Nel periodo
interbellico del secolo scorso la Svizzera si è data le basi giuridiche della
successiva politica verso gli stranieri. Dopo aver scartato, per molteplici ragioni,
la strada del contenimento della crescita della popolazione straniera
attraverso la facilitazione della naturalizzazione degli stranieri domiciliati
e degli stranieri nati in Svizzera, i Cantoni e il Popolo svizzero decisero di
concedere alla Confederazione la competenza di legiferare in materia di
stranieri approvando, nel 1925, la necessaria modifica costituzionale. Fu una
decisione che condizionò la vita di milioni di immigrati e merita pertanto di
essere esaminata da vicino.
Le ordinanze non bastavano
Pur vivendo un periodo
di scarsa affluenza di immigrati (non da ultimo per la crisi degli anni 1920-23
con decine di migliaia di disoccupati indigeni), le forze politiche vollero
cautelarsi in maniera stabile contro il rischio di ritornare alla situazione
precedente, quando la crescita della popolazione straniera era ritenuta ormai
fuori controllo e pericolosa per la sicurezza dello Stato. Non fu facile
raggiungere un’intesa, sia per la complessità del problema e sia per le
divergenze d’opinione e di visioni tra i Cantoni, restii a seguire una linea
comune nella politica immigratoria.
La Confederazione,
d’altra parte, non poteva più prorogare ad oltranza i decreti urgenti adottati in
tempo di guerra e già prorogati nel 1919 e 1921. Anche la Polizia degli
stranieri (che si sentiva come investita della missione di lottare contro la Überfremdung
(inforestierimento) con misure restrittive per limitare al massimo l’accesso
agli stranieri desiderosi di stabilirsi nel Paese) non poteva essere
considerata lo strumento più idoneo
della politica del governo in materia senza una base giuridica specifica. Del
resto la stessa Confederazione non disponeva di sufficienti competenze per
intervenire efficacemente né contro l’afflusso incontrollato di stranieri né
per svolgere una politica immigratoria sostenibile da tutti i punti di vista.
Una problematica complessa
Per scongiurare il
pericolo di una nuova immigrazione di massa, nel primo decennio del secolo
furono proposte diverse soluzioni, risultate però tutte impraticabili per
molteplici e talvolta opposte ragioni. Per esempio, la Confederazione riteneva
inopportuno limitare gli ingressi degli stranieri perché questo avrebbe potuto rappresentare una violazione dei
trattati di amicizia con i Paesi confinanti, con i quali era estremamente utile
mantenere rapporti di buon vicinato. Una proposta del
1908 fu ritenuta ricevibile solo in parte dal Consiglio federale, ossia quella
in cui si chiedeva «un rapporto sui provvedimenti da prendersi per facilitare
la naturalizzazione degli stranieri domiciliati
e degli stranieri nati in Isvizzera», ma non l’altra in cui si chiedeva di
«studiare (…) la naturalizzazione obbligatoria degli stranieri nati in
Isvizzera».
Allora non se ne fece
nulla per lo scoppio della prima guerra mondiale, ma la questione della
naturalizzazione venne ripresa nel dopoguerra. Nel messaggio del 9 novembre
1920 inviato all’Assemblea federale «concernente la revisione dell'articolo 44
della Costituzione federale», il Consiglio federale faceva tuttavia notare che la Confederazione aveva
solo il potere di «impedire» la naturalizzazione degli stranieri ma non di
promuoverla. Per poter intervenire con misure adeguate contro il pericolo
dell’inforestierimento (Gefahr der Masseneinwanderung) e per poter
attuare una vera politica della naturalizzazione (Einbürgerungspolitik)
era necessario che la Confederazione disponesse di maggiori poteri.
Per dare un’idea della
complessità del tema della naturalizzazione si può osservare che l’articolo
costituzionale in questione era denominato in tedesco «Massnahmen gegen di
Überfremdung» (letteralmente: misure contro l’inforestierimento), mentre
nella versione italiana era stato tradotto «provvedimenti per favorire
l'assimilazione degli stranieri in Isvizzera». La divergenza non è di poco
conto ed evidenzia mentalità e approcci differenti tra chi sembrava preoccupato
soprattutto del numero (crescente) di stranieri e chi invece auspicava la
naturalizzazione degli stranieri più «assimilati».
La lotta all’inforestierimento
Rispetto al problema
più generale di una politica globale nei confronti degli stranieri, il tema
della naturalizzazione venne affrontato per primo. In questa scelta è possibile
che abbia influito (anche se nelle argomentazioni appariva poco) la
preoccupazione del calo della natalità dei primi decenni del XX secolo e la
paura di un invecchiamento della popolazione. Sarebbe stato sensato risolvere i
problemi dell’immigrazione in maniera drastica, per esempio limitando gli
ingressi alle frontiere? Inoltre, lo sviluppo dell’economia avrebbe trovato tra
la popolazione indigena (qualora il calo della natalità e l’invecchiamento
fossero perdurati a lungo) le forze di lavoro sufficienti? E poi, la situazione
degli stranieri era così drammatica come gli estremisti la descrivevano?

Il 19 dicembre
1923, durante il dibattito sulla revisione dell’articolo 44 della Costituzione,
il Consiglio degli Stati approvò all’unanimità un postulato del consigliere
agli Stati Wettstein, con cui s’invitava il Consiglio federale a proporre al
Parlamento una regolamentazione federale organica delle questioni relative al
problema degli stranieri, specialmente quelle del soggiorno e della
naturalizzazione.
Il quadro generale comincia a delinearsi
Senza lasciar
cadere il tema della naturalizzazione (che verrà concluso nel 1928), nel suo
messaggio alle Camere federali del 2 giugno 1924, il Consiglio federale fece nuovamente
presente che per poter legiferare in materia occorreva anzitutto che la
Confederazione ne avesse la competenza. Propose quindi una modifica
costituzionale in tal senso, da sottoporre come ogni modifica della
Costituzione al voto popolare. In ogni caso, avvertiva a proposito della
politica degli stranieri, «(…) non si obietterà nulla riguardo all’afflusso di
stranieri, ma solo a condizione che essi non intendano domiciliarsi (…)».
Nel messaggio
apparivano evidenti non solo alcune linee guida che il Consiglio federale
intendeva seguire nella sua politica verso gli stranieri, ma anche la
motivazione che lo spingeva a seguirle, ossia la preoccupazione di trovare una
soluzione che tenesse conto degli interessi dell’economia e dell’imperativo di
evitare la Überfremdung, l’inforestierimento.
Da questi accenni
appare chiara la vera intenzione del governo: non si trattava tanto di limitare l’afflusso di stranieri, quanto di
impedire o quantomeno di ridurre la possibilità
che essi potessero ottenere il domicilio. Molto probabilmente nelle
considerazioni del Consiglio federale non c’era solo la preoccupazione che
l’economia prima o poi avrebbe avuto bisogno di lavoratori stranieri, ma anche
che per il problema degli stranieri andavano cercate soluzioni stabili che
potevano essere garantite solo dalla legislazione federale.
Nel 1925 venne
preparato il terreno per poter legiferare in materia di immigrazione,
introducendo il nuovo articolo costituzionale 69ter, che autorizzava la
Confederazione a intervenire con atti legislativi per disciplinare l’ingresso e
il soggiorno degli stranieri in Svizzera. Tutti i partiti erano favorevoli,
tranne quello dei Repubblicani.
La Confederazione può legiferare sugli
stranieri
Con l'approvazione, il 25 ottobre 1925, dell’articolo
69ter della Costituzione dalla maggioranza del
popolo (62,2% di sì) e dei Cantoni, la Confederazione poteva finalmente
legiferare sull’entrata, la partenza, la dimora e il domicilio degli stranieri.
Il dibattito sulle misure «contro l’inforestierimento» divenne presto politico
e pubblico. In una serie di interventi giornalistici anche il maggiore
quotidiano svizzero, la «Neue Zürcher Zeitung» intervenne con alcuni articoli contro l’inforestierimento («gegen die Überfremdung»).
Sulla base del
nuovo disposto costituzionale, il 17 giugno 1929 il Consiglio federale inviò
alle Camere un messaggio con un disegno di revisione della legge sulla dimora e
il domicilio degli stranieri, che diventerà la «legge federale del 26 marzo
1931 concernente la dimora e il domicilio degli stranieri» ed entrerà in
vigore il 1° gennaio 1934.
Più volte ritoccata,
ma rimasta fondamentalmente invariata fino al 2007, è stata alla base della
politica svizzera nei confronti degli stranieri fino all’entrata in vigore
della nuova legge il 1° gennaio 2008. Essa rappresenta pertanto una
insostituibile chiave di lettura della storia dell’immigrazione italiana del
dopoguerra. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 29.3.2017
Berna 29.3.2017