Nessuno mette in dubbio che l’italiano sia una delle quattro lingue «nazionali» e «ufficiali» della Svizzera. E’ scritto nella Costituzione federale ed è confortato dalla pratica in tutti i Cantoni e soprattutto nelle principali città (Zurigo, Ginevra, Basilea, Berna, Losanna, Lucerna, San Gallo, ecc.). Il contributo degli immigrati italiani della seconda metà del Novecento alla sua diffusione è innegabile. Grazie ad essi l’italiano ha raggiunto e superato nel 1970 una massa critica importante (11,9%), si è rafforzato nella Svizzera italiana e il resto della Svizzera è inimmaginabile senza l’italiano. Eppure chi segue l’evoluzione delle lingue nazionali e ufficiali in questo Paese non ha dubbi: l’italiano nelle regioni non italofone è in costante calo ed è insidiato dall'inglese (come si vedrà nel prossimo articolo) e nel breve e medio termine non è ipotizzabile un’inversione di tendenza.
Riconoscimenti importanti ma insufficienti
Era un fatto dovuto, nel 1848, inserire nella Costituzione l’italiano come una delle principali «lingue nazionali». Sarebbe stato illogico e incomprensibile ammettere nella Confederazione il Cantone Ticino senza la lingua, la cultura e la religione praticate dai suoi abitanti. Questo comportava implicitamente il riconoscimento dell’uguaglianza delle tre principali lingue nazionali e il diritto a un’equa rappresentanza della Svizzera italiana negli organismi federali, ma niente di più.
Anche
nel 1938, quando furono precisate nella Costituzione le «lingue ufficiali», non
si trattò per l’italiano di una novità perché già nella Repubblica elvetica (1798-1803)
i testi di legge erano redatti nelle tre lingue, parificate, tedesca, francese
ed italiana.
Inoltre, gli atti ufficiali della Confederazione venivano pubblicati sistematicamente anche in italiano fin dal 1918. Per l’italiano si trattò
comunque di un passo in avanti perché da allora è stato sempre più presente non
solo nei testi ufficiali, ma anche nelle comunicazioni (messaggi,
dichiarazioni) del Consiglio federale.
Questi riconoscimenti, per quanto importanti e utili, influirono tuttavia ben poco sulla diffusione dell'italofonia (oscillante per decenni fra il 4 e il 6%), soprattutto nella Svizzera tedesca e francese, fino all'arrivo in massa degli immigrati italiani nel secondo dopoguerra, quando raggiunse dapprima il 9,5% (1960) e poi l’11,9% (1970), il massimo storico. Peccato che gli italofoni (svizzeri e stranieri) non abbiano saputo approfittare di questa opportunità unica per rafforzare e diffondere ulteriormente la terza lingua in tutto il Paese!
Dopo
il 1970, infatti, nonostante l’impegno della Confederazione e di alcuni
Cantoni in favore del plurilinguismo e delle due lingue minoritarie italiano
e romancio, gli
italofoni non solo non sono più aumentati, ma sono diminuiti
costantemente sia in percentuale (1980: 9,8%, 1990: 7,6%, 2000: 6,5%) che in
cifre assolute (1970: 743.760; 1980: 622.226; 1990: 524.116; 2000:
470.961). Alcuni osservatori ritengono che per mantenere la lingua italiana
fuori del Ticino viva, ossia parlata, scritta e in grado di autoalimentarsi,
dovrebbe avere un livello di diffusione intorno all'8-10%, quindi al di sopra,
come si vedrà nel prossimo articolo, del livello attuale.
Calo inarrestabile e tendenza irreversibile?
Se qualcuno
obiettasse che quel traguardo è irraggiungibile perché la tendenza sembra
irreversibile, avrebbe in parte ragione (perché in tutta la storia svizzera il
livello del 10% è stato raggiunto e superato una sola volta, in circostanze
particolari e verosimilmente irripetibili) e in parte torto, perché rinunciarvi
senza nemmeno tentare di raggiungerlo significherebbe lasciare che l’italiano
continui a perdere terreno in tutte le regioni non italofone fino a ridursi a
presenza simbolica e rischiare di mettere in crisi il tradizionale
quadrilinguismo svizzero e forse la stessa coesione nazionale. Dunque tentare è
necessario.
Per spiegare il
calo dell’italiano dal 1970 al 2000 si è spesso detto che è stato inevitabile a
seguito del saldo migratorio degli italiani sempre negativo dai primi anni Settanta
al 2007. Ma questa tesi non è del tutto convincente, perché il calo è
proseguito anche dopo, quando il saldo migratorio è ridiventato positivo. Si è
anche detto che per salvaguardare le lingue minoritarie occorresse una legge
sulle lingue. Questa è stata fatta, nel 2007, ma non è bastata ad arrestare il
calo dell’italiano, anche perché i fattori che vi influiscono sono tanti (federalismo,
integrazione, cambiamenti sociali e culturali, ecc.) e alcuni immodificabili perché concernono l'assetto strutturale della Svizzera.
Del resto, già il
nome (Legge federale sulle lingue nazionali e la comprensione tra le
comunità linguistiche) denota la
complessità della materia. Per esempio, si parla di «lingue» e non di
«lingua», perché la Confederazione Svizzera non ha una ma tre «lingue
ufficiali» e addirittura quattro lingue «nazionali»; si parla di «lingue
nazionali» e non semplicemente di lingue e a dare un senso preciso al loro
carattere «nazionale» provvede la seconda parte del titolo della legge, facendo
capire che si tratta di quelle parlate dalle «comunità linguistiche»
riconosciute dalla Confederazione, ossia quella tedesca, quella francese,
quella italiana e quella romancia, tutte radicate a livello cantonale. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 29.03.2023