Negli articoli precedenti sono stati evidenziati numerosi cambiamenti intervenuti nella collettività italiana residente in Svizzera in seguito al riorientamento della politica federale riguardante gli stranieri (a partire dagli anni Settanta del secolo scorso), ma anche alla trasformazione in gran parte naturale (incremento della seconda generazione nonostante un saldo migratorio negativo) dei residenti italiani. Le manifestazioni più vistose e significative dei cambiamenti sono state l’intensificarsi dell’integrazione (linguistica, scolastica, professionale e sociale) e l’aumento delle naturalizzazioni. Una delle conseguenze di questa trasformazione è stata anche il diverso atteggiamento degli italiani verso la politica, quella italiana e quella svizzera. Essa merita qualche riflessione, relativamente al periodo in esame (1990-2000) e poco oltre, soprattutto per conoscere meglio la nuova realtà che questi cambiamenti hanno prodotto e di cui si parla ancora poco.
Gli italiani immigrati e la politica
Gli italiani immigrati in Svizzera non sono mai stati molto interessati né alla politica italiana né a quella svizzera. La politica attiva è stata fin dall'Ottocento appannaggio di gruppi ristretti di persone ben schierate in senso partitico. Per oltre cent’anni gli immigrati sono stati per lo più strumentalizzati da gruppi ristretti di persone fortemente politicizzate. Ci sono stati periodi in cui a dominare furono i socialisti (fino alla prima guerra mondiale, cfr. il «Cooperativo» di Zurigo), poi i fascisti, tra le due guerre mondiali, poi comunisti e socialisti, legati ai fuorusciti del periodo fascista e alla costituzione di associazioni chiaramente orientate politicamente come le Colonie Libere Italiane, alcuni patronati, alcune sedi ACLI (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani), oltre a vere e proprie sezioni dei principali partiti italiani. Gli immigrati italiani sono diventati soggetti politici attivi solo lentamente e di recente.In generale gli immigrati italiani politicizzati (prima
generazione) sono stati sempre molto critici sia verso l’Italia (considerata
più matrigna che patria) che verso la Svizzera (ritenuta sfruttatrice e poco
accogliente). I più attivi nelle proteste e nelle rivendicazioni nei confronti
dell’Italia sono stati i partiti di sinistra (comunisti e socialisti) perché,
stando all'opposizione (specialmente nei primi decenni del dopoguerra),
potevano evidenziare senza remore le lacune e i difetti della politica
emigratoria italiana a direzione democristiana.
L’atteggiamento «politico» degli italiani in Svizzera a
cavallo del terzo millennio (quindi soprattutto seconda generazione e nuovi
immigrati) è stato invece in larga misura di totale disinteresse verso la
politica italiana e di tiepido sebbene crescente interesse verso la politica
svizzera. Il disinteresse era dovuto soprattutto alla mancanza di rapporti
conoscitivi e partecipativi diretti con la politica italiana, ma anche alle
difficoltà identificative della seconda generazione. Del resto è comprensibile
che i giovani italiani non potessero sentirsi a loro agio quando venivano
identificati come Tschingge (come i loro genitori) senza per questo
sentirsi più svizzeri, pur ritenendo comunque che il loro ambiente più naturale
fosse quello svizzero.
Disinteresse verso la politica in generale
In genere, tuttavia, agli immigrati italiani (prima
generazione) la politica interessava poco, non tanto per disinteresse, quanto
perché convinti che il punto di vista degli emigrati contasse poco o niente
nelle stanze dove si prendevano le decisioni anche su di loro. Solo i comunisti
riuscivano a motivarne una parte, tanto è vero che molti treni organizzati per
portare dalla Svizzera gli italiani a votare in Italia erano «rossi», anche se
trasportavano sempre anche numerosi democristiani. Molti tuttavia salivano su
quei treni speciali solo per le agevolazioni di viaggio concesse agli elettori
provenienti dall’estero.
Rispetto alla seconda generazione, tuttavia, gli italiani
della prima generazione, anche se delegavano volentieri l’attività politica ai
(quasi) professionisti, s’interessavano a ciò che succedeva in Italia, perché
si consideravano italiani provvisoriamente all'estero (tant'è che non sentivano
il bisogno d’integrarsi né d’imparare la lingua locale, soprattutto quando si
trattava del tedesco). La politica attiva non rientrava tuttavia nei loro
interessi e non pensavano nemmeno di doversene interessare, ritenendo che tanto
le loro rivendicazioni non sarebbero state prese in considerazione, neppure
quando erano in gioco interessi vitali come quelli al centro degli accordi
sull'emigrazione/immigrazione, sulla sicurezza sociale, sulla scuola o sulla
formazione professionale.
Nei primi decenni del dopoguerra molti italiani sostenitori
dei governi (a lungo a guida democristiana) si astenevano dall'attività
politica perché erano convinti che lo Stato italiano s’impegnasse seriamente a
tutelare il lavoro italiano all'estero (come prescrive l’art. 35 della
Costituzione), tanto è vero che in tutti i governi c’era sempre qualche
ministro o sottosegretario incaricato di questa tutela. Non ne erano invece
convinti gli oppositori, che non risparmiavano critiche, manifestazioni e
rivendicazioni né al governo né ai suoi rappresentanti in Svizzera, avvalendosi
delle forze d’opposizione di sinistra, ben rappresentate nel parlamento, nei
sindacati, nei patronati e nell'associazionismo.
Attivismo delle sinistre
Da questa specie di torpore politico gli emigrati adulti
venivano scossi di tanto in tanto specialmente dai partiti di sinistra in
occasione di votazioni o elezioni in Italia. Per queste votazioni si cercava di
mobilitare il maggior numero di italiani perché il loro voto sembrava
determinante (com’è stato effettivamente in qualche occasione) per poter
modificare la loro condizione di emigrati. In genere, tuttavia, i partiti della
sinistra erano i più attivi tutto l’anno.
Con la diffusione dell’attività politica, specialmente negli
anni Ottanta e Novanta, i partiti politici assunsero grande importanza e
finirono per imporre i loro punti di vista anche all'associazionismo,
specialmente in occasione delle elezioni dei Comites (Comitati degli italiani
all'estero) e del CGIE (Consiglio generale degli italiani all'estero), influenzando
anche le associazioni nazionali e regionali, i patronati e gli enti di
formazione professionale.
Allora si parlò persino di eccesso di politicizzazione,
perché l’attenzione quasi esclusiva alla politica italiana sottraeva energie preziose
allo sforzo che avrebbe potuto essere indirizzato alla soluzione di vecchi e
nuovi problemi d’integrazione, di formazione scolastica (indirizzo e gestione
dei corsi di lingua e cultura) e professionale (orientamento, assistenza), di
sostegno e sviluppo dell’italianità (in collaborazione con tutti gli
italofoni), di potenziamento di organismi consultivi misti, ecc. Per di più, la
dipendenza dalla politica italiana introduceva nel sistema associazionistico
svizzero elementi di conflittualità fino ad allora sconosciuti in Svizzera, che
agiva negativamente sull'elemento giovanile fino al punto dal farlo quasi
scomparire completamente dalle associazioni tradizionali ritenute ormai
superate.
Diritto di voto degli italiani all'estero
Negli anni Novanta, quando cadde il divieto dell’attività politica degli stranieri e quando divenne possibile per i cittadini italiani conservare la cittadinanza italiana anche se acquistavano quella svizzera, ai politici italiani in Svizzera si presentò una specie di alternativa: occuparsi maggiormente delle questioni risolvibili dall'Italia o perseguire obiettivi risolvibili in ambito svizzero? Osservando l’intensità dell’impegno profuso la risposta più spontanea è che fu scelta in generale la prima opzione. Merita al riguardo ricordare anzitutto alcuni fatti.
Com'è noto, quel diritto venne riconosciuto con una legge
costituzionale nel 2001, ma gran parte di quelle speranze svanì già alla prima
occasione capitata per esercitarlo (referendum del giugno 2003) perché molti
plichi non furono consegnati (in quanto muniti di indirizzi incompleti o
inesistenti) e la partecipazione fu piuttosto modesta. Anche nelle successive
votazioni la partecipazione fu piuttosto bassa, generando fra l’altro polemiche
interminabili sul sistema elettorale, sull'organizzazione, sulla segretezza del
voto (per nulla garantita), ecc.
Si finì per discutere persino della validità del voto
all'estero in quelle condizioni e se non fosse stato preferibile dedicare maggiori
sforzi, per esempio, all'ottenimento del diritto di voto per le amministrative
svizzere e in genere al diritto-dovere degli immigrati alla partecipazione a
tutti quegli organismi che hanno nella vita reale una forte influenza
(commissioni scolastiche, commissioni di quartiere, commissioni degli
stranieri, commissioni di genitori, commissioni sindacali, commissioni
ecclesiali, commissioni culturali, ecc. ecc.). (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 15.06.2022