09 giugno 2021

Immigrazione italiana 1970-1990: 44. La formazione professionale garanzia d’integrazione (2a parte)

La Svizzera, un Paese ancora bloccato da contrapposizioni socio-politiche (destra rurale conservatrice e borghesia urbana innovatrice e dinamica) e antropologiche («un piccolo popolo di signori cittadini» e stranieri considerati forza lavoro «indispensabile al benessere», Max Frisch), ma trascinato dall'incessante sviluppo economico, negli anni Sessanta si domandava di quanti lavoratori stranieri l’economia avesse ancora bisogno, dimenticandosi che erano «persone». Negli anni Settanta fu scelta la prospettiva d’integrarli, ma senza interpellarli. Il CISAP è stato una delle prime istituzioni, costituita essenzialmente di stranieri, che con la sua idea di formazione professionale s’impose all'attenzione dell’associazionismo, delle autorità italiane e svizzere, dei sindacati e dei datori di lavori, perché proponeva una via all’integrazione singolare, efficace e coinvolgente.

Necessità del cambiamento

Prima sede del CISAP (1966)

Per cogliere il carattere innovativo e risolutivo dell’iniziativa CISAP occorre ricordare, sia pure brevemente, il contesto generale dell’economia e della società svizzere, ma anche l’atmosfera che si
respirava nella collettività italiana nella seconda metà degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta. Gli italiani restavano sempre più a lungo in Svizzera, erano ritenuti indispensabili da molte imprese come forza lavoro, ma la società svizzera non riusciva a considerarli come parte integrante di pari dignità. Intanto il mondo stava cambiando velocemente, l’economia si trasformava, la seconda generazione avanzava senza precisi orientamenti e sufficienti stimoli all'integrazione.

L'edificio allo Jägerweg, oggi.
Gli immigrati (italiani) furono tra i primi ad avvertire i venti del cambiamento, perché erano i primi a subirne le conseguenze, come dimostrò la crisi economica della metà degli anni Settanta: oltre trecentomila posti di lavoro persi a danno soprattutto degli stranieri, perché meno qualificati e meno preparati a seguire l’evoluzione tecnologica del lavoro. I dirigenti del CISAP, fondando il Centro (1966), erano convinti che la migliore salvaguardia del posto di lavoro e il più efficace strumento per l’integrazione era una solida formazione professionale.


Non tutti gli immigrati ne erano convinti, perché nella coscienza di molti prevaleva il senso della provvisorietà dell’esperienza migratoria, in altri pesava il complesso dell’incapacità a seguire studi di qualsiasi genere, altri ancora ritenevano di non disporre del tempo necessario per tornare sui banchi di scuola o di non averne bisogno. L’opera di convincimento ad imparare un mestiere o a migliorare quello imparato ed esercitato fu un’impresa gigantesca. Decine di associazioni, visitate negli anni Settanta e Ottanta dal direttore
Giorgio Cenni e da altri dirigenti del CISAP, sentirono forse per la prima volta che in Svizzera c’era per tutti almeno una possibilità di apprendere una professione seria, di esercitarla con dignità e attraverso tale esperienza entrare a testa alta nella società svizzera. Molti ne approfittarono.

Dall'idea alla sua realizzazione

Quando oggi si parla di «scuola» viene subito in mente una struttura di apprendimento, solida e accogliente, che lo Stato mette a disposizione dei cittadini più giovani per soddisfare il più ampiamente possibile il loro diritto fondamentale allo studio e al sapere. Oltre all'istruzione inferiore, che è obbligatoria e gratuita, secondo la Costituzione italiana, lo Stato deve garantire anche il diritto ad accedere alle formazioni post obbligatorie e «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».

Questi principi sembravano inapplicabili per gli immigrati. Si diceva, qui in Svizzera, a proposito degli immigrati del secondo dopoguerra, che essendo ormai adulti, sebbene molti non avessero nemmeno completato la scuola obbligatoria e alcuni fossero rimasti addirittura analfabeti, non potevano più rivendicare il diritto allo studio e ancor meno a una formazione professionale di base post obbligatoria. Di fatto, lo Stato italiano non si sentiva obbligato a finanziare corsi professionali e nemmeno la Svizzera riteneva di aver contratto alcun obbligo in questo senso con gli accordi di emigrazione/immigrazione con l’Italia, nonostante sapesse benissimo che ne sarebbe stata la principale beneficiaria.

Non è facile anche solo immaginare a questo punto quante difficoltà dovettero superare i dirigenti del CISAP per creare il Centro, cioè la scuola di apprendimento dei mestieri più richiesti in quel momento dall'industria svizzera. La realtà in quel caso superò l’immaginazione perché quegli idealisti riuscirono effettivamente a trasformare un’idea astratta, magari sognata ad occhi aperti, in una vera scuola di formazione professionale (sia pure collocata provvisoriamente in una villetta con uno scantinato e poche stanze nel quartiere di Breitenrain di Berna), ad attirare numerosi allievi e organizzare svariati corsi.

Insegnanti e programmi

Una scuola è sempre una realtà molto complessa. Ma nel caso del primo centro CISAP la complessità doveva essere ben maggiore, oggi forse inimmaginabile. Basti pensare anche solo alla sede: quale? dove? chi avrebbe garantito il pagamento dell’affitto, visto che la neocostituita associazione non aveva un soldo? Fortunatamente a firmare il contratto fu la Colonia libera di Berna. La sede, però, era tutta da adattare e sistemare (rifinitura e imbiancatura delle pareti) e ciò fu possibile solo grazie al lavoro gratuito nel tempo libero dei futuri dirigenti e insegnanti.

A proposito di insegnanti: erano tutti da reclutare, preparare e motivare per mettere a disposizione di altri tempo e conoscenze in cambio di un compenso poco più che simbolico. Fu un’opera molto delicata, non solo per la penuria di personale competente di lingua italiana nelle materie professionali, ma anche perché dovevano possedere una sensibilità particolare, visto che dovevano insegnare a persone non abituate allo studio, con gradi diversi di scolarizzazione e non tutte ugualmente motivate.

Gli insegnanti avevano inoltre un compito particolarmente difficile, quello della preparazione dei programmi. Nelle grandi città, dove era maggiore la concentrazione degli italiani, venivano già organizzati corsi di lingua, disegno, taglio e cucito e simili, ma erano molto frammentari, lacunosi e poco incisivi. Al CISAP, invece, si volevano condurre corsi completi, teorico-pratici, per tornitori, fresatori, automeccanici, elettrauto ed altre professioni particolarmente richieste e bisognava disporre di programmi adatti. Poiché non potevano essere ripresi tali e quali quelli italiani adottati per esempio da centri professionali regionali né quelli svizzeri predisposti per apprendisti al termine della scuola obbligatoria, fu giocoforza crearne dei nuovi attingendo dagli uni e dagli altri. Fu un’opera faticosa, ma pagante.

Il sostegno delle autorità e delle parti sociali

L'ultima sede del CISAP a Berna (foto 1974)
Va reso omaggio a quanti hanno creduto nell'iniziativa CISAP e si sono prodigati senza riserva nel reperimento e nell'adeguamento dei locali della scuola, nella scelta e nella motivazione degli insegnanti e istruttori e nella preparazione dei programmi tenendo giustamente conto delle esigenze particolari, ma il riconoscimento maggiore deve andare soprattutto a Giorgio Cenni e a quanti hanno condiviso con lui la preoccupazione e l’intuizione geniale di coinvolgere nel progetto e soprattutto nella realizzazione del CISAP le istituzioni.

A questi pionieri apparve infatti evidente fin dalla metà degli anni Sessanta (quindi prima ancora che si parlasse espressamente di formazione professionale degli immigrati finalizzata alla loro integrazione professionale e sociale) che in Svizzera nessuna grande impresa del genere, così impegnativa ed esigente (anche finanziariamente), sarebbe stata possibile senza il sostegno non solo delle autorità italiane e svizzere, ma anche dei sindacati e dei datori di lavoro svizzeri. Per questo si cercò fin dagli anni Sessanta di coinvolgere nella gestione del CISAP i rappresentanti di tutte le istituzioni interessate e gli sforzi furono abbondantemente premiati, come si vedrà meglio nel prossimo articolo.

Va detto comunque da subito che questo coinvolgimento responsabile e collegiale delle principali istituzioni italiane e svizzere ha reso il CISAP un modello paradigmatico non solo nel campo della formazione professionale, come accennato in chiusura dell’articolo precedente, ma anche in altri campi. Nel 1970, il capo dell’Ufficio cantonale di Berna per la formazione professionale, Otto Nickler, ha scritto:

«I1 CISAP, il centro italiano per la formazione e il perfezionamento professionale in Berna, è un esempio di come l'iniziativa e la volontà persistente di alcuni siano in grado di determinare il destino di molti. Al principio era in verità l'idea. L'idea di avviare e perfezionare professionalmente i connazionali italiani durante il loro tempo libero e renderli in questa maniera più utili collaboratori e uomini più responsabili. Questa possibilità in questi anni si è trasformata in realtà ed è divenuta una «speranza per i lavoratori stranieri». (Segue)