La Svizzera, un Paese ancora bloccato da contrapposizioni socio-politiche (destra rurale conservatrice e borghesia urbana innovatrice e dinamica) e antropologiche («un piccolo popolo di signori cittadini» e stranieri considerati forza lavoro «indispensabile al benessere», Max Frisch), ma trascinato dall'incessante sviluppo economico, negli anni Sessanta si domandava di quanti lavoratori stranieri l’economia avesse ancora bisogno, dimenticandosi che erano «persone». Negli anni Settanta fu scelta la prospettiva d’integrarli, ma senza interpellarli. Il CISAP è stato una delle prime istituzioni, costituita essenzialmente di stranieri, che con la sua idea di formazione professionale s’impose all'attenzione dell’associazionismo, delle autorità italiane e svizzere, dei sindacati e dei datori di lavori, perché proponeva una via all’integrazione singolare, efficace e coinvolgente.
Necessità del cambiamento
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Prima sede del CISAP (1966) |
respirava nella collettività italiana nella seconda metà degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta. Gli italiani restavano sempre più a lungo in Svizzera, erano ritenuti indispensabili da molte imprese come forza lavoro, ma la società svizzera non riusciva a considerarli come parte integrante di pari dignità. Intanto il mondo stava cambiando velocemente, l’economia si trasformava, la seconda generazione avanzava senza precisi orientamenti e sufficienti stimoli all'integrazione.
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L'edificio allo Jägerweg, oggi. |
Non tutti gli immigrati ne erano convinti, perché nella
coscienza di molti prevaleva il senso della provvisorietà dell’esperienza
migratoria, in altri pesava il complesso dell’incapacità a seguire studi di
qualsiasi genere, altri ancora ritenevano di non disporre del tempo necessario
per tornare sui banchi di scuola o di non averne bisogno. L’opera di
convincimento ad imparare un mestiere o a migliorare quello imparato ed
esercitato fu un’impresa gigantesca. Decine di associazioni, visitate negli
anni Settanta e Ottanta dal direttore Giorgio Cenni e
da altri dirigenti del CISAP, sentirono forse per la prima volta che in
Svizzera c’era per tutti almeno una possibilità di apprendere una professione
seria, di esercitarla con dignità e attraverso tale esperienza entrare a testa
alta nella società svizzera. Molti ne approfittarono.
Dall'idea alla sua realizzazione
Quando oggi si parla di «scuola» viene subito in mente una
struttura di apprendimento, solida e accogliente, che lo Stato mette a
disposizione dei cittadini più giovani per soddisfare il più ampiamente
possibile il loro diritto fondamentale allo studio e al sapere. Oltre
all'istruzione inferiore, che è obbligatoria e gratuita, secondo la
Costituzione italiana, lo Stato deve garantire anche il diritto ad accedere alle
formazioni post obbligatorie e «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
Questi principi sembravano inapplicabili per gli immigrati.
Si diceva, qui in Svizzera, a proposito degli immigrati del secondo dopoguerra,
che essendo ormai adulti, sebbene molti non avessero nemmeno completato la
scuola obbligatoria e alcuni fossero rimasti addirittura analfabeti, non
potevano più rivendicare il diritto allo studio e ancor meno a una formazione
professionale di base post obbligatoria. Di fatto, lo Stato italiano non si
sentiva obbligato a finanziare corsi professionali e nemmeno la Svizzera
riteneva di aver contratto alcun obbligo in questo senso con gli accordi di
emigrazione/immigrazione con l’Italia, nonostante sapesse benissimo che ne
sarebbe stata la principale beneficiaria.
Non è facile anche solo immaginare a questo punto quante
difficoltà dovettero superare i dirigenti del CISAP per creare il Centro, cioè
la scuola di apprendimento dei mestieri più richiesti in quel momento
dall'industria svizzera. La realtà in quel caso superò l’immaginazione perché
quegli idealisti riuscirono effettivamente a trasformare un’idea astratta,
magari sognata ad occhi aperti, in una vera scuola di formazione professionale
(sia pure collocata provvisoriamente in una villetta con uno scantinato e poche
stanze nel quartiere di Breitenrain di Berna), ad attirare numerosi allievi e
organizzare svariati corsi.
Insegnanti e programmi
Una scuola è sempre una realtà molto complessa. Ma nel caso
del primo centro CISAP la complessità doveva essere ben maggiore, oggi forse
inimmaginabile. Basti pensare anche solo alla sede: quale? dove? chi avrebbe
garantito il pagamento dell’affitto, visto che la neocostituita associazione
non aveva un soldo? Fortunatamente a firmare il contratto fu la Colonia libera
di Berna. La sede, però, era tutta da adattare e sistemare (rifinitura e
imbiancatura delle pareti) e ciò fu possibile solo grazie al lavoro gratuito
nel tempo libero dei futuri dirigenti e insegnanti.
A proposito di insegnanti: erano tutti da reclutare,
preparare e motivare per mettere a disposizione di altri tempo e conoscenze in
cambio di un compenso poco più che simbolico. Fu un’opera molto delicata, non
solo per la penuria di personale competente di lingua italiana nelle materie
professionali, ma anche perché dovevano possedere una sensibilità particolare,
visto che dovevano insegnare a persone non abituate allo studio, con gradi
diversi di scolarizzazione e non tutte ugualmente motivate.
Gli insegnanti avevano inoltre un compito particolarmente
difficile, quello della preparazione dei programmi. Nelle grandi città, dove
era maggiore la concentrazione degli italiani, venivano già organizzati corsi
di lingua, disegno, taglio e cucito e simili, ma erano molto frammentari,
lacunosi e poco incisivi. Al CISAP, invece, si volevano condurre corsi
completi, teorico-pratici, per tornitori, fresatori, automeccanici, elettrauto
ed altre professioni particolarmente richieste e bisognava disporre di programmi
adatti. Poiché non potevano essere ripresi tali e quali quelli italiani
adottati per esempio da centri professionali regionali né quelli svizzeri
predisposti per apprendisti al termine della scuola obbligatoria, fu giocoforza
crearne dei nuovi attingendo dagli uni e dagli altri. Fu un’opera faticosa, ma
pagante.
Il sostegno delle autorità e delle parti sociali
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L'ultima sede del CISAP a Berna (foto 1974) |
A questi pionieri apparve infatti evidente fin dalla metà
degli anni Sessanta (quindi prima ancora che si parlasse espressamente di
formazione professionale degli immigrati finalizzata alla loro integrazione
professionale e sociale) che in Svizzera nessuna grande impresa del genere,
così impegnativa ed esigente (anche finanziariamente), sarebbe stata possibile
senza il sostegno non solo delle autorità italiane e svizzere, ma anche dei
sindacati e dei datori di lavoro svizzeri. Per questo si cercò fin dagli anni
Sessanta di coinvolgere nella gestione del CISAP i rappresentanti di tutte le
istituzioni interessate e gli sforzi furono abbondantemente premiati, come si
vedrà meglio nel prossimo articolo.
Va detto comunque da subito che questo coinvolgimento
responsabile e collegiale delle principali istituzioni italiane e svizzere ha
reso il CISAP un modello paradigmatico non solo nel campo della formazione
professionale, come accennato in chiusura dell’articolo precedente, ma anche in
altri campi. Nel 1970, il capo dell’Ufficio cantonale di Berna per la
formazione professionale, Otto Nickler, ha scritto:
«I1 CISAP, il centro italiano per la formazione e il
perfezionamento professionale in Berna, è un esempio di come l'iniziativa e la
volontà persistente di alcuni siano in grado di determinare il destino di
molti. Al principio era in verità l'idea. L'idea di avviare e perfezionare
professionalmente i connazionali italiani durante il loro tempo libero e
renderli in questa maniera più utili collaboratori e uomini più responsabili.
Questa possibilità in questi anni si è trasformata in realtà ed è divenuta una
«speranza per i lavoratori stranieri». (Segue)