15 maggio 2009

Quanta confusione nella politica verso gli stranieri!

Quanta confusione nella politica verso gli stranieri!
Il tema dell’immigrazione, in Italia, sta diventando una sorta di guerra di religione. In comune tutte le posizioni hanno la confusione delle parole o meglio dei significati attribuiti alle stesse.
Il termine emigrante - che dovrebbe fare accapponare la pelle perché nella storia d’Italia ha significato per oltre un secolo sradicamento, ingiustizie, sofferenze materiali e morali – dovrebbe essere trattato con cautela e con grande rispetto. Invece è bistrattato.
Nella discussione parlamentare di questi giorni sulla sicurezza, i fautori di una politica rigida hanno dato talvolta l’impressione di confondere i «migranti» con «clandestini», e questi con i «delinquenti» comuni. Di più, per certuni, il semplice avvistamento in acque internazionali di un barcone con molte persone a bordo equivale a una minaccia alla sovranità nazionale da respingere facendo intervenire la marina militare. Per poi vantarsi di averne respinti tanti, come se si trattasse di una vittoria contro pericolosi invasori! Ad accrescere la confusione è intervenuta anche la nozione di «reato di clandestinità» (mentre forse sarebbe bastata quella di «infrazione» amministrativa), inducendo facilmente l’opinione pubblica a criminalizzare chiunque tenti di entrare in Italia senza i documenti in regola al solo scopo di trovare un lavoro.
Sul versante degli oppositori alla politica della fermezza perseguita dal governo, i «clandestini» appaiono invece come i paria degli emigranti, doppiamente discriminati, perché perseguitati (almeno dalla miseria) nel loro Paese di provenienza e perché respinti dai Paesi ricchi gelosi del proprio benessere. A loro difesa s’invocano norme internazionali, richiami delle nazioni Unite, la tradizione umanitaria italiana, l’obbligo internazionale a rispettare il diritto d’asilo. Per qualcuno, l’approvazione delle nuove misure di sicurezza «introduce nell’ordinamento italiano una serie di misure restrittive nei confronti dei cittadini immigrati, che agiscono nella sfera dei diritti fondamentali e della dignità umana».
Quanta confusione! Eppure almeno la distinzione tra «cittadini immigrati», «immigrati clandestini» e «richiedenti l’asilo» dovrebbe essere chiara a tutti. Non tenerne conto significa fare della demagogia e allontanare le possibilità di dialogo tra maggioranza e opposizione, che sarebbe stato quanto mai utile per approvare un provvedimento legislativo sicuramente migliorabile. Ma significa anche accomunare, almeno in molti settori dell’opinione pubblica, stranieri immigrati nella legalità e stranieri «clandestini» che di per sé non hanno i requisiti per essere considerati «immigrati regolari».
Trattandosi di una materia complicata e delicata, sarebbe stato preferibile un approccio realistico e non ideologico. Sarebbe bastato ispirarsi al «Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo», dove è detto chiaramente che l’Europa non può accogliere «degnamente» tutti coloro che sperano di trovare in essa una vita migliore.
Il Patto europeo avverte che «un'immigrazione mal controllata può pregiudicare la coesione sociale dei paesi di destinazione. L'organizzazione dell'immigrazione deve pertanto tener conto delle capacità d'accoglienza dell'Europa sul piano del mercato del lavoro, degli alloggi, dei servizi sanitari, scolastici e sociali nonché proteggere i migranti dal rischio di sfruttamento da parte di reti criminali». Pertanto occorre «organizzare l'immigrazione legale tenendo conto delle priorità, delle esigenze e delle capacità d'accoglienza stabilite da ciascuno Stato membro e favorire l'integrazione; combattere l'immigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno nel loro paese di origine o in un paese di transito, degli stranieri in posizione irregolare; - rafforzare l'efficacia dei controlli alle frontiere; costruire un'Europa dell'asilo».
La scelta del governo italiano, vista in quest’ottica, può essere ritenuta ineccepibile, ma con l’apporto delle opposizioni avrebbe potuto essere diversa nei modi e nei contenuti, pur mantenendo fermi gli obiettivi.
Personalmente mi sarei anche aspettato un sostanziale contributo in questa direzione da parte dei parlamentari eletti all’estero. Essi sanno bene quanto è costato, qui in Svizzera, l’arrivo in massa di immigrati italiani sul finire dell’Ottocento e poi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Benché si trattasse di flussi regolari e «controllati», la loro presenza massiccia, giustificata solo da motivi economici, ma non sopportata dal contesto sociale, provocò vasti movimenti xenofobi e aspri contrasti. In certi periodi gli italiani erano mal visti, disprezzati, marginalizzati, evitati, segregati. Con nessuna componente etnica si è registrato in questo Paese un ritardo così importante nel processo d’integrazione.
Lungi da me giustificare i soprusi e i torti subiti dai nostri immigrati, ma la storia dovrebbe insegnare che per evitare il rifiuto sociale degli stranieri l’immigrazione va «governata» al fine di renderla non solo accettabile ma anche elemento vitale dell’economia e della società italiana, che è con buona pace di Berlusconi, almeno tendenzialmente multietnica.
E’ sul fronte dell’integrazione, che maggioranza e opposizione dovrebbero trovare un ampio consenso, in modo che si diffonda nel Paese un atteggiamento di apertura e di accoglienza verso gli immigrati e in questi il senso del rispetto non solo delle leggi, ma anche dei costumi della società ospite, e la volontà di contribuire al bene comune. In questo campo, i parlamentari eletti all’estero possono senz’altro dare molto. Speriamo!
Giovanni Longu
Berna 15.5.2009
Inform / Aise / italiachiamaitalia / politicamentecorretto / Calabresi

14 maggio 2009

Ex allievi del Cisap - Gran bell'incontro a Berna

Nessuna soddisfazione è più grande per un insegnante di quella di vedere i propri allievi realizzare i propri sogni, superando le più rosee previsioni. E’ vero, la riuscita professionale di una persona non dipende solo dalla scuola, ma questa può rappresentare talvolta un trampolino di lancio se oltre ai traguardi immediati sa rendere appetibili e raggiungibili obiettivi più lontani e apparentemente impossibili.
Una scuola particolare
A Berna e in altre località della Svizzera, è stata attiva fino al 2001 una scuola particolare, il CISAP (un nome che forse molti lettori ricordano, anche se è ormai scomparso dalle cronache da quasi un decennio), che ha immesso nel mercato del lavoro svizzero per circa quarant’anni (dal 1966 al 2001) alcune migliaia di giovani qualificati in diverse professioni dell’industria e dell’artigianato. Ma la sua particolarità non derivava da questa caratteristica.
Il CISAP era una scuola particolare perché era nata a metà degli anni Sessanta all’interno del mondo migratorio, per sopperire ad alcune gravi deficienze della politica tanto italiana che svizzera in materia di emigrazione/immigrazione. Era il periodo in cui i «Gastarbeiter» (lavoratori ospiti!) arrivavano in massa dall’Italia, senza un’adeguata informazione e preparazione. Gli accordi tra i due Paesi, che regolavano l’arrivo e il soggiorno di questi lavoratori, ignoravano qualsiasi possibilità di recupero del deficit scolastico, linguistico e formativo di molti di essi. Non era prevista alcuna forma di perfezionamento professionale, perché mancavano del naturale presupposto, ossia la formazione di base.
Nessuno, a livello politico e persino sindacale, si rendeva conto che era indispensabile dare a questi immigrati la possibilità di apprendere un mestiere secondo il paradigma collaudatissimo svizzero e per questa strada una possibilità di riuscita professionale (nell’interesse dell’economia) e sociale (nell’interesse di una sana e proficua integrazione).
Il CISAP come una «stella»
Per circa quarant’anni, surrogando le istituzioni ma fortunatamente col loro sostegno quasi dall’inizio, il CISAP (inizialmente acronimo di «Centro italo-svizzero di addestramento professionale») ha svolto egregiamente questa funzione di recupero e di perfezionamento. Attraverso una strutturata formazione teorica e pratica, questa scuola trasformava in pochi anni manovali e aiutanti in tornitori, fresatori, attrezzisti, congegnatori meccanici, automeccanici, elettrauto, installatori, disegnatori tecnici, elettronici, informatici qualificati. Anche in questo consisteva la particolarità di questa scuola.
Per molti lavoratori emigrati la qualifica professionale rappresentava una riuscita strepitosa. Non va dimenticato che soprattutto negli anni Sessanta e Settanta la stragrande maggioranza dei nuovi immigrati, provenienti prevalentemente dal Sud Italia, non possedeva alcuna qualifica professionale, certamente non del tipo richiesto dall’economia svizzera. Raggiungere il traguardo della qualifica professionale significava allora molto più che adesso conseguire lo stato sociale condiviso dalla maggior parte degli svizzeri.
Per la capacità con cui riusciva a formare in pochi anni abili lavoratori qualificati, comparabili a quelli che avevano seguito il tradizionale apprendistato svizzero, il CISAP otteneva da ogni parte ampi riconoscimenti. Per molti immigrati era divenuto come una «stella» (così disse nel 1990 un rappresentante dell’industria svizzera), che irradiava luce, sapere e speranza.
Quando, sul finire degli anni Novanta, si era definitivamente esaurito il tradizionale filone migratorio dall’Italia, anche per il CISAP venne meno la sua originaria funzione e la scuola chiuse i battenti, mettendo i sigilli praticamente ad una delle pagine più interessanti, più creative e più belle della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera. Una pagina che ancora vive nel ricordo di chi l’ha scritta e soprattutto l’ha vissuta.
Incontro di ex allievi del CISAP
L’8 maggio scorso, alla Casa d’Italia di Berna, si è tenuto un primo incontro informale di ex allievi del CISAP, una trentina, forse un campione senza alcuna validità statistica, ma ugualmente ricco di significato. Si trattava di un incontro aperto a tutti gli ex allievi che ne fossero venuti a conoscenza attraverso l’efficace sistema del passaparola o di cui era noto ai promotori un indirizzo di posta elettronica. Si sapeva che solo una minima parte dei potenziali interessati sarebbe stata raggiunta, ma non si voleva di più, perché lo scopo era quello di testare, anche in un piccolo gruppo, l’interesse a creare una sorta di rete di AMICIS (Amici del Cisap).
In realtà era fortissimo in tutti anche l’interesse a conoscere che risultati avesse prodotto l’esperienza al CISAP. Per questo, all’invito rivolto principalmente agli ex allievi, hanno aderito anche alcuni ex insegnanti residenti nella regione di Berna. Per loro era più che legittima la curiosità di verificare il grado di riuscita dei loro allievi. Ma anche a questi non sembrava vero poter incontrare vecchi compagni di corso e mettere a confronto la propria carriera professionale con la loro.
Inutile dire che l’incontro ha avuto un grande successo, forse al di là delle aspettative. Poiché si pensava che le conoscenze tra gli ex allievi sarebbero state limitate a due o tre persone, era stato previsto che ciascuno dei partecipanti si presentasse, partendo dall’esperienza «cisappina» per continuare con le attività professionali successive e attuali. L’attenzione con cui ciascuno seguiva l’autobiografia professionale degli altri era impressionante. Ne è scaturito un forte desiderio di ritrovarsi ancora, magari in una cornice diversa ma ugualmente suggestiva, caratterizzata da uno spirito gioviale e amichevole.
Una grande emozione
In qualità di ex insegnante di cultura generale (che amava ricordare i famosi versi di Dante messi in bocca al naufrago Ulisse per motivare i suoi compagni e sottrarli alla disperazione: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza») devo confessare di aver provato una grande emozione nel sentire che praticamente tutti gli ex allievi presenti avevano trovato subito dopo la scuola un’occupazione corrispondente alla qualifica raggiunta e che molti di essi avevano potuto proseguire la formazione e migliorare la propria posizione professionale.
Avevo contribuito, insieme ad altri, a formare semplici lavoratori qualificati e l’8 maggio scorso ho ritrovato, dopo oltre vent’anni, alcuni ex allievi divenuti nel frattempo quadri medi e superiori di piccole e medie imprese, product manager, ingegneri, architetti, responsabili di settore, addetti alle vendite, consulenti, designer, piccoli imprenditori. Che emozione!
Durante la formazione al CISAP era forse prevedibile che alcuni ex allievi non si sarebbero fermati alla semplice (si fa per dire!) qualifica, ma nessuno probabilmente immaginava i livelli che molti di essi avrebbero effettivamente raggiunto. Per realizzare i loro sogni molti hanno frequentato istituti tecnici, università professionali, corsi di specializzazione in Svizzera e all’estero (alcuni negli Stati Uniti), accademie, ecc.
A queste persone va riconosciuto il merito delle loro scelte, del loro impegno, dei sacrifici che hanno dovuto affrontare (spesso insieme alle loro famiglie) e pertanto del loro successo. Eppure, tutti i partecipanti all’incontro dell’8 maggio si sono sentiti in dovere di riconoscere il contributo importante che ha avuto il CISAP nella loro carriera professionale.
Ma se questi giovani, indubbiamente motivati e volenterosi, sono andati ben oltre il certificato conseguito in quella scuola, si deve anche dire ch’essa aveva dell’eccezionale, non solo come scialuppa di salvataggio, ma come centro d’integrazione e di promozione. Un esempio, il CISAP, da tener presente anche nei discorsi, talvolta vuoti di contenuto, sull’integrazione. A questo traguardo ci si può arrivare in tanti modi, ma quello forse più sicuro è una formazione scolastica e professionale conforme alle esigenze della società in cui si vive.
Giovanni Longu
Berna, 15.5.2009 (Rinascita)

12 maggio 2009

Ex allievi del CISAP: una riuscita al di là delle aspettative!

Nessuna soddisfazione è più grande per un insegnante di quella di vedere i propri allievi realizzare i propri sogni, magari al di là delle previsioni. E’ vero, la riuscita professionale di una persona dipende da molteplici fattori, ma uno di questi è indubbiamente la scuola frequentata.
A Berna e in altre località della Svizzera, è stata attiva fino al 2001 una scuola particolare, il CISAP (un nome che forse molti lettori ricordano, anche se è ormai scomparso dalle cronache da quasi un decennio), che ha immesso nel mercato del lavoro svizzero per circa quarant’anni (dal 1966 al 2001) alcune migliaia di giovani qualificati in diverse professioni dell’industria e dell’artigianato. Ma la sua particolarità non derivava da questa caratteristica.
Il CISAP era una scuola particolare perché era nata a metà degli anni Sessanta all’interno del mondo migratorio, per sopperire ad alcune gravi deficienze della politica tanto italiana che svizzera in materia di emigrazione/immigrazione. Era il periodo in cui i «Gastarbeiter» (lavoratori ospiti!) arrivavano in massa dall’Italia, senza un’adeguata informazione e preparazione. Gli accordi tra i due Paesi, che regolavano l’arrivo e il soggiorno di questi lavoratori, ignoravano qualsiasi possibilità di recupero del deficit scolastico, linguistico e formativo di molti di essi. Non era prevista alcuna forma di perfezionamento professionale, perché mancavano del naturale presupposto, ossia la formazione di base.
Nessuno, a livello politico e persino sindacale, si rendeva conto che era indispensabile dare a questi immigrati la possibilità di apprendere un mestiere secondo il paradigma collaudatissimo svizzero e per questa strada una possibilità di riuscita professionale (nell’interesse dell’economia) e sociale (nell’interesse di una sana e proficua integrazione).
Per circa quarant’anni, surrogando le istituzioni ma fortunatamente col loro sostegno quasi dall’inizio, il CISAP (inizialmente acronimo di «Centro italo-svizzero di addestramento professionale») ha svolto egregiamente questa funzione di recupero e di perfezionamento. Attraverso una strutturata formazione teorica e pratica, questa scuola trasformava in pochi anni manovali e aiutanti in tornitori, fresatori, attrezzisti, congegnatori meccanici, automeccanici, elettrauto, installatori, disegnatori tecnici, elettronici, informatici qualificati. Anche in questo consisteva la particolarità di questa scuola.
Per la capacità con cui riusciva a formare in poco tempo abili professionisti comparabili a quelli che avevano seguito il tradizionale apprendistato, il CISAP otteneva da ogni parte ampi riconoscimenti. Per molti immigrati era divenuto come una «stella» (così disse nel 1990 un rappresentante dell’industria svizzera), che irradiava luce, sapere e speranza. Poi, col venir meno della sua originaria missione per l’esaurirsi del filone migratorio italiano, la scuola chiuse i battenti, mettendo i sigilli praticamente ad una delle pagine più interessanti, più creative e più belle, della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera.
Incontro di ex allievi del CISAP
L’8 maggio scorso se n’è avuta un’ulteriore conferma. Alla Casa d’Italia di Berna si è tenuto un primo incontro informale di ex allievi del CISAP, una trentina, forse un campione senza alcuna validità statistica, ma obiettivamente significativo. Si trattava di un incontro aperto a tutti gli ex allievi che ne fossero venuti a conoscenza attraverso l’efficace sistema del passaparola o di cui era noto ai promotori un indirizzo di posta elettronica. Si sapeva che solo una minima parte dei potenziali interessati sarebbe stata raggiunta, ma non si voleva di più, perché lo scopo era quello di testare, anche in un piccolo gruppo, l’interesse a creare una sorta di rete di AMICIS (Amici del Cisap). Per l’occasione erano stati invitati anche alcuni ex insegnanti residenti nella regione di Berna.
Inutile dire che l’incontro ha avuto un grande successo, forse al di là delle aspettative. Poiché ci si conosceva solo a gruppetti di due o tre, era stato previsto che ciascuno dei partecipanti si presentasse, partendo dall’esperienza «cisappina» per continuare con le attività professionali successive e attuali. L’interesse di ciascuno a conoscere la biografia professionale degli altri era evidente.
In qualità di ex insegnante di cultura generale (che amava ricordare i famosi versi di Dante messi in bocca al naufrago Ulisse per motivare i suoi compagni e sottrarli alla disperazione: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza») devo confessare di aver provato una grande emozione nel sentire che praticamente tutti gli ex allievi presenti avevano trovato subito dopo la scuola un’occupazione conforme alla qualifica raggiunta e che molti di essi avevano potuto proseguire la formazione e migliorare la propria posizione professionale.
Avevo contribuito, insieme ad altri, a formare semplici lavoratori qualificati e l’8 maggio scorso ho ritrovato, dopo oltre vent’anni, alcuni ex allievi divenuti nel frattempo quadri medi e superiori di piccole e medie imprese, product manager, ingegneri, architetti, responsabili di settore, addetti alle vendite, consulenti, designer, piccoli imprenditori. Che emozione!
Durante la formazione al CISAP era forse prevedibile che alcuni ex allievi non si sarebbero fermati alla semplice (si fa per dire!) qualifica, ma nessuno probabilmente immaginava i livelli che molti di essi avrebbero effettivamente raggiunto. Per realizzare i loro sogni molti hanno frequentato istituti tecnici, università professionali, corsi di specializzazione in Svizzera e all’estero (alcuni negli Stati Uniti), accademie, ecc.
A queste persone va riconosciuto il merito delle loro scelte, del loro impegno, dei sacrifici che hanno dovuto affrontare (spesso insieme alle loro famiglie) e pertanto del loro successo. Eppure, tutti i partecipanti all’incontro dell’8 maggio si sono sentiti in dovere di riconoscere il contributo importante che ha avuto il CISAP nella loro carriera professionale.
Ma se quei giovani, indubbiamente motivati e volenterosi, sono andati ben oltre il certificato conseguito in quella scuola, si deve anche dire ch’essa aveva dell’eccezionale, non solo come ancora di salvataggio, ma come centro d’integrazione e di promozione.
Giovanni Longu
Berna, 13.5.2009 (L'ECO)