11 novembre 2025

1945: Svizzera chiama Italia (prima parte)

«A quanti sostengono ancora che l’emigrazione italiana del secondo dopoguerra fu una sorta di fuga dall'Italia di povera gente alle prese con la disoccupazione e il sottosviluppo del Mezzogiorno, alla disperata ricerca di lavoro in Svizzera, andrebbe ricordato che fu la Svizzera a richiedere contingenti di manodopera italiana prima ancora che fosse terminata la guerra». Così scrivevo in una nota sul Corriere del Ticino del 14.11.2012. Lo confermo con qualche precisazione, nell'intento di apportare alla storia dell’immigrazione italiana in Svizzera qualche elemento di verità in più rispetto a una diffusa narrazione fondata su alcuni pregiudizi di «storici» contemporanei, per esempio la semplificazione di una estrema facilità di trovare lavoro in Svizzera (come se non esistesse una frontiera svizzera ben controllata) o la contrapposizione insanabile tra immigrati (italiani) sfruttati e svizzeri capitalisti e sfruttatori, per altro senza alcuno sforzo di comprensione della mentalità, delle paure e delle istituzioni svizzere del secondo dopoguerra.

Situazione italiana e svizzera alla fine della guerra

L’Italia era uscita dalla guerra perdente e malconcia, con un apparato industriale semidistrutto o da convertire e comunque fortemente condizionato dalla scarsità di materie prime e di carburanti (carbone, petrolio e derivati), con più di due milioni di disoccupati soprattutto al Nord, una agricoltura arretrata e con una popolazione poco istruita (l’analfabetismo era ancora molto diffuso). Le vie d’uscita erano essenzialmente due: ottenere rapidamente aiuti esterni o emigrare. Poiché gli Alleati non approvarono l’accordo commerciale concordato tra l’Italia e la Svizzera il 10 agosto 1945, a molti italiani non rimaneva che l’alternativa di emigrare. Ma dove emigrare?

Grazie alla sua neutralità, la Svizzera, era uscita piuttosto bene dalla guerra, con un’infrastruttura industriale e commerciale efficiente e si trovò subito sommersa di richieste di beni e servizi provenienti da molte parti d’Europa, che però non riusciva a fornire. Per riuscirvi aveva urgente bisogno di accrescere la capacità industriale, di sostituire nell'agricoltura la manodopera che si era trasferita nel secondario più sicuro e meno soggetto a imprevisti, di sviluppare il terziario che reclamava anch'esso risorse umane, soprattutto nei comparti prima coperti da personale germanico.

Soprattutto le grandi aziende e le organizzazioni dei contadini, degli albergatori e degli industriali insistevano sul governo, tramite l’Ufficio federale dell'industria, delle arti e mestieri e del lavoro (UFIAML), perché autorizzasse il reclutamento di manodopera straniera, «l’unica al momento in grado di coprire il fabbisogno urgente di personale delle aziende».

In passato, per soddisfare esigenze di questo tipo la Svizzera aveva reclutato manodopera soprattutto nei Paesi confinanti (Germania, Austria, Francia e Italia). Ora però il mercato del lavoro di questi Paesi, ad eccezione di quello italiano, era in buona parte bloccato perché gli Alleati non lasciavano emigrare tedeschi e austriaci e la Francia era essa stessa alla ricerca di manodopera. Solo il mercato del lavoro italiano era disponibile.

Trattative facili con l’Italia

Nell'autunno del 1945 il Consiglio federale autorizzò le trattative con i vari Stati, indicando tuttavia alcuni principi inderogabili, ad esempio che la ricerca avvenisse dapprima tra i lavoratori svizzeri, che gli stranieri venissero assunti alle stesse condizioni salariali e lavorative degli svizzeri e che i governi interessati garantissero la disponibilità a riaccogliere i propri connazionali qualora non fossero stati più necessari alla Svizzera.

Anche se non compare in alcun documento ufficiale è presumibile che tra le raccomandazioni delle autorità federali ci fosse anche di fare molta attenzione alle idee politiche degli stranieri per evitare che tra gli immigrati s’infiltrassero fascisti, bolscevichi (comunisti), ricercati per reati comuni, attivisti e contestatori che avrebbero potuto creare un allarme sociale.

In questo atteggiamento delle autorità svizzere è facile vedere non solo la volontà di evitare il rischio della disoccupazione e del disagio sociale in caso di una eventuale recessione (prevista da molti economisti per l’immediato dopoguerra), ma anche l’intenzione della Confederazione di gestire direttamente (e non tramite i Cantoni) la politica migratoria in modo da garantire la «pace del lavoro» raggiunta nel 1937 e la lotta all'inforestierimento come imponeva la legge sugli stranieri del 1931. Questo significava, ad esempio, che (quasi) tutti i permessi di lavoro e di soggiorno fossero stagionali e non a tempo indeterminato.

Fin dai primi contatti con la Legazione italiana (che sarà elevata al rango di Ambasciata nel 1953) non fu difficile trovare subito un accordo informale, perché i rapporti italo-svizzeri in materia di immigrazione erano stati soprattutto nel passato (quasi sempre) buoni e durante la guerra i buoni uffici della Svizzera avevano facilitato la resa dei tedeschi in Italia («operazione Sunrise», cfr.  https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2025/11/1945-2025-80-anni-fa-loperazione-sunrise.html). E poiché era urgente per entrambe le parti che i flussi migratori cominciassero subito, si derogò dalla forma dell’accordo formale. L’UFIAML, esaminate le richieste provenienti dai vari settori (tanti muratori, tanti carpentieri, tanti contadini, ecc.), le inoltrò immediatamente alla Legazione, che a sua volta le trasmise agli organi competenti in Italia (uffici del lavoro, uffici di collocamento, ecc.).

Inizialmente le richieste furono soddisfatte con urgenza, tant'è che un primo contingente di 300 immigrate valtellinesi, destinate a sostituire la tradizionale manodopera germanica in alcuni comparti del terziario, giunse in Svizzera già nel 1945. Le richieste e i relativi permessi aumentarono negli anni successivi: nel 1946 vennero rilasciati a italiani ben 36.271 permessi di soggiorno, diventati 126.548 nel 1947, senza contare i permessi prolungati. (Segue)

Giovanni Longu
Berna 11.11.2025