Reazioni politiche
italiane
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Tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 la pressione sugli stranieri era così forte che che migliaia di italiani lasciarono la Svizzera. |
Le reazioni dei governi democristiani del dopoguerra erano infatti solitamente tiepide sia perché le critiche mancavano spesso di consistenza e di riferimenti precisi e sia perché il governo non intendeva lasciarsi imporre le risposte dall'opposizione comunista, convinto di fare nei confronti degli emigrati in Svizzera tutto ciò che consentiva l’accordo italo-svizzero di emigrazione del 1964. Va anche aggiunto che soprattutto l’Ambasciata d’Italia a Berna, dotata di un Ufficio emigrazione competente e attento, era molto vigile e interveniva puntualmente presso le autorità svizzere ogniqualvolta venivano denunciati fatti gravi.
Ciò nonostante, per risolvere nel reciproco interesse e in maniera generale i principali problemi che lamentavano gli italiani, ma anche «per ragioni politiche», nella primavera del 1970 il governo italiano chiese la convocazione della Commissione mista, prevista dall'accordo italo-svizzero del 1964. Avrebbe dovuto trattare gli aspetti più problematici della vita degli italiani nella Confederazione: conseguenze della xenofobia, politica di «assimilazione», statuto dello stagionale, condizioni d’abitazione, ricongiungimento familiare, formazione scolastica e professionale dei figli degli immigrati, ecc.
La richiesta della
convocazione della Commissione da parte del governo italiano era dovuta
sicuramente al deterioramento della convivenza tra svizzeri e stranieri
(italiani) negli ultimi anni, non da ultimo a causa della xenofobia dilagante,
ma anche a ragioni di politica interna che il Sottosegretario agli esteri Alberto
Bemporad non aveva nascosto al Consigliere federale Ernst Brugger
nel corso di un incontro a Milano: il governo italiano voleva dimostrare agli
emigrati di fare tutto il necessario per difendere i loro interessi ed evitare
che i comunisti detenessero il monopolio della difesa degli interessi degli
operai italiani.
Fallimento della
Commissione mista
La Commissione si
riunì per pochi giorni dapprima a Roma (settembre 1970) e poi a Berna (dicembre
1970), ma senza produrre alcuno dei risultati sperati. A detta del sottosegretario Bemporad, «non riuscì nemmeno ad avviare un dialogo
costruttivo». Per la delegazione
italiana il fallimento del negoziato era dovuto unicamente alla intransigenza
della delegazione svizzera che, benché disposta a discutere su alcuni punti
marginali, si era mostrata inflessibile sulle rivendicazioni principali. L’«Unità» (l’organo del PCI) scrisse allora che la Svizzera
trattava gli operai immigrati come la Rhodesia ed il Sudafrica gli indigeni di
colore.
In realtà, il governo italiano cercava di
mascherare in quel modo la propria debolezza, di cui per altro gli svizzeri
erano consapevoli. Il quotidiano zurighese Tages Anzeiger non aveva
dubbi: «il governo italiano, incapace di procurare lavoro ai suoi cittadini nel
proprio Paese, era politicamente costretto a trovare capri espiatori».
Sulle responsabilità di quel fallimento
negoziale si discute ancora oggi, ma raramente si evocano due circostanze fondamentali.
La prima: la Svizzera non aveva nessun contenzioso con l’Italia, perché
evidentemente era soddisfatta della manodopera italiana e riteneva la nuova
politica immigratoria della Confederazione (stabilizzazione e integrazione
degli stranieri) praticabile e utile ad entrambe le parti. La seconda:
qualora l’Italia avesse opposto grosse difficoltà all'implementazione della
nuova politica federale, la Svizzera era pronta ad aprire le porte
dell’immigrazione alla Spagna, al Portogallo ed eventualmente anche ad altri
Paesi, che premevano perché ciò avvenisse. E’ significativo che quasi in
contemporanea con la riunione della Commissione mista italo-svizzera si fosse
riunita anche la Commissione mista Svizzera-Spagna.
Reazioni sindacali
italiane
I più critici riguardo al fallimento del
negoziato erano i rappresentanti delle tre confederazioni sindacali CGIL, CISL
e UIL che avevano partecipato agli incontri, sebbene ne fossero probabilmente i
principali responsabili. Infatti, sostenendo incondizionatamente le rivendicazioni
delle associazioni degli immigrati, non si rendevano conto di rendere ancor più
difficile il negoziato. Di più, secondo il Journal de Genève, si resero
responsabili di un «gioco pericoloso» perché, non accontentandosi di far
pressione sui dirigenti politici italiani, si ritennero in diritto di «fare
rimostranze al Consiglio federale» addirittura «accompagnandole con minacce».
Effettivamente, dopo la rottura delle trattative, le organizzazioni sindacali e le grandi associazioni
degli emigrati italiani in Svizzera avevano chiesto al governo italiano il
riesame globale dei rapporti fra l'Italia e la Confederazione, ma nella
richiesta, per far pressione sul governo federale, sollecitavano fra l'altro che
l'Italia si opponesse ad ogni iniziativa mirante ad associare la Confederazione
Svizzera alla Comunità Economica Europea (CEE). Tentativo maldestro perché una
tale associazione (la Svizzera ne aveva fatto richiesta formale nel 1961),
sarebbe stata utile anche all'Italia, tant'è che l’auspicava.
Ripresa del dialogo
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Berna 1971: Aldo Moro (a s.) e Pierre Graber (GettyImages) |
Nel 1971, tuttavia, dopo un incontro
amichevole a Ginevra tra il Ministro degli esteri italiano Aldo Moro e il Consigliere federale Pierre Graber si decise di riprendere il dialogo
riconvocando la Commissione mista. L’Italia sottopose alla Svizzera un
documento contenente undici richieste di miglioramenti per i lavoratori
italiani, fra cui la riduzione da dieci a cinque anni il periodo di attesa per
ottenere il permesso di domicilio, la libera circolazione dei lavoratori
italiani all'interno della Confederazione, la trasformazione degli stagionali
con 45 mesi di permanenza in Svizzera in annuali (circa 50 mila lavoratori), la
riduzione dei 18 mesi di attesa per il ricongiungimento familiare, l’abolizione
della visita medica alla frontiera, ecc.
La Commissione si riunì l’anno seguente a Roma
e raggiunse alcuni buoni risultati: per i lavoratori annuali fu accordata una
maggiore mobilità geografica e professionale (riduzione da tre a due anni il
periodo di attesa dal 31.12.1973, e di un ulteriore anno dal 31.12.1975) e si
stabilì la riduzione del periodo di attesa per il ricongiungimento familiare da
Giovanni Longu
Berna, 22.09.2021