Con la nuova legge sugli stranieri, approvata nel 1980, si voleva creare un quadro giuridico per la politica svizzera degli stranieri, adattare il diritto vigente alle concezioni prevalenti a livello nazionale e internazionale, definire meglio lo statuto degli stranieri secondo la durata della loro permanenza in Svizzera e favorire la loro integrazione. A queste intenzioni sottoscrivibili anche dagli stranieri, fu data una risposta, a giudizio delle sinistre e di molti stranieri, mediocre e su alcuni punti insoddisfacente. A non essere soddisfatte del tutto furono però le destre, che lanciarono un referendum e in votazione popolare (1982) riuscirono a bloccare la nuova legge lasciando in vigore quella vecchia del 1931. Poiché la bocciatura ebbe conseguenze pesanti e ritardanti sul processo d’integrazione degli stranieri, è lecito chiedersi a chi andrebbero attribuite le maggiori responsabilità dell’insuccesso e se anche l’atteggiamento degli stranieri vi abbia contribuito.
Perché una nuova legge?
Nel frattempo la Confederazione si era resa conto che l’immigrazione
era divenuta un fenomeno strutturale e non più legato a contingenze economiche.
Il Consiglio federale ne tenne conto avviando una nuova politica immigratoria
incentrata sulla stabilizzazione e l’integrazione della popolazione straniera.
Per consolidarla e facilitarne l’implementazione non sembrava necessario
modificare la Costituzione, come chiedevano i movimenti xenofobi con le loro
iniziative, ma sarebbe bastata una modifica radicale della legge che regolava
dal 1° gennaio 1934 la dimora e il domicilio degli stranieri.
Nel 1974 il Consiglio federale fu incaricato di elaborare
una nuova legge sugli stranieri atta a creare «un quadro giuridico per la
politica svizzera degli stranieri» che tenesse conto delle «concezioni
prevalenti a livello nazionale e internazionale» come pure dell’esigenza di «conservare
al mercato del lavoro quell'elasticità necessaria per far fronte in ogni caso
all'evoluzione della situazione economica».
I dibattiti parlamentari
I dibattiti parlamentari furono molto duri perché le
opinioni erano molto divergenti tra una destra conservatrice ossessionata dalla
paura dell'inforestierimento e una sinistra favorevole alla nuova politica
immigratoria del Consiglio federale e al miglioramento delle condizioni
generali degli stranieri. Una mediazione tra le varie posizioni non era facile.
Nella nuova legge si cercò di accogliere richieste dell’una
e dell’altra parte, confermando nell'essenziale l’impostazione della precedente
legge che si voleva sostituire. Per esempio, furono adottate misure atte a
limitare il numero degli stranieri esercitanti un’attività lucrativa allo scopo
di garantire «un rapporto equilibrato tra l'effettivo della popolazione
svizzera e quello della popolazione straniera residente». Nel decidere
l’ammissione di uno straniero, l'autorità doveva tener conto delle «esigenze
politiche, della capacità d'accoglimento del Paese, della situazione economica
e del mercato del lavoro, dei bisogni dell'insegnamento, della scienza e della
ricerca, degli aspetti umani e sociali e dei legami dello straniero con la
Svizzera».
Furono accolte nella legge anche richieste della parte più
progressista dell’Assemblea federale per assicurare agli stranieri uno statuto
giuridico che tenesse conto dei risvolti umani e della durata della loro
presenza in Svizzera e ne agevolasse l'integrazione nella comunità nazionale.
Agli stranieri venivano inoltre assicurati «i diritti fondamentali giusta il
diritto costituzionale svizzero e i trattati internazionali di cui la Svizzera
è parte». Ai titolari di un permesso stagionale o di dimora come pure ai
frontalieri venivano garantite «condizioni salariali e di lavoro usuali nella
località e nella professione».
Allo straniero venivano inoltre garantiti il diritto di
ricorso, il diritto di consultare gli atti concernenti provvedimenti nei suoi
confronti (pur con qualche limitazione), il diritto di essere udito prima di
subire decisioni finali, il diritto a svolgere un'attività politica purché non
comprometta la sicurezza interna o esterna dello Stato e qualche altro diritto.
Statuto di stagionale e ricongiungimento familiare
Nella nuova legge restavano sostanzialmente immutate le
condizioni legate al permesso stagionale e al ricongiungimento familiare. Da
almeno una decina d’anni alcune associazioni di immigrati italiani lottavano invano
per l’abolizione dello statuto di stagionale e delle limitazioni ai
ricongiungimenti familiari. Anche nei dibattiti parlamentari furono evocate più
volte queste aspirazioni, ma finì per prevalere una sorta di compromesso
consistente nel mantenere sia lo statuto di stagionale che le condizioni per il
ricongiungimento familiare, ma mitigandone gli aspetti più contestati e più
problematici.
Gli stagionali erano attivi soprattutto nell'edilizia. |
Allo stagionale veniva riconosciuto il diritto alla
trasformazione del permesso stagionale in quello annuale se, nell’arco di
quattro anni, avesse lavorato in Svizzera per almeno 32 mesi (invece dei 36
allora in vigore), con la facoltà di un’ulteriore riduzione in casi speciali.
Sui ricongiungimenti familiari dei dimoranti (annuali) la
legge migliorava la situazione perché «il dimorante dev'essere autorizzato a
far venire in Svizzera il coniuge e i figli minorenni il più tardi sei mesi
dopo il suo arrivo in Svizzera», ma le condizioni restavano le stesse, ossia
un’attività lavorativa sufficientemente stabile e disporre di un alloggio
familiare conveniente.
Referendum: soddisfatti e delusi
Trattandosi di un compromesso, la nuova legge trovò
soddisfatti e delusi da tutte le parti. I più soddisfatti erano il Consiglio
federale e il centro-destra (i cosiddetti partiti borghesi), i più delusi gli
immigrati, che potevano comunque consolarsi dei pochi miglioramenti previsti.
Le critiche più pesanti vennero tuttavia dalla destra xenofoba, che vedeva in
quei miglioramenti un incentivo all’arrivo di nuovi immigrati e all’aumento della
popolazione residente straniera.
Fu questa destra a lanciare il referendum
e a provocare la votazione popolare del 6 giugno 1982, che affossò la legge,
sia pure per una manciata di voti. La campagna referendaria della destra fu
poco contrastata dalle sinistre e dai sindacati, probabilmente illusi dalla
serie di sconfitte subite nel decennio precedente dai movimenti xenofobi e poco
convinti di dover difendere i pochi risultati ottenuti.
Anche gli italiani e le loro principali organizzazioni si
erano illusi che quella legge, proprio perché mediocre, non sarebbe stata
ostacolata dai votanti e non presero sul serio la possibilità di una bocciatura.
Forse molti erano anche convinti che non meritasse affatto una difesa,
sottovalutando le possibilità che offriva e il rischio di perdere un’occasione che
difficilmente si sarebbe ripresentata nel breve periodo.
Nessuna, tra le grandi organizzazioni degli immigrati, si
prese anche solo un po’ di responsabilità dell’accaduto. Anzi, tutte
continuarono a battersi per l’abolizione dello statuto dello stagionale (invece
condannarne gli abusi e di cercare di migliorarlo), a reclamare diritti che gli
stranieri immigrati non potevano pretendere (invece di valorizzare quelli che
già avevano), a sottolineare differenze, contrasti, presunte discriminazioni
(invece di promuovere dialogo, stima reciproca, collaborazione), ad avere
sempre l’occhio fisso sul Paese d’origine (senza mai guardare con interesse
anche a quello ospite per renderlo più accogliente e generoso). La strada verso
la piena integrazione era evidentemente ancora lunga.
Giovanni Longu
Berna, 2.2.2022