08 maggio 2024

16. L'Europa della prima metà del Novecento

Tra le cause principali della prima guerra mondiale ci furono secondo molti storici la spinta nazionalistica di alcuni Stati, la mania di grandezza di altri e l’incapacità dei grandi Imperi di gestire la difficile convivenza multietnica. Le conseguenze furono pesanti: il crollo dell’Impero austro-ungarico (da cui nacquero nuovi Stati nazionali indipendenti), il drastico ridimensionamento della Germania, la fine delle tradizionali alleanze (Triplice e Quadruplice) che avevano garantito la pace in Europa per quasi un secolo e la loro sostituzione con altre, destinate a costituire i futuri blocchi, l’ulteriore distacco della Russia dall'Occidente, l’indebolimento generale dell’Europa e il congelamento dell’ideale unitario. Non subì invece nessun contraccolpo il nazionalismo, principale causa della guerra. E le radici cristiane? Non furono eliminate, ma rimasero nascoste, pronte a riemergere.

L’«inutile strage»

Nella prima guerra mondiale, solo nella regione di Verdun (Francia) morirono circa 
 500.000
 soldati. In Europa sono centinaia i sacrari militari della prima guerra mondiale.
Le conseguenze della guerra per l’Europa furono enormi e durature. Oltre ai milioni di morti e feriti (l’«inutile strage» di cui aveva parlato il Papa Benedetto XV) e alle incalcolabili distruzioni, alcune decisioni del Trattato di pace (Versailles 1919) riguardanti in particolare la Germania crearono addirittura le premesse per il successivo conflitto mondiale. Il Reich tedesco fu infatti punito pesantemente, su insistenza della Francia e nonostante i dubbi del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson.

D’altra parte, non si voleva che potesse ripetersi in Europa un nuovo «caso Germania», uno Stato che dall'unificazione (1871) non aveva fatto altro che violare le «regole» del Congresso di Vienna a danno di altri Stati per diventare un impero. Pertanto la Germania doveva essere «punita» esemplarmente, costretta a pagare ingenti riparazioni di guerra e a restituire i territori precedentemente sottratti a Francia (Alsazia e Lorena), Belgio, Cecoslovacchia e Polonia, condizionata militarmente ed economicamente. Nemmeno la Russia, per simili violazioni delle «regole» era stata punita altrettanto severamente (sebbene anch'essa aveva dovuto restituire le terre occupate ingiustamente).

Di fatto, le sanzioni, com'è noto, produssero molti danni non solo alla Germania (perché alimentarono nei tedeschi forti risentimenti che saranno sfruttati dai nazisti per la presa del potere nel 1933), ma all'intera Europa. Da allora, infatti, la paura di una nuova guerra invase il continente e spinse gli Stati vincitori a un riarmo sotto l’egida degli Stati Uniti d’America, che vi contribuirono notevolmente non senza chiedere in contraccambio l’appartenenza alla sua sfera d’influenza, che l’economista Vilfredo Pareto etichettava come «imperialismo».

Capitalismo e comunismo

Sacrario militare di Redipuglia (Friuli Venezia Giulia), con le spoglie di oltre 100.000
soldati italiani. Durante la prima la prima guerra mondiale ne morirono più di 650.000.
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La conseguenza più grave per l’Europa fu però senz'altro la sua perdita d’identità non tanto perché in una serie di concetti tradizionali (diritto, giustizia, nazionalità, democrazia, libertà) s’insinuarono nuove interpretazioni, ma perché ogni Stato doveva scegliere o sottostare a una sfera d’influenza, quella occidentale a guida statunitense o quella orientale a guida russa (poi, dal 1922, sovietica), che di quei concetti davano interpretazioni diverse, sintetizzate (almeno in parte) nei termini di capitalismo (che Vilfredo Pareto chiamava anche «plutocrazia democratica») e comunismo.

In questa situazione di sfacelo, nemmeno la religione, riuscì a restare illesa. Fu infatti coinvolta in tutti i Paesi belligeranti e il Vaticano fu costretto a limitare i suoi interventi non solo per non urtare la sensibilità di alcuni governi, che si sentivano investiti di una sorta di «missione» salvatrice, soprattutto a Oriente, e non avrebbero comunque ascoltato gli appelli del papa, ma anche per non arrecare un colpo mortale alla speranza che già i predecessori di Benedetto XV avevano nutrito di vedere il ritorno delle Chiese orientali separate. 

La prudenza e una certa cautela s'imponeva per la Chiesa di Roma anche nei confronti degli stessi cattolici, per non aggiungere ulteriori divisioni a quelle createsi in seguito alle polemiche sul modernismo (un movimento che si proponeva di «adattare» la religione cattolica alle conquiste moderne nel campo della cultura e del progresso sociale, ma ostacolato dalle gerarchie e poi condannato dalla Chiesa nel 1907). Inoltre, il nazionalismo aveva contagiato non pochi cattolici e per loro l'appello del papa rischiava di rimanere inascoltato.

«Noi dovremo rivolgere una attenzione specialissima - aveva affermato Benedetto XV nell'enciclica Ad Beatissimi Apostolorum del 1914) - a sopire i dissensi e le discordie tra i cattolici, quali esse siano, e ad impedire a non fare più uso di quegli appellativi di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici». Non va inoltre dimenticato che nei vari Stati molti cattolici, animati  da un sincero sentimento patriottico, erano favorevoli alla guerra. 

Un'ulteriore difficoltà per il Vaticano era rappresentata dal fatto che con alcuni Stati coinvolti nella guerra, Italia compresa, la Santa Sede non aveva rapporti diplomatici ed era quindi impossibile il dialogo. 

La Chiesa e la pace

Benedetto XV, un papa inascoltato!
Quando però la cattiveria della guerra si manifestò in tutta la sua brutalità, nel 1917 il papa Benedetto XV non poté fare a meno di appellarsi alla coscienza dei governanti per fermare quella carneficina e sedersi al tavolo delle trattative per una pace «giusta». Di questa indicava anche alcuni principi, uno dei quali riguardava le «questioni territoriali». Il papa auspicava che «di fronte ai vantaggi immensi di una pace duratura le parti contendenti vorranno esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura del giusto e del possibile, [...] delle aspirazioni dei popoli, e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del gran consorzio umano...».

Purtroppo le armi non si fermarono e anche questo appello del papa rimase inascoltato, come quelli che aveva rivolto ai grandi della terra fin dal 1914. Continuava però senza soste l’attività diplomatica della Santa Sede, diretta o indiretta, offrendo mediazioni e suggerimenti concreti per una «pace giusta e durevole», intervenendo per lo scambio dei prigionieri come pure per l’ospedalizzazione in Svizzera di feriti e malati di tutti gli Stati belligeranti.

Benedetto XV non fu ascoltato, in alcuni Stati si affermò il totalitarismo, quasi ovunque fu avviato un riarmo forsennato rendendo quasi inevitabile la seconda guerra mondiale. Eppure i moniti e gli appelli di Benedetto XV alla pace, alla diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti, allo spirito di conciliazione, ai benefici per il consorzio umano di una pace duratura… erano ragionevoli, tant'è che non hanno perso d’attualità. Tuttavia, inspiegabilmente si continua nel mondo e anche in Europa a preferire talvolta l’«inutile strage», mentre tutti i problemi si potrebbero risolvere pacificamente. Una spiegazione l'aveva già data proprio Benedetto XV, che fin dal 1914 denunciava il nazionalismo come il più grave ostacolo all'instaurazione di rapporti pacifici tra i popoli.

Giovanni Longu
Berna, 8.5.2024