L’emergenza della seconda guerra mondiale e dell’immediato
dopoguerra poteva ritenersi chiusa agli inizi degli anni ’50. Per quel che
riguardava in particolare il versante sud, la presenza nel Consiglio federale
dei due ministri italofoni Motta ed Enrico Celio aveva garantito continuità e
sviluppo. Per esempio, alla carenza di manodopera nell’economia svizzera era
stata trovata una soluzione quasi ideale con l’accordo del 1948 tra la Svizzera
e l’Italia in materia d’immigrazione e, con la nomina di E. Celio a
Ministro svizzero in Italia, le buone relazioni con l’Italia si erano
consolidate, tanto che nel 1953 la Legazione italiana in Svizzera fu elevata al
rango di Ambasciata.
Fu forse la relativa stabilità dei rapporti italo-svizzeri a
indurre nel 1950 l’Assemblea federale a non eleggere un altro consigliere
federale italofono dopo le dimissioni di E. Celio (1950). E fu probabilmente un
errore. Ben presto, infatti, le rivendicazioni ticinesi a «un rappresentante
della Svizzera italiana» ripresero e i rapporti con l’Italia si complicarono
per il calo del flusso migratorio in seguito ad un improvviso rallentamento
dell’economia americana e di riflesso anche svizzera tra il 1949 e il 1952, per
alcuni imprevisti dell’accordo d’immigrazione del 1948 (problemi dei falsi
stagionali, degli immigrati irregolari, dei disagi tra la popolazione indigena,
ecc.) e non da ultimo per il pericolo del comunismo, che sembrava minacciare
l’Italia e preoccupava la Svizzera.
Giuseppe Lepori (1902-1968)
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Giuseppe Lepori (1902-1968) |
In questo contesto, l’elezione nel 1954 in Consiglio
federale del conservatore ticinese Giuseppe Lepori fu una sorta di correzione
di rotta, anche se risultava soprattutto da un accordo tattico tra conservatori
e socialisti, che prevedeva subito l’appoggio dei socialisti alla candidatura
Lepori quale «rappresentante della Svizzera italiana» e il sostegno futuro dei
conservatori all’elezione in governo di due socialisti (invece di uno solo come
avveniva fino ad allora dal 1943), in modo che i tre grandi partiti
(socialisti, radicali e conservatori) avessero ciascuno due seggi e i
democratici di centro un seggio. L’occasione si presenterà pochi anni dopo quando
insieme a Lepori dimissioneranno altri tre consiglieri federali e per la prima
volta entreranno in governo due socialisti, avviando così la cosiddetta
«formula magica».
Nonostante l’anomalia della sua elezione (che consentì
eccezionalmente ai conservatori di essere rappresentati in governo con tre
ministri) e aldilà della soddisfazione personale, Lepori riteneva che fosse
stato riconosciuto «il diritto della Svizzera italiana» ad essere rappresentata
in Consiglio federale e auspicava che la Confederazione si affermasse «quella
che deve veramente essere: una unione di tre stirpi, una unione di tre genti,
una unione di tre-quattro lingue che apportino tutte il fecondo seme della loro
civiltà».
Come i suoi predecessori italofoni, anche Lepori, intellettuale
di grande spessore e convinto sostenitore dell’italianità del Ticino e della
Svizzera, guardava all’Italia con giustificato interesse. Quando nel 1943, dopo
la caduta del governo Mussolini (25 luglio) e la dichiarazione dell’armistizio
da parte del governo Badoglio (8 settembre), si erano presentati alla frontiera
italo-svizzera migliaia di militari e civili italiani in cerca di rifugio e
protezione, Lepori, allora consigliere di Stato del Cantone Ticino, ebbe nei
loro confronti un atteggiamento generoso e lungimirante. Egli era convinto
della necessità di una politica d’accoglienza: «Fra i profughi attuali forse
si trovano le persone che domani saranno a capo del popolo italiano e che mai
dimenticheranno l’aiuto trovato da noi in ore tragiche. Anche se ciò non fosse,
un senso incomprimibile di fratellanza vuole che i profughi tutti siano
trattati con quel senso specificamente elvetico ispirato alla generosità…».
Di fatto migliaia di profughi furono così ben accolti da far
dire a uno di loro, il politico Luigi Gasparotto, che «nessun profugo ha
potuto sfuggire alla cordialità ticinese». Va anche aggiunto che fu in buona
parte una vittoria dell’autonomia ticinese (e di Giuseppe Lepori in
particolare, allora alla guida del Dipartimento cantonale di giustizia e polizia)
su tanti «divieti» di Berna l’aver consentito a molti ex-profughi di prepararsi
alla fase post-fascista con discussioni, pubblicazioni di libri e articoli di
giornale firmati spesso con pseudonimi (per evitare la censura).
Nello Celio (1914-1995)
Dopo le dimissioni di Giuseppe Lepori per motivi di salute
(1959), l’Assemblea federale sembrò dimenticarsi nuovamente della Svizzera
italiana, che dovette attendere dodici anni prima dell’elezione di un altro suo
rappresentante, Nello Celio (1967-1973). Anche la sua elezione fu
dettata da motivazioni interne più che internazionali o di rappresentanza delle
varie lingue e culture svizzere.
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Nello Celio (1914-1995) |
In quel momento la Svizzera era scossa dall’«affare dei
Mirage» (il credito autorizzato per l’acquisto di 100 aerei da combattimento sarebbe
quasi raddoppiato, se fossero stati acquistati tutti). Per la prima volta fu
istituita una commissione parlamentare d'inchiesta, che costrinse alle
dimissioni alcuni alti funzionari. Il capo del Dipartimento militare, Paul
Chaudet, sollecitato a rassegnare le dimissioni, nel 1966 rinunciò a un
nuovo mandato. Bisognava fare ordine nelle finanze federali e ridare fiducia ai
cittadini, tanto più che si era in presenza di un’inflazione molto alta.
L’elezione di Nello Celio fu molto contrastata sia in Ticino
(il partito liberale radicale ticinese ambiva da tempo al ritorno nel governo
federale dopo quasi un secolo dalle dimissioni di G.B. Pioda e all’interruzione
della lunga rappresentanza cattolico-conservatrice della Svizzera italiana, avviata
nel 1911 con Motta e proseguita con E. Celio e Lepori) che nell’Assemblea
federale (i romandi erano restii a cedere il seggio liberato dal vodese Chaudet),
ma la spuntò colui che sembrava dare maggiori garanzie per il risanamento delle
finanze federali, la lotta all’inflazione e lo sviluppo economico, l’apertura
alle problematiche sociali già dimostrata durante l’attività politica nel
Ticino.
Sebbene le considerazioni di politica di buon vicinato con
l’Italia non rientrarono nelle motivazioni che spinsero soprattutto gli
esponenti della destra economica a votare in maniera compatta a favore di
Celio, non c’è dubbio che durante tutta la sua permanenza in Consiglio federale
ha sempre avuto grande attenzione e interesse agli eventi della vicina Penisola
e ha curato con grande finezza le relazioni bilaterali ufficiali e personali.
Sull’«italianità» di Nello Celio, per non ripetere cose già
scritte più volte in passato preferisco rinviare il lettore interessato ad
alcuni articoli ed in particolare a «Nello Celio e l’immigrazione italiana» (http://disappuntidigiovannilongu.blogspot.ch/2014/02/nello-celio-e-limmigrazione-italiana.html; http://disappuntidigiovannilongu.blogspot.ch/2014/02/nello-celio-e-limmigrazione-italiana_19.html).
Desidero solo ricordare che secondo lui molti problemi (e negli anni ’60 e ’70
erano tanti) non vennero nemmeno alla luce e quindi non fecero scalpore
nell’opinione pubblica grazie ai contatti personali ch’egli aveva non solo con
esponenti del governo italiano ma anche dell’Ambasciata di Berna. Eppure c’è
ancora chi si ostina a commentare che per curare le buone relazioni con
l’Italia e il mezzo milione di italiani presenti nella Confederazione non c’è
bisogno di un consigliere federale italofono.
Flavio Cotti (*1939)
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Flavio Cotti (*1939) |
Le dimissioni di Nello Celio (1973) segnarono per diversi
anni l’assenza dell’italofonia nei ranghi del Consiglio federale, fino
all’elezione del ticinese Flavio Cotti nel 1986.
Cotti è stato, finora, l’ultimo grande consigliere federale
italofono (1987-1999) e fu senza dubbio un campione della promozione
dell’italianità nell’amministrazione federale, nel Ticino e nella Svizzera,
soprattutto durante il periodo in cui fu a capo del Dipartimento federale dell’interno.
Saggiamente egli vedeva la difesa dell’italianità non come una questione marginale
per rispettare una minoranza importante di questo Paese, ma come una questione
esistenziale per la Svizzera. Sosteneva che «per l’identità di noi svizzeri» è
di capitale importanza che il plurilinguismo sia realmente vissuto.
Da consigliere federale, Cotti è stato un convinto
federalista, ma non solo perché vedeva nel sistema istituzionale della Svizzera
uno straordinario intreccio di sovranità tra Confederazione, Cantoni e Popolo,
ma anche perché «il nostro attuale sistema federalista rappresenta la
migliore garanzia d'esistenza per le nostre minoranze».
Nei confronti dell’Italia fu un vero amico. Nel 1991, in occasione del
Settecentesimo anniversario della fondazione della Confederazione Elvetica, il
governo italiano fece omaggio alla Svizzera di un volume rievocativo dal titolo
significativo «Svizzera e Italia, per sette secoli». Nella presentazione di Flavio
Cotti, allora Presidente della Confederazione, intitolato: «Sette secoli di
amicizia tra Svizzera e Italia», sottolineava l’«amicizia sincera e profonda
che unisce – sulla scorta della prossimità geografica e di antichissime
relazioni storiche e culturali – il popolo italiano con quello svizzero» e
auspicava che «l’amicizia fra Italia e Svizzera possa ulteriormente fiorire e
svilupparsi in un quadro europeo di pace e di prosperità».
Dopo Cotti Cassis?
Per le sorti della lingua italiana nella Svizzera tedesca e
francese, per la valorizzazione dell’enorme capitale umano e culturale
«italiano» presente in Svizzera, per la coesione nazionale il rischio della
dispersione e della rassegnazione al peggio è reale. «Da quando l’onorevole
Flavio Cotti ha lasciato il suo posto a Berna le cose sono peggiorate. Segno
che la mancanza di un nostro rappresentante nell’esecutivo si fa sentire
concretamente, purtroppo, anche in questo ambito». Così diceva Renato Martinoni
nel 2005 riferendosi in particolare alla situazione della lingua italiana. Quel
giudizio mi sembra condivisibile anche oggi, estendendolo a tutto quanto è
riferibile all’«italianità». Un patrimonio da salvaguardare, per cui un
italofono in Consiglio federale appare urgente e necessario. Dopo Cotti verrà
Cassis?
Giovanni Longu
Berna, 6 settembre 2017
Berna, 6 settembre 2017