09 ottobre 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 29. Gli italiani e la religione


In una narrazione oggettiva dell’immigrazione italiana in Svizzera nel secondo dopoguerra non si può non ricordare l’importanza che ha avuto la religione nel suo processo identificativo ed evolutivo. Gli immigrati provenienti dall’Italia s’identificarono ed erano identificati per molto tempo dalla popolazione indigena oltre che come lavoratori stranieri «ospiti» (Ausländer, Fremdarbeiter, Gastarbeiter) come italiani (die Italiener) e come cattolici (Katholiken). Con la loro presenza e con la loro appartenenza confessionale hanno contribuito a trasformare il panorama religioso della Svizzera. In questo processo e in questa evoluzione hanno svolto una parte attiva rilevante le Missioni cattoliche italiane.

Importanza della religione in Svizzera
Sede della Missione cattolica di lingua italiana di Berna
La religione ha sempre avuto per la Svizzera una grande importanza, sia prima che dopo la Riforma. Prima perché ha contribuito alla sua identità nazionale, dopo perché, nonostante la divisione introdotta tra Cantoni cattolici e Cantoni protestanti e ben quattro guerre di religione, le radici cristiane comuni hanno contribuito a salvaguardare l’unità nazionale. Tra i due gruppi, tuttavia, i cattolici hanno rappresentato quasi sempre la parte debole nelle relazioni intercantonali, nella politica e nell’economia, anche dopo la costituzione della nuova Confederazione (1848).
I cattolici hanno avuto negli ultimi decenni dell’Ottocento e agli inizi del Novecento fino allo scoppio della prima guerra mondiale un grande aiuto dall’immigrazione dai Paesi confinanti di migliaia di persone, in prevalenza cattoliche, tanto da ridurre considerevolmente il divario ancora notevole tra protestanti e cattolici, soprattutto nei Cantoni più industrializzati. E’ significativo che solo nel 1891 i cattolici conservatori svizzeri abbiano ottenuto il loro primo rappresentante nel Governo federale e nel 1919 un secondo.
La religione degli immigrati del secondo dopoguerra, ancora in prevalenza cattolici, ha modificato ulteriormente il panorama religioso della Svizzera con importanti conseguenze anche sul piano demografico, sociale e culturale. Si pensi all’incremento naturale degli stranieri (inizialmente molto più accentuato di quello degli svizzeri), al moltiplicarsi dei luoghi di culto, alla diffusione dei sacramenti, ai numerosi matrimoni misti, alla facilità di circolazione delle persone e delle idee, ecc. Inizialmente ostacolati nell’esercizio del culto, nella cultura e nella società, i cattolici stranieri hanno via via acquistato spazio e importanza in tutti gli ambiti della vita sociale, culturale ed economica.

Trasformazione del panorama religioso
Sotto il profilo strettamente religioso-confessionale sono significative alcune cifre. Nel 1950, a livello nazionale, il divario tra protestanti (2.655. 375) e cattolici (1.959.046) era ancora significativo perché i primi rappresentavano il 56,3% dell’intera popolazione, mentre i secondi appena il 41,6%, con una differenza di quasi 15 punti percentuali. Senza gli stranieri la differenza sarebbe stata ancora maggiore perché gli svizzeri erano protestanti al 58,9%, mentre gli stranieri erano cattolici al 76%. 
Vent’anni più tardi, i dati del censimento federale della popolazione del 1970 attestarono non solo un’ulteriore riduzione del divario tra protestanti (2.991.674) e cattolici (3.096.654), ma addirittura il sorpasso dei cattolici sui protestanti. La percentuale dei cattolici era salita al 49,1%, quella dei protestanti era scesa al 47,7%. Poiché gli svizzeri conservavano all’incirca le stesse proporzioni, il contributo determinante all’ascesa dei cattolici, soprattutto nelle agglomerazioni urbane, proveniva dagli stranieri, cattolici oltre l’80%. Dal 1970 il panorama religioso muterà ancora, ma dal 1990 si farà sempre più consistente la percentuale dei «senza confessione» a scapito sia dei protestanti che dei cattolici.
E’ interessante osservare che il paesaggio religioso svizzero è mutato nonostante le enormi difficoltà linguistiche, culturali e confessionali incontrate da molti immigrati nel processo integrativo, soprattutto nei Cantoni protestanti di lingua tedesca, dove l’egemonia della cultura protestante non lasciava molto spazio alla minoranza cattolica. E’ probabile che il sentimento religioso delle prime generazioni dipendesse molto dalla tradizione religiosa del Paese di provenienza, ma certamente esprimeva anche un sentimento di autentica spiritualità legato ai gravi rischi della vita lavorativa (soprattutto nei grandi cantieri degli scavi stradali e delle grandi dighe di alta montagna) e alle sofferenze quotidiane dovute all’incomunicabilità e all’isolamento. 

Contributo delle chiese e delle missioni
Negli anni Cinquanta e Sessanta, di fronte al numero crescente di immigrati, le chiese ufficiali cominciarono a interessarsi maggiormente al fenomeno migratorio e ai bisogni religiosi dei nuovi cattolici. Furono costruite non poche nuove chiese e ristrutturate altre, vennero costituite nuove parrocchie e aperte nuove missioni cattoliche per stranieri.

Con l’intensificarsi dei flussi migratori, cresceva tuttavia non solo il bisogno dell’assistenza religiosa, ma anche dell’assistenza sociale, scolastica e professionale degli immigrati. Le Missioni cattoliche italiane (MCI) che venivano implementate un po’ ovunque, oltre ad essere centri di vita religiosa divennero sempre più anche centri d’incontro, di socialità e di assistenza di ogni genere. 



Si segnalarono in particolare i padri Scalabriniani, che sull’esempio del loro fondatore Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), seppero creare attorno alla chiesa tutta una serie di attività sociali e assistenziali che contribuirono non poco a rafforzare sentimenti di identità e di appartenenza a decine di migliaia di immigrati di ogni provenienza e cultura. Poiché i bisogni degli immigrati e dei loro figli erano enormi, aprirono MCI in molte città svizzere (Ginevra, Basilea, Berna, San Gallo, Soletta, Delémont, Thun, Losanna, Friburgo, ecc.).
Nel corso di un dibattito parlamentare in Italia, nel 1954, il deputato Antonio Dazzi ebbe a dire che a suo giudizio «l’unico organismo che ancor oggi segue ed assiste in misura veramente larga, capillare ed umana i nostri emigranti - e lo dico non come cattolico, ma per doverosa obiettività - è quello dei missionari e, in prima linea, dei missionari scalabriniani, sorretti da mezzi materiali modesti, ma da una forza morale immensa loro conferita dall’enciclica papale Exul Familia».

Ruoli delle MCI
Le MCI hanno svolto un ruolo rilevante e innegabile non solo nel campo dell’assistenza, spirituale e sociale, ma anche nel processo identificativo ed evolutivo dell’immigrazione italiana in Svizzera. Ora, però, il futuro è quanto mai incerto non solo perché i flussi immigratori dall’Italia sono ben diversi e alquanto ridotti rispetto a quelli dei primi decenni del dopoguerra, ma anche perché cresce pure tra gli italiani la non appartenenza ad alcuna confessione religiosa (0,4% nel 1970, 2,1% nel 1980, 4,9% nel 1990 e 5,7% nel 2000) e la pratica religiosa è alquanto ridotta.
In ambito ecclesiale si considera talvolta il ruolo svolto dalle MCI come «qualcosa di temporaneo» (etwas Vorübergehendes) e di «postmigrante» (postmigrantisch), legato alle ondate immigratorie del dopoguerra. Resta tuttavia difficile stabilire se il ruolo delle MCI sia veramente finito perché comunque c’è una popolazione italofona che è ancora fortemente legata alla liturgia e all’amministrazione dei sacramenti in lingua italiana e non si troverebbe a proprio agio in un percorso di fede con un accompagnamento in altra lingua.
Prescindendo da considerazioni di tipo prettamente organizzativo-finanziario-ecclesiale, sarebbe una perdita per la collettività di lingua italiana la chiusura delle MCI perché non appare più necessaria e urgente l’assistenza sociale ai nuovi immigrati. Le Missioni di lingua italiana potrebbero infatti continuare a offrire utilmente l’assistenza spirituale e l’attività pastorale alla collettività di lingua italiana, che ne avrebbe tra l’altro il diritto, essendo riconosciuta come tale dalla Costituzione federale. Come lo Stato rispetta l’esistenza e la dignità della lingua italiana così dovrebbe fare anche la Chiesa ufficiale.
Resta comunque scolpita nella storia dell’immigrazione italiana in Svizzera l’impronta indelebile della religiosità dei primi immigrati e del contributo generoso e disinteressato delle MCI.
Giovanni Longu
Berna, 9.10.2019