A cavallo tra Ottocento e Novecento, ultimati i processi di unificazione dell’Italia e della Germania (Prussia), terminata la guerra franco-prussiana con l’annessione dell’Alsazia e della Lorena alla Germania e superata la grande depressione degli anni 1873-1896, si respirava in Europa aria di grande ottimismo, tanto da chiamare quegli anni fino allo scoppio della prima guerra mondiale Belle Époque. Una caratteristica comune di quell'epoca fu, oltre al dinamismo economico e al miglioramento del tenore di vita delle popolazioni, lo sviluppo dei nazionalismi per ragioni interne (coesione e identità nazionale) e internazionali (competitività e supremazia). E la Chiesa? Non stava a guardare!
Paradigma
svizzero
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L'Europa della Belle Epoque prima della prima guerra mondiale |
L’esposizione restò aperta
fino alla fine, ma il clima quasi euforico iniziale durò solo poco più di
un mese. A luglio, infatti, quando scoppiò la prima guerra mondiale, anche la
Svizzera procedette alla mobilitazione generale di 220.000 uomini e l’ottimismo
lasciò il posto alla paura, anche se nessuno poteva ancora presagire i danni
materiali e immateriali della guerra.
Quel che successe in Svizzera fu registrato a più forte intensità
in tutti gli Stati europei, i quali si erano forse illusi che il periodo di
pace sarebbe durato più a lungo, che il benessere raggiunto dalle popolazioni
fosse acquisito per sempre e che il progresso non si sarebbe più fermato.
Nessuno aveva nutrito seri dubbi, perché i popoli europei erano quasi tutti
«ubriachi di patriottismo e di nazionalismo». L’ottimismo
della Belle Epoque
era stato travolgente.
Nazionalismi corrosivi come tarli
Da tempo, ormai, ogni Stato pensava a sé, al proprio «spazio
vitale», alla propria forza (non solo economica ma anche militare), al proprio
sviluppo e alla propria grandezza. Nei vertici degli Stati multietnici, nessuno probabilmente si rendeva conto che i nazionalismi
erano come tarli insaziabili. Eppure alcuni segnali
erano stati piuttosto chiari: la guerra di Crimea (1853-56) provocata dalle
ambizioni espansionistiche della Russia, le annessioni prussiane del 1866
(Baviera, Danimarca, ecc.), la guerra franco-prussiana (1870-71) per
l’annessione dell’Alsazia e della Lorena alla Germania, il disagio e il
nazionalismo delle popolazioni slave del vasto Impero austro-ungarico alla
ricerca della propria indipendenza, il riarmo di alcuni Stati, ecc.
Probabilmente nemmeno l’eccidio di Sarajevo (28 giugno 1914), in cui trovarono la morte l'arciduca ereditario
d'Austria Francesco Ferdinando e la moglie,
fece capire subito la pericolosità dei nazionalismi e solo la successiva
dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia fece aprire gli occhi ai
popoli europei, alcuni dei quali (per esempio l’Italia) del tutto impreparati
all’imminente sciagura.
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Benedetto XV: la guerra è un'«inutile» strage |
E la Chiesa di Roma?
L’andamento e le conseguenze
della guerra si considerano qui noti e nemmeno da riassumere. Merita invece
sottolineare che, a fronte di milioni di morti e immani distruzioni, a
trionfare furono i nazionalismi, a perderci fu l’Europa, che ne uscì ancor più
divisa e indebolita. In quest’ottica, forse, non meriterebbero qualche
riflessione in più i nuovi nazionalismi e questo precipitarsi pericolosamente verso
un altro riarmo insensato?
E la Chiesa, la religione, il
Papa? Purtroppo non furono determinanti né prima né durante la prima guerra
mondiale, perché molti cristiani, in Europa, erano stati contagiati dai
nazionalismi. L’unica voce potente che si levò per far finire l’«inutile
strage» fu quella del papa Benedetto XV (1854-1922), ma non fu ascoltata. Cercò comunque di dare un
segnale forte della presenza della Chiesa in Europa e della necessità di una
pace giusta che tenesse conto delle «aspirazioni dei popoli». Da allora i Papi
sono più attenti, ma purtroppo ancora inascoltati!
Giovanni Longu
Berna 1.5.2024