiglia, le attività per mandare avanti una casa e una famiglia. Eppure basterebbe pensare al costo di un’attività di assistenza ad un familiare bisognoso, qualora, invece di essere svolta da una persona di famiglia, generalmente una donna, venisse affidata a un o una badante. Lo stesso esempio si potrebbe applicare per analogia a quasi tutte le altre attività svolte dalle donne nell'ambito familiare (pulizie di casa, cura dei bambini, ecc.).
Un altro aspetto concreto della solidarietà, soprattutto tra le coppie, sarebbe una nuova e più equa ripartizione dei lavori domestici. Da una recente statistica risulta che in Svizzera, dove la situazione è per diversi aspetti migliore di quella italiana, ben tre quarti delle donne viventi in famiglie composte da coppie con figli di età inferiore a 15 anni assumono da sole la responsabilità principale per i lavori domestici. E’ vero che oggi si registra un numero crescente di coppie (soprattutto tra i giovani) che assicurano la gestione congiunta della casa, ma quando si raggiungerà un giusto equilibrio?
Ci vorrà sicuramente del tempo perché comporta un cambiamento di mentalità, ma occorre cominciare subito. Altrimenti ad ogni «festa della mamma» ci si ritroverà con gli stessi problemi.
Giovanni Longu
Berna, 11 maggio 2013

08 maggio 2013

Alla culla della Confederazione


Sabato 27 aprile, nonostante un tempo per nulla primaverile, circa 40 allievi dell’Università delle tre età di Soletta hanno partecipato a una escursione culturale attorno al Lago dei Quattro Cantoni. Al termine di un corso finalizzato a conoscere meglio la Svizzera si è ritenuto utile andare a visitare sia pure velocemente i luoghi che hanno visto nascere la Confederazione.

Durante il corso, gli allievi avevano sentito parlare di Guglielmo Tell, dei tre Cantoni primitivi (Waldstätte) Uri, Svitto e Untervaldo, del Patto del Grütli, delle lotte per l’indipendenza dagli Asburgo, delle battaglie di Morgarten e di Sempach, del formarsi della Confederazione. Ma si sa fin dai tempi di Aristotele che l’informazione resta ancor più viva se legata a immagini visive. Per questo è stato organizzato il giro attorno al Lago dei Quattro Cantoni, fra l’altro una delle regioni più belle e più visitate della Svizzera.
Evidentemente non è facile rendersi conto delle condizioni di vita degli uomini e delle donne che abitavano quei posti attorno al 1300, ma già osservando il territorio, costituito da strette vallate, fitti boschi e monti incombenti, si possono capire le difficoltà di comunicazione di allora, la limitatezza degli scambi, l’isolamento di quelle popolazioni abituate da secoli a contare esclusivamente sulle proprie forze e a vivere in pace.

Tra mito e realtà
Altdorf, Monumento a Guglielmo Tell
Gli allievi sapevano anche che alla morte dell’imperatore tedesco Rodolfo d'Asburgo (15 luglio 1291), da cui dipendeva politicamente quella regione, le popolazioni locali tentarono di coalizzarsi per sottrarsi al dominio straniero. Nel corso della gita, quando dalla cittadina di Brunnen si osservò dall'altra parte del lago il famoso «praticello del Grütli», fu per molti una sorpresa sentir dire dalla guida che nel 1291 su quel prato non fu stipulato alcun accordo, pur essendo vero che in quel periodo le popolazione di Uri, Svitto e Untervaldo erano alleate contro chi pretendeva di tenerle sottomesse. La formazione della Confederazione fu in realtà un processo lento e difficile.
Della leggenda di Guglielmo Tell si è avuto modo di parlare soprattutto ad Altdorf, davanti al celebre monumento al mitico eroe nazionale. Nel piedistallo della statua oltre alla dedica a Guglielmo Tell figurano due date: 1307 (in alto) e 1895 (in basso). Mentre quest’ultima ricorda l’anno dell’inaugurazione del monumento, la prima indica la credenza assai diffusa che l’inizio della Confederazione fosse da collocare nel 1307 e non nel 1291. Ma è strano che sul monumento fosse stata incisa quella data, sebbene fin dal 1891 il Consiglio federale avesse dichiarato ufficialmente il 1291 l’«anno di fondazione» della Confederazione.

Morgarten e Sempach
Sono invece fatti storici le battaglie di Morgarten, di cui si è visto un bell'affresco sul municipio di Svitto, e di Sempach, entrambe vinte dai confederati (ai tre Cantoni primitivi si era aggiunta nel frattempo Lucerna) contro gli Asburgo che non si rassegnavano a perdere i territori svizzeri. A ricordo di quest’ultima battaglia (1386), su una collina vicino alla cittadina omonima, fu edificata una chiesetta.
Monumento a Winkelried
Sul luogo della battaglia, appena fuori della chiesetta, fu eretto un monumento in granito in onore di un’altra Arnold von Winkelried. Secondo certi racconti molto posteriori, si sarebbe gettato contro il nemico che stava per sopraffare i confederati, attirando su di sé le lance dei cavalieri asburgici ma aprendo così una breccia che consentì agli svizzeri di dividere e poi sconfiggere gli avversari.
figura mitica della storia svizzera,
Il Winkelried era ritenuto originario di Stans, capitale di Nidvaldo, dove nel 1865 venne eretto in suo onore un monumento e dove esiste anche la presunta casa a lui appartenuta (Winkelriedhaus), oggi sede Museo della cultura e degli usi del Cantone Nidwaldo. La piazzetta centrale di Stans è dominata dalla chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro, in stile neorinascimentale, al cui interno si trovano numerosi riferimenti alla storia svizzera, non sempre pacifica. Nel 1481, per comporre i forti disaccordi tra i confederati dei primi otto Cantoni svizzeri ed evitare una probabile guerra civile, proprio a Stans nel corso di un incontro dei vari rappresentanti intervenne autorevolmente San Nicolao della Flüe, originario di Flüeli nel Cantone di Obvaldo. A seguito del suo intervento pacificatore tutti i delegati firmarono un nuovo patto federale, la «Convenzione di Stans», che vietava qualsiasi aggressione fra Cantoni e obbligava ciascuno a intervenire in soccorso di un Cantone aggredito.

Religiosità diffusa
Una caratteristica di questa regione che durante la gita non poteva restare inosservata è sicuramente la diffusa religiosità. Impossibile non rilevare, attraversando in autobus gli abitati o visitando le varie città, gli innumerevoli segni della matrice cristiana di queste località. Ovunque si notano chiese, monasteri, croci, cappelle. E se la Confederazione è nata e si è formata in queste regioni attorno al Lago dei Quattro Cantoni, non deve meravigliare se la Costituzione federale comincia ancora oggi con l’invocazione «In nome di Dio Onnipotente». Anche il primo documento federale (1291) conservato nell'Archivio di Svitto comincia: «Nel nome del Signore, così sia».
Svitto, davanti al Rathaus
Purtroppo a Svitto non è stato possibile visitare l’Archivio dei Patti federali, ma credo sia stato sufficiente sostare nella piazza centrale (Dorfplaz) per respirare quell'aria che sa di antico di fronte al vecchio Municipio (Rathaus) o alla chiesa barocca di San Martino. Le pareti esterne del Municipio sono infatti rivestite di affreschi che raffigurano la Battaglia di Morgarten, il Patto del Grütli e altri momenti fondamentali della storia svizzera. Per non parlare della vecchia torre del XII-XIII secolo (Schtzturm), ma anche della bella chiesa di San Martino del secondo decennio del 700.

Lucerna
Quando si parla della Svizzera centrale inevitabilmente uno dei primi pensieri se non il primo va a Lucerna, la città più popolata e più importante della regione. Anche nella nostra gita ha rappresentato uno dei momenti principali e non bastano certo poche righe per rievocare le impressioni provate nella breve visita del centro storico.
Nel centro storico di Lucerna
Di questa città gli allievi del corso sapevano già molte cose, della sua storia antica preromana e romana e soprattutto moderna, ma anche dei suoi monumenti più celebri, a cominciare dal Ponte della Cappella (Kapellbrücke), in legno, coperto, lungo 204 metri. Ma è tutt’altra cosa calpestare quelle tavole antiche e osservare i dipinti superstiti del XVII secolo risparmiati da un terribile incendio del 1993. Come fa impressione camminare sotto l’enorme tetto del modernissimo Centro della Cultura e dei Congressi (KKL Luzern), a fianco della monumentale porta d’ingresso della stazione ferroviaria. Oppure addentrandosi nel centro storico che racchiude antichi palazzi, torri e fontane, sedi di vecchie corporazioni un tempo potenti e ricche, quando Lucerna dominava la via dei commerci tra Nord e Sud attraverso il San Gottardo.
Anche Lucerna conserva molti segni della sua origine cristiana cattolica. Due chiese in particolare meritano di essere qui ricordate, la Chiesa dei Gesuiti, che fu la prima chiesa svizzera in stile barocco e la Chiesa di San Leodegario (nota come Hofkirche). Durante la Riforma, Lucerna rimase cattolica. Nel 1845 guidò una lega di sette Cantoni cattolici e conservatori (Sonderbund), che volevano separarsi dai Cantoni protestanti radicali e liberali. L’intervento del generale Dufour, che sconfisse la lega cattolica, evitò la guerra civile e creò la premessa per scongiurarla per sempre. Nel 1848 fu infatti costituita la moderna Confederazione, che garantiva l’autonomia dei Cantoni. Lucerna, concorrente di Berna per divenirne capitale federale, non fu scelta per questa funzione, ma divenne ciononostante una delle città svizzere più conosciute a livello internazionale e una delle principali mete turistiche.
Giovanni Longu