18 ottobre 2023

Successo e formazione continua

Si è detto, nell'articolo precedente, che molti italiani residenti in Svizzera occupano posti di alto livello praticamente in tutti i rami dell’economia. Si deve aggiungere che per arrivare e restare a questi livelli sono almeno due le condizioni indispensabili: un solido punto di partenza e una formazione continua. Molti italiani hanno raggiunto livelli professionali elevati perché al termine della scuola obbligatoria hanno conseguito una solida formazione di base (scuola di secondo grado superiore o apprendistato) alla quale hanno potuto aggiungere una seria formazione professionale. Tuttavia, per conservare e sviluppare la professionalità raggiunta, tutti senza eccezione hanno dovuto praticare la formazione continua.

Qualche esempio

A dimostrazione delle affermazioni precedenti si potrebbero portare numerosi esempi di personalità di origine migratoria italiana o con la doppia cittadinanza, che hanno raggiunto in Svizzera posizioni apicali nella finanza, nella scienza, nella ricerca. Ne cito tre: Sergio Ermotti, figlio di un immigrato italiano nel Canton Ticino, da apprendista in una banca luganese è diventato amministratore delegato della più grande banca svizzera, l’UBS. Valentina Gizzi, italo-svizzera, manager di importanti aziende è divenuta una delle 100 persone più influenti della Svizzera romanda. Ritiene che i grandi risultati professionali sono il risultato di tenacia più che del talento («Se ho un obiettivo in mente sono inarrestabile e lavorerò senza sosta finché non lo raggiungerò»). Silvia Quarteroni, italo-svizzera figlia di immigrati italiani, dopo studi «classici» in latino e greco è divenuta al politecnico federale di Losanna (PFL) dapprima ingegnera informatica, poi ricercatrice nel campo del linguaggio naturale ed esperta in intelligenza artificiale. Attualmente è responsabile dell’innovazione dello Swiss Data Science Center del PFL.

Formazione continua necessaria

Si potrebbero fare numerosi altri esempi di «secondi» riusciti, ma quelli citati sono sufficienti per chiarire soprattutto due concetti: il primo, in Svizzera, Paese dell’innovazione per eccellenza [dal 2011 è il Paese numero 1 al mondo per l'innovazione; emerge soprattutto nelle condizioni quadro per le imprese, nell'uso delle nuove tecnologie, nei brevetti e nella produzione di know-how e tecnologie], è ovvio che la formazione continua e la ricerca hanno un’importanza primordiale nella formazione; il secondo: chi non si aggiorna e segue la formazione continua prima o poi perde la professionalità acquisita con i rischi connessi, mentre a chi ha voglia di perfezionarsi e di raggiungere traguardi possibili anche se ambiziosi la Svizzera offre enormi possibilità.

La formazione continua dopo una solida formazione di base si sta affermando nel mondo come una componente essenziale della formazione professionale in tutti i settori economici. La Svizzera è uno dei Paesi più avanzati in questo ambito perché la qualità (competenza) della forza lavoro e l’innovazione sono indispensabili per mantenere l’economia svizzera competitiva a livello mondiale. Ma non è solo una questione economica, garantisce infatti anche un alto tenore di vita e consente allo Stato (Confederazione e Cantoni) di investire molto nelle università, nella ricerca e nella formazione in generale. [Nel 2020 la Confederazione, i Cantoni e i Comuni hanno speso 40,8 miliardi di franchi per il sistema formativo, ossia il 5,9% del prodotto interno lordo (EU: 4,6%; Italia: 4,1%). A queste cifre vanno aggiunte le spese sostenute per la ricerca e lo sviluppo dalle imprese private, che ammontano a circa 17 miliardi di franchi].

Discontinuità col passato immigratorio italiano?

La trasformazione in questi ultimi decenni del sistema produttivo svizzero e le nuove esigenze riguardanti le persone impiegate introduce nella tradizione immigratoria italiana un notevole cambiamento facilmente riscontrabile nei nuovi immigrati (più informati e meglio formati degli immigrati del secolo scorso) e nelle seconde e successive generazioni di italiani (senza problemi linguistici e d’inserimento nel sistema formativo svizzero e più propense alla naturalizzazione).

Sotto questo profilo, la discontinuità col passato immigratorio italiano sembra inevitabile, ma pone notevoli problemi, per esempio nel campo dell’associazionismo e della rappresentanza (eletti per il parlamento italiano, per il CGIE e per i Comites). Queste vecchie strutture sono in grado di interpretare anche le problematiche riguardanti i nuovi immigrati e le giovani generazioni? E ancora, sono in grado di garantire elementi di continuità tra vecchia immigrazione e nuova immigrazione?

Manca lo spazio per approfondire questa tematica, ma i problemi sono innegabili. Chi garantirà la valorizzazione dell’italianità lasciata in eredità dalle generazioni di immigrati italiani del secolo scorso? Chi contribuirà, insieme ai ticinesi e ai grigionesi, alla salvaguardia dell’italianità quale componente essenziale e vitale della Svizzera? A questo punto sarebbe auspicabile che i nuovi immigrati e le nuove generazioni si facessero carico responsabilmente di questa problematica, introducendo nelle risposte da dare anche un peso politico che le prime generazioni hanno invano cercato di poter dare.

Giovanni Longu
Berna 18.10.2023