Uno dei primi «scandali» venuti alla luce all’indomani della
bocciatura dell’iniziativa Schwarzenbach fu quello dei cosiddetti «bambini
clandestini» tenuti segregati da immigrati in prevalenza italiani. Le norme
svizzere sull’immigrazione e gli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Italia
allora vigenti regolavano in maniera precisa (si pensi ai vari tipi di permesso
per stranieri) l’ingresso e il soggiorno degli stranieri, come pure la
questione dei ricongiungimenti familiari. Questi erano previsti solo per alcune
categorie di persone e a determinate condizioni. Contravvenire a quelle
disposizioni metteva gli interessati in condizione d’illegalità e comportava il
rischio di espulsione dalla Svizzera. Poiché il tema torna periodicamente
d’attualità ed è trattato unilateralmente e confusamente, è forse utile cercare
di chiarire la questione e sgombrare il campo da informazioni false o
avventate.
Premesse fondamentali
Prima di affrontare il tema dei «bambini clandestini» nella
sua complessità è opportuno affermare con molta chiarezza che essi vanno
considerati vittime innocenti di un sistema emigratorio e immigratorio
legittimo ma per certi versi «disumano», perché orientato prevalentemente a
soddisfare i bisogni dell’economia e meno i bisogni delle persone.
Ciononostante, nessuno, a cominciare dai genitori, aveva il diritto di far
soffrire e di costringere a vivere in un regime di segregazione bambini
innocenti, incapaci di scegliere dove andare e con chi stare, ma non privi di
esigenze esistenziali.
Poiché quel sistema dipendeva da molti fattori e molte
esigenze di più protagonisti, non si può continuare a ricercare le eventuali
responsabilità della situazione di quelle vittime in un’unica direzione, per
esempio nella politica immigratoria svizzera. Ritenendo quali principali attori
di quel sistema l’Italia, la Svizzera e gli emigranti, si deve vedere in quale
misura l’uno o l’altro o tutti e tre possono o devono essere considerati responsabili
diretti o indiretti della condizione dei bambini «clandestini». Certamente
tutti sapevano!
Un terza premessa va pure tenuta presente prima di stabilire
le eventuali responsabilità di ciascun protagonista ed è che, se la libertà di
emigrazione è uno dei diritti umani fondamentali, non lo è quello di immigrare
dove si vuole. «Emigrare dal proprio Stato non significa libertà di
immigrare in un qualunque altro Stato» e pertanto «la libertà di
emigrazione in tanto si può concretamente esercitare in quanto vi siano altri
Stati che consentano l’immigrazione» (Valerio Onida, ex presidente
della Corte Costituzionale italiana).
Corresponsabilità di Italia, Svizzera e
migranti
Considerare illegittima la politica emigratoria italiana
sarebbe una follia perché nel dopoguerra essa era stata pienamente legittimava
dai parlamenti e dai governi italiani dell’epoca. Solo politicamente si
potrebbero contestare le scelte fatte (che determinarono fra l’altro gli
accordi d’emigrazione/immigrazione tra l’Italia e la Svizzera del 1948 e del
1964), il sistema d’informazione e accompagnamento dei migranti prima e dopo
l’espatrio, come pure il livello di tutela del lavoro italiano all’estero, come
impone la Costituzione (art. 35). Ogni contestazione andrebbe tuttavia motivata
alla luce della percezione dei problemi e delle sensibilità politiche di
allora, indicando anche eventuali alternative praticabili.
Analoghe considerazioni vanno fatte sulla legittimità delle
scelte di politica immigratoria fatte dalla Svizzera, perché legittimate non
solo dai parlamenti e dai governi dell’epoca, ma anche dalla Costituzione
federale. Vanno dunque considerati legittimi la legge sugli stranieri del 1931,
gli accordi italo-svizzeri del 1948 e 1964 e le successive norme applicative.
Erano pertanto giuridicamente incontestabili lo statuto dello stagionale come
pure l’impedimento del ricongiungimento familiare per gli stagionali, il
controllo dell’idoneità dell’abitazione in presenza di bambini minorenni, ecc.,
con buona pace di Concetto Vecchio che parla di «iniquo diritto» e di Toni
Ricciardi, che crede di poter contrapporre al diritto svizzero il diritto
internazionale. Evidentemente questo non significa che non si possano criticare
singoli aspetti delle norme sugli stranieri, specialmente quelle esecutive.
A questo punto appare difficile non coinvolgere anche i
genitori dei «bambini clandestini» nella responsabilità per la loro
segregazione per mesi e forse per anni. Benché anche nei loro confronti sia
doveroso cercare tutte le attenuanti possibili, soprattutto alla luce delle due
premesse precedenti appare difficile non attribuire loro la maggiore
responsabilità della condizione irregolare dei loro figli. Per quanto si
possano criticare le leggi e gli accordi internazionali della Svizzera, una loro
violazione deve ricadere principalmente in chi li viola e non nel legislatore.
Il «ricongiungimento familiare» non
riguardava gli stagionali
Come accennato all’inizio, molte informazioni su questo
tema, complesso e delicato allo stesso tempo, sono confuse e non veritiere, per
cui è senz’altro utile fornire alcuni elementi di concretezza e di verità,
cominciando dal richiamo dell’Accordo del 1964 tra la Svizzera e l’Italia
relativo all’emigrazione dei lavoratori italiani in Svizzera.
Tale Accordo riduceva a 18 mesi (invece di 3 anni) il
periodo di attesa perché la moglie e i figli minori di un lavoratore italiano potessero
riunirsi e «risiedere assieme a lui in Svizzera». Perché questa possibilità
diventasse realtà, occorreva tuttavia un’autorizzazione delle autorità svizzere,
che concedevano solo se risultavano soddisfatte due condizioni: 1) che il
soggiorno e l’impiego di quel lavoratore fossero «sufficientemente stabili e
durevoli» e 2) che lo stesso lavoratore disponesse «per la sua famiglia di un
alloggio adeguato» (art. 13, capoverso 1).
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(Dal film di Alvaro Bizzarri «Lo stagionale» (1971), in cui anche gli stagionali rivendicano il diritto a vivere in Svizzera con la famiglia. |
E’ importante notare che questa possibilità di vivere in
Svizzera con la famiglia non riguardava gli «stagionali» perché non
potevano soddisfare le due condizioni di cui sopra. In quanto «stagionali» non
potevano stare tutto l’anno in Svizzera e durante il loro soggiorno qui molti vivevano in
baracche, una parte condivideva con altri inquilini una stanza, una mansarda o
un piccolo appartamento, pochissimi disponevano di un’abitazione indipendente.
Come
avrebbero potuto alloggiare un’intera famiglia di 3-4 persone? E quanti
stagionali avrebbero potuto pagare l’affitto di un’abitazione «adeguata», vista
la penuria degli alloggi sul mercato e la lievitazione dei costi agli inizi
degli anni Settanta? E quanti erano disposti a correre il rischio di venir
scoperti ed espulsi dalla Svizzera?
Si deve anche osservare che questa preclusione era
nota a tutti gli stagionali, ma per la maggior parte di essi il problema
non si poneva nemmeno perché solo un’esigua minoranza era sposata con figli.
Ciononostante si continua a parlare e a scrivere dei «figli nascosti degli
stagionali italiani», dei «figli degli stagionali: bambini clandestini», dei
«bambini nascosti… i figli di lavoratori stagionali…» ecc. A meno che s’intenda
riferirsi a «falsi stagionali» o a veri stagionali che stavano per raggiungere
il numero di stagioni necessarie per poter ottenere il permesso annuale e per
loro non ci sarebbe stato più bisogno di un periodo di attesa. Anche in questi
casi, tuttavia, si tratterebbe di un numero esiguo di bambini.
L’illusione dell’accordo del 1964
La possibilità di riunire la famiglia era invece reale per i
residenti «annuali», ma, come detto, solo se dimostravano di soddisfare le
condizioni indicate prima. L’esitazione delle autorità a consentire il
ricongiungimento familiare dopo un periodo di attesa era dovuta al fatto che
nei primi anni di soggiorno molti «annuali» non erano in grado di garantire né
la stabilità del soggiorno (gran parte dei rientri in Italia avveniva nei primi
anni) né la stabilità dell’occupazione. Inoltre si voleva dare il tempo di
trovare una sistemazione adeguata proprio in vista di un eventuale ricongiungimento
familiare.
Non si può escludere, tuttavia, che l’agevolazione
rappresentata dall’Accordo del 1964 in questa materia abbia creato in alcuni
immigrati (annuali, «falsi stagionali» o stagionali che presto avrebbero ottenuto il permesso annuale) l’illusione di poter far venire in
Svizzera moglie e figli anche prima che finisse il periodo di attesa, senza
soddisfare le condizioni previste e senza la necessaria autorizzazione. Il
tentativo dev’essere riuscito a un certo numero di immigrati, perché sul finire
degli anni Sessanta si sapeva che in Svizzera c’erano figli di stranieri
(italiani) «clandestini», ossia senza permesso di soggiorno. Oggi si sa che
molti di essi vennero scoperti e fatti rimpatriare con la madre o con entrambi
i genitori, mentre alcuni continuarono a vivere «nascosti», più o meno
indisturbati dalla polizia, per mesi e forse anni.
Le problematiche sui «bambini clandestini»
Attorno a questa situazione, fin dal 1970 si è aperta
un’ampia discussione, per altro non ancora finita. Essa riguarda in particolare
il tentativo di quantificare il fenomeno (quanti bambini hanno subito questa
condizione di segregazione, per esempio negli anni Settanta?), gli effetti
psicologici prodotti su questi bambini di fatto privati di alcuni diritti
fondamentali, le responsabilità dirette e indirette della situazione.
E’ tutt’altro che facile dare risposte esaustive sulle varie
problematiche, ma proporne alcune può rappresentare un contributo alla
chiarezza e alla verità fattuale. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 26.02.2020
Berna, 26.02.2020