26 marzo 2025

1905-14: venti di guerra in Europa

In questo articolo non viene ricordato un anniversario in particolare, per esempio l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale (1915) - che verrà trattato in seguito - ma il periodo precedente, perché può aiutare a capire il senso, o meglio il non senso, anche della seconda guerra mondiale e persino dell’attuale guerra in corso in Europa. Uno storico, Eric Hobsbawm, ha chiamato il XX secolo «il secolo breve», perché il lasso di tempo tra il 1914 e il 1991, ossia fra la prima guerra mondiale e il crollo dell’Unione Sovietica, presenterebbe secondo lui, un carattere coerente, a differenza di quello «lungo», il XIX, iniziato con la Rivoluzione francese (1789) e terminato dalla «belle Époque». Questa opinione, certamente rispettabile, non mi pare condivisibile, soprattutto alla luce delle cause della prima come della seconda guerra mondiale e anche del crollo dell’impero sovietico. Si può infatti intravedere facilmente nel nazionalismo una delle cause principali e una sorta di fil rouge che lega i diversi eventi drammatici della prima metà del XX secolo e persino della guerra in corso tra Russia e Ucraina.

Consenso popolare estorto e ingannevole

Il nazionalismo più temuto nel 1905 era quello russo!
La pace di Francoforte (10.05.1871) seguita alla guerra franco-prussiana (1870-71) per il dominio dell’Alsazia e della Lorena non fu considerata decisiva e duratura né dai perdenti francesi né dai vincitori prussiani: la lotta per l’egemonia in Europa non era nemmeno cominciata, tenendo presenti le rivalità esistenti tra le varie Potenze europee per l’egemonia nelle colonie. Del resto, non va dimenticato che gli appetiti europei non li provavano solo la Germania e la Francia, ma anche la Gran Bretagna, l’Impero austro-ungarico e l’Impero russo. Persino l’Italia aspirava a una maggiore considerazione nella politica internazionale. (Il capo del governo Francesco Crispi sosteneva che «le colonie sono una necessità della vita moderna. Noi non possiamo rimanere inerti… altrimenti saremmo colpevoli di un gran delitto verso la patria nostra».

E’ vero che fino allo scoppio della prima guerra mondiale in Europa, esclusa la Russia (cfr. articolo precedente), regnava una relativa pace e i vari popoli si godevano, chi più chi meno, la belle Époque e il benessere che l’industrializzazione, i commerci e il turismo distribuivano in abbondanza, ma soprattutto le grandi Potenze pensavano seriamente anche alla guerra. La corsa al riamo coinvolse pressoché tutti gli Stati, i forti «per mantenere il proprio potere», i deboli «per correre alla riscossa», i neutrali, come la Svizzera,  «per mantenere la propria indipendenza». Tutti cercavano di potenziare gli eserciti di terra e di mare, predisponevano ogni sorta di difesa in prossimità dei confini, seguivano i rapidi sviluppi dell’aeronautica militare, si dotavano delle armi più sofisticate e potenti, studiavano con chi era più vantaggioso allearsi, elaboravano piani di guerra... perché le tensioni internazionali aumentavano.

Questo spiega anche perché i sentimenti popolari, il patriottismo, l’insistenza sul prestigio internazionale, la difesa della libertà, la prospettiva di migliori condizioni di vita e l’unità nazionale sul finire dell’Ottocento venissero molto sollecitati. Per partecipare a una guerra ritenuta sempre più inevitabile, i governi cercavano di carpire il consenso popolare anche facendo balenare la prospettiva di grandi ricadute positive nell'economia e nel sociale. A questi sentimenti si aggiungeva spesso, specialmente nelle grandi Potenze coloniali, un pregiudizio razziale (benché già contestato scientificamente da decenni) che faceva ritenere ad alcuni popoli europei militarmente forti e appartenenti a razze presunte «superiori», il «diritto» di sottometterne altri «inferiori» e meno forti.

Nazionalismi nella storia

Facendo tesoro della distinzione tra «causa» e «pretesto» di Vilfredo Pareto (1848-1923) proprio in riferimento alla prima guerra mondiale, ritengo che le vere cause della prima guerra mondiale vadano ricercate soprattutto nelle ambizioni delle grandi Potenze ad estendere la loro egemonia su spazi più grandi di quelli nazionali, incuranti dei loro abitanti e ricorrendo persino a giustificazioni moralistiche, come il diritto dei popoli più virtuosi ad opporsi a quelli dominati dalla «sete dell’oro» e dei popoli che si ritengono «unti dal Signore» a combattere quelli «senza Dio», ecc.

Si dimenticava sistematicamente che il nazionalismo nella storia dell’umanità è all'origine di quasi tutte le guerre e di milioni di morti, che fa aumentare la già grande dose di odio presente nelle nostre società e che sfocia spesso nella guerra. Soprattutto i responsabili della politica e degli Stati dovrebbero fare maggiore attenzione alle parole che usano e alle decisioni che prendono a livello internazionale e comunque la loro maggiore preoccupazione non dovrebbe essere quella di prepararsi alla guerra, ma di preparare la pace, stimolando la comprensione reciproca, la tolleranza, la collaborazione, lo sfruttamento in comune delle risorse disponibili, la prosperità di tutti.

Giovanni Longu
Berna 26.03.2025