24 marzo 2010

Rapporti ancora instabili tra la Svizzera e l’Italia

Da molti mesi ormai i rapporti italo-svizzeri sono sotto l’attenzione dei media svizzeri. Purtroppo le informazioni che se ne ricavano non sono sempre come vorrebbero gli italiani che vivono in Svizzera. Dispiace soprattutto che si sia rotto quella specie di idillio che da decenni faceva registrare ad ogni incontro ufficiale che le relazioni tra i due Paesi erano «eccellenti». Probabilmente nelle dichiarazioni ufficiali si tende ad esagerare, ma non c’è dubbio che da qualche tempo, e soprattutto dall’attuazione del terzo scudo fiscale voluto dal ministro Tremonti, il clima sia mutato.
Anche se il provvedimento fiscale non ha provocato quel danno che molti ticinesi temevano, il contenzioso rimane aperto e le relazioni tra i due Paesi non sono molto migliorate. Resta infatti ancora viva, soprattutto in Ticino, la paura per la libera circolazione, anche se a detta di tutti gli studiosi, i benefici ch’essa produce sono superiori agli svantaggi. Per esempio, grazie ad essa arrivano in Svizzera principalmente lavoratori altamente qualificati, indispensabili per lo sviluppo dell’economia svizzera. In Svizzera, in particolare in Ticino, arrivano anche numerose aziende italiane che procurano nuova occupazione, e non è poco in un periodo in cui l’occupazione tende piuttosto a diminuire. Anch’esse contribuiscono a far sì che in questo Paese la crescita economica sia superiore alla media europea.
La crisi libica
Ultimamente, a turbare le relazioni bilaterali, si è inserita anche la crisi con la Libia e la sua estensione a livello europeo. L’Italia, secondo il ministro degli esteri italiano Franco Frattini, dalla vicenda che oppone Libia a Svizzera ne risulterebbe gravemente danneggiata se quest’ultima non cerca di risolvere a breve il problema dei visti Schengen. Ma le dichiarazioni di Frattini non sono piaciute ai responsabili della politica estera svizzera, che lo hanno accusato di esercitare pressione sulla parte sbagliata.
Sulla vicenda sono intervenuti anche alcuni parlamentari italiani eletti nella Circoscrizione Estero, facenti parte dell’opposizione, che hanno trovato «francamente indecente» che il ministro Frattini difenda la Libia («un governo dittatoriale») piuttosto che la Svizzera («una democrazia»). Per fortuna che l’on. Micheloni (PD), uno degli eletti, si è affrettato ad affermare di non vedere assolutamente, nelle mosse di Roma, un atteggiamento anti-elvetico e che «la reazione del governo Berlusconi è discutibile, ma va inserita nel timore di Roma di compromettere gli interessi economici e anche, forse soprattutto, l’accordo con la Libia per bloccare l’immigrazione clandestina nel Canale di Sicilia».
Certamente dispiace che la vicenda Svizzera-Libia si protragga così a lungo, e dispiace anche che a trovarsi coinvolta sia pure l’Italia, ma in questi casi la conflittualità non si risolve dando ragioni e torti da una parte o dall’altra, ma mediante soluzioni che convengano sia all’una che all’altra parte. Del resto, ad essere realisti e mettendo in primo luogo la ragion di stato, «i Paesi non hanno amici, ma interessi» (C. Blocher), un detto che dai tempi del Principe di Machiavelli non è mai stato smentito. Andrebbe però aggiunto che almeno gli alleati sono indispensabili, altrimenti le guerre solitarie si perdono.
Difficoltà interne e internazionali
E la Svizzera ha bisogno di alleati non solo per superare la crisi con la Libia, ma anche le varie difficoltà interne e internazionali del momento. All’interno si registra un certo clima di sfiducia nella politica e nelle istituzioni, soprattutto nel governo. Recentemente è stato clamorosamente battuto dal voto popolare su una sua proposta sulle pensioni. Resta sempre aperto il problema degli stranieri (integrazione e diritto di voto) e soprattutto dei «clandestini» (sans papiers) e degli stranieri delinquenti. Alcuni ministri godono sempre meno della fiducia dei cittadini e non si esclude che qualcuno non arrivi alla fine della legislatura.
All’estero le difficoltà non accennano a diminuire. Pur non essendo stata messa ko, come alcuni osservatori temevano, la Svizzera risente ancora dei duri attacchi inferti da diversi Paesi. Il consigliere federale Didier Burkhalter ha parlato di «una vera aggressione», da cui la Svizzera ha cercato di difendersi, pagando un caro prezzo d’immagine. Il bersaglio preferito non era solo il segreto bancario, ma più in generale il «sistema svizzero». E’ così che, citando una breve sintesi di Eros Costantini sul Corriere del Ticino di qualche settimana fa, la Svizzera è stata «tacciata di nazione «affaristica quanto vigliacca» (in Olanda e in Francia), quasi mafiosa (in Italia, ed è tutto dire), di «Paese doppiogiochista al limite della lista nera» (in Germania), di «nemica dei diritti umani e razzista» (in vari Paesi islamici, ed è pure tutto dire)», ecc.
Alcuni problemi con l’estero la Svizzera li ha risolti con nuovi accordi sulla doppia imposizione e con la rinuncia a distinguere frode ed evasione fiscale, altri li sta risolvendo con un miglior coordinamento con l’Unione europea, altri con una diplomazia più attenta. Chi tuttavia in questo Paese vive e ne segue sia pure a distanza le vicende interne ed internazionali sa che riuscirà a risolvere gli attuali problemi non solo grazie a una classe politica non distratta da interessi di parte e meno litigiosa che altrove, ma soprattutto grazie al sentimento di appartenenza di tutti gli svizzeri ad un Paese che è stato ed è fortemente voluto (è una Willensnation) e che si basa su un principio sempre valido: «tutti per uno, uno per tutti».
Ciononostante, ricordava poco tempo fa Franco Ambrosetti, presidente della Camera di Commercio del Cantone Ticino: «Le Alpi sono un ostacolo naturale ma grigionesi e soprattutto ticinesi dovrebbero fare qualcosa di più per avvicinare i due Paesi, non dimenticandosi che in Svizzera ci sono 600.000 italiani di prima e seconda generazione e che l'Italia è secondo partner commerciale della nostra economia dopo la Germania».
Giovanni Longu
Berna, 24.03.2010

Segnali contrastanti per il futuro dell’italiano in Svizzera

Da una parte lo Stato ritiene di fare del suo meglio per migliorare la situazione soprattutto a livello di personale federale, dall’altra il panorama dell’italiano parlato e studiato nelle scuole e all’università si fa sempre più desolante.
Proprio nelle scorse settimane sono stati resi noti numeri e tendenze dell’italiano studiato nella Svizzera tedesca e francese. Gli uni e le altre dicono chiaramente che l’italiano è sempre meno studiato soprattutto nei licei e nelle università, gli studenti preferiscono studiare altre lingue. Per rallentare questa tendenza è già intervenuto il Consiglio federale che intende stanziare 1,2 milioni di franchi per la formazione dei docenti che assicurano corsi di lingua e cultura italiana soprattutto ai figli dei migranti italiani. Si tratta di una cifra sicuramente interessante, ma non risolutiva del problema. Anzi, secondo il prof. De Marchi dell’università di Zurigo, «un intervento fuori tempo massimo perché i figli degli emigrati italiani sono perfettamente integrati e non studiano l’italiano».
Occorrerebbe che nelle scuole svizzere si desse più spazio allo studio dell’italiano e della cultura italiana, ma i Comuni e i Cantoni hanno sempre meno soldi da investire nella scuola e poi, le preferenze degli allievi e studenti vanno ormai in altre direzioni.
«Eppur si muove…» scriveva la settimana scorsa il senatore Filippo Lombardi, per indicare che a livello federale qualcosa si sta muovendo nel senso di una maggiore consapevolezza di Berna in favore dell’italianità e del plurilinguismo. Effettivamente sia il Parlamento che il Consiglio federale da qualche mese dedicano maggiore attenzione al problema linguistico nazionale e mostrano la volontà di intervenire, grazie anche alla nuova legge sulle lingue entrata in vigore all’inizio dell’anno.
Con grande soddisfazione il presidente della Deputazione ticinese alle Camere federali annunciava la settimana scorsa che presto potrebbe esserci un mediatore incaricato di promuovere l’italiano e il francese, oltre che vigilare sull’adeguata rappresentanza di queste componenti nell’amministrazione federale. Il Consiglio degli Stati ha dato infatti via libera a una mozione di Filippo Lombardi in questo senso e il Governo si è detto favorevole all’istituzione di un «ombudsman» all’interno dell’Ufficio federale del personale.
Quale «ombudsman»?
Prima di fare salti di gioia aspetterei i risultati. Non è infatti chiaro che «statuto» avrà questo «mediatore» e di quale autorità disporrà. Sembrerebbe anzi, da quanto riportato dai media, che sarà una persona «nominata» e non «eletta» (com’è invece il caso dei mediatori parlamentari). Soprattutto non si sa come potrebbe «promuovere» l’italiano e il francese senza mezzi finanziari a disposizione (è stato infatti già anticipato che la carica non comporterà oneri supplementari) e se, oltre a «vigilare» sull’adeguata rappresentanza di italofoni e francofoni nell’amministrazione federale, potrà anche «intervenire» (con quali poteri?) in caso di inosservanza della legge e delle ordinanze (quando ci saranno) sulle lingue. E se, ad esempio, per certi posti dirigenziali messi a concorso non ci fossero candidati idonei italofoni o francofoni? E poi, quale dev’essere la rappresentanza «adeguata» degli italofoni? Il 4,3% degli italofoni di nazionalità svizzera o circa il doppio degli italofoni senza distinzione di nazionalità?
L’interrogativo certamente più importante resta tuttavia un altro: chi dovrà e potrà promuovere l’italiano in Svizzera, non solo nell’amministrazione federale, ma anche nelle scuole, nelle università, nei musei, negli uffici postali, nelle stazioni ferroviarie, negli uffici delle imposte, negli ospedali, nelle chiese, ecc.? Una cosa è certa: nessuna legge o regolamento salverà l’italiano in Svizzera, ma a salvarlo saranno unicamente, se lo vorranno, gli italiani qui residenti, i ticinesi, i grigionesi di lingua italiana, gli italofoni in generale, ma anche quanti altri avranno a cuore la lingua di Dante, la cultura e l’arte italiana, le bellezze d’Italia, ma anche quel bel lembo d’italianità che si estende sul versante sud delle Alpi in territorio svizzero.
Prossimamente a Berna un gruppo di lavoro italo-svizzero tenterà di fare il punto sulle esigenze e sulle possibilità dell’italianità nella regione. Se dovessero emergere chiaramente possibilità concrete d’intervento, sarebbe un’occasione da non perdere e sviluppare anche in altre regioni della Svizzera tedesca e francese.
Giovanni Longu
Berna, 24.03.2010