Alla domanda che figura nel titolo si è in parte già risposto nel precedente articolo, nel quale si è pure accennato alle difficoltà di considerare la naturalizzazione un’opzione praticabile almeno per la seconda generazione. Rientra nell'ottica di questi articoli cercare di spiegare perché le naturalizzazioni degli italiani nel periodo considerato (1970-1990) sono state relativamente poche (poco più di 65.500 su circa 230.000 naturalizzazioni complessive) e quali erano le maggiori difficoltà che incontravano i richiedenti la cittadinanza svizzera.
Prendere e lasciare
Il dilemma è stato per molti italiani: svizzeri o italiani? |
Soprattutto negli anni Settanta erano tuttavia pochi gli
immigrati italiani disposti a rinunciare alla cittadinanza italiana, se non in
casi particolari dov'era in gioco una promozione nella professione, un nuovo
incarico, la possibilità di un avanzamento nella carriera. Una tale rinuncia
appariva perciò a molti adulti incomprensibile e ingiustificata. Talvolta
poneva anche seri problemi di ordine morale, perché appariva come un
misconoscimento delle proprie origini, un tradimento del proprio Paese,
l’abbandono di una cultura superiore per una cultura inferiore (in questi
termini erano spesso viste le culture italiana e svizzera), un rinnegamento
dell’ambiente in cui si era vissuti fino ad allora, una svendita della propria
nazionalità.
Se per un adulto era comunque legittimo chiedersi per quale
ragione dovesse rinunciare alla cittadinanza italiana, nel caso di un giovane i
dubbi erano soprattutto di carattere psicologico, perché la naturalizzazione
poteva sembrare una sorta di allontanamento dal gruppo sociale di appartenenza
dei genitori, una possibile fonte di conflitti familiari, un cambiamento
forzato del modo di pensare, una scelta di campo che, in qualche ambiente,
avrebbe potuto essere considerata una slealtà, un’ingratitudine, un tradimento.
E poi il dubbio restava: rappresentava davvero un vantaggio la sostituzione
della cittadinanza italiana con quella svizzera?
Percorso a ostacoli
Un’altra difficoltà di fronte alla quale molti italiani si
arrendevano prima ancora di presentare la domanda di naturalizzazione era
costituita dalla procedura, lunga, complicata (a causa della cittadinanza
svizzera a più livelli), esigente e costosa. Essa mirava all'accertamento dell’idoneità
dello straniero a diventare svizzero, ossia se il richiedente si fosse
«adattato in modo decisivo alle condizioni svizzere», fosse «completamente
assimilato», «se il suo genere di vita, il suo carattere, la sua stessa
personalità» permettessero di «presumere che diventerà certamente un ottimo
svizzero, meritevole della piena fiducia» e «degno di tale favore».
In base alla legge in vigore sulla cittadinanza del 1951,
non bastava che lo straniero richiedente la naturalizzazione avesse risieduto
almeno dodici anni in Svizzera (i minorenni molto meno), un esame accurato
doveva appurarne «l'idoneità alla naturalizzazione» in modo da «dare un quadro
per quanto possibile completo della personalità del richiedente e dei membri
della sua famiglia» (art. 14). I «fabbricatori di svizzeri», gli Schweizermacher
del film di Rolf Lyssy (1978) avevano un bel da fare negli anni Settanta, ma
anche dopo.
Alle difficoltà di natura ideale o psicologica per i richiedenti
la nazionalità svizzera, per molti immigrati si aggiungevano anche difficoltà
di ordine pratico dovute alla lunghezza delle procedure e non da ultimo alle
tasse connesse, basate spesso sul reddito e il patrimonio del candidato. Solo
quando il rapporto costi-benefici risultava nettamente vantaggioso molti
stranieri si sottoponevano alle procedure e ai costi della naturalizzazione.
Disorientamento tra gli italiani
Bisogna anche aggiungere che l’atteggiamento critico degli
italiani, già tradizionalmente sfavorevoli alla naturalizzazione, negli anni
Settanta e Ottanta si era accentuato a causa del clima generale negativo che
dominava i rapporti tra italiani e svizzeri a causa della xenofobia, dei
divieti, delle restrizioni, delle presunte discriminazioni nei confronti degli
stranieri, della penalizzazione in materia scolastica della seconda
generazione, dell’incertezza del futuro, ecc.
Preoccupazioni per i giovani: i manovali di domani? |
In alcuni ambienti si era persino diffuso il sospetto che
gli stranieri fossero discriminati già nella scuola dell’obbligo per assicurare
anche in futuro all'economia svizzera la disponibilità di «manovali» in
sostituzione dei partenti. Emblematico al riguardo un volantino delle Colonie
Libere Italiane di Zurigo del 1973 con cui s’invitavano a una serata
informativa i genitori italiani di un quartiere e su cui campeggiata la
scritta: «I nostri
figli, una nuova generazione di manovali?».
Per le grandi associazioni degli italiani il tema della
naturalizzazione era una sorta di tabù. Durante il Convegno di Lucerna nel 1970
nessuno sollevò la questione benché si sapesse che i giovani di seconda
generazione erano in forte crescita. All'ordine del giorno delle assemblee
sociali, figuravano solitamente temi interni all'associazione, questioni
riguardanti il lavoro, la sicurezza sociale, le pensioni, i corsi di lingua e
cultura, i servizi consolari, il voto all'estero, ecc. La naturalizzazione non
compariva mai, l’integrazione raramente.
Approccio svizzero
Anche tra gli svizzeri il tema della naturalizzazione non era
molto discusso, sebbene fosse spesso presente nell'agenda politica del
Consiglio federale, favorevole a «facilitare la naturalizzazione degli
stranieri residenti e nati in Svizzera». Il tema però era molto controverso. Le
posizioni tra coloro che vedevano nella naturalizzazione il punto di arrivo di
un processo integrativo riuscito e coloro che la consideravano un mezzo efficace
per incoraggiare l’integrazione erano troppo distanti. Per molti svizzeri,
inoltre, la cittadinanza svizzera non andava affatto «facilitata» e il
passaporto svizzero non andava «svenduto».
Questo spiega perché nel periodo in esame tutti i tentativi
del Consiglio federale sulla naturalizzazione agevolata (ossia meno burocratica
di quella ordinaria) degli stranieri sono naufragati, salvo nei confronti dei
figli di madre svizzera. Nel 1952, infatti, essa fu consentita ai figli di madre svizzera sposata a uno
straniero, «a condizione tuttavia che la madre [fosse] nata svizzera e che i
figli [fossero] vissuti durante almeno dieci anni nella Svizzera».
La naturalizzazione agevolata per i figli di madre svizzera
venne ancora migliorata nel 1976 («i figli di madre svizzera e di padre
straniero uniti in matrimonio acquistano dalla nascita la cittadinanza svizzera
se la madre è svizzera d'origine e i genitori sono domiciliati in Svizzera al
momento della nascita») e superata definitivamente nel 1978 con l’entrata in
vigore del nuovo diritto di filiazione, secondo cui il figlio di una svizzera e
di un padre straniero acquista la cittadinanza della madre alla nascita. Per i
figli di genitori entrambi stranieri, invece, la naturalizzazione agevolata non
è mai riuscita a superare lo scoglio del voto popolare.
Politica d’integrazione ragionata
Piuttosto che insistere sull'opportunità della
naturalizzazione agevolata per i figli degli stranieri, dagli anni Settanta il
Consiglio federale ha preferito percorrere la più promettente strada della loro
integrazione linguistica, scolastica, professionale. E’ stata certamente una
scelta ragionata, ma probabilmente ha tolto vigore alle rivendicazioni sulla
naturalizzazione agevolata dei figli e dei nipoti degli immigrati del
dopoguerra, benché restasse sempre possibile anche per loro l’acquisizione della
cittadinanza svizzera per via «ordinaria».
La conquista della naturalizzazione agevolata era solo
rimandata, ma intanto, con la possibilità di conservare la precedente cittadinanza
(dal 1° gennaio 1992), agli stranieri in possesso dei requisiti previsti dalla
legge si apriranno, pure con la naturalizzazione ordinaria, nuove opportunità
d’integrazione completa anche nel sistema politico svizzero. Gli italiani
saranno i più numerosi ad approfittarne.
Giovanni Longu
Berna 23.2.2022