02 maggio 2012

Quanta italianità c’è a Berna! (3a parte)


Nei secoli XVIII e XIX un viaggio in Italia e specialmente a Roma, Firenze, Venezia era per molti ricchi aristocratici di tutta l’Europa una questione di prestigio, per molti artisti (soprattutto pittori e architetti) una tappa fondamentale della loro formazione. Il desiderio di conoscere il «Paese dove fioriscono i limoni», come scriveva Goethe (1749-1832), e la patria del Rinascimento, sembrava irresistibile anche in Svizzera. Numerosi artisti che operarono a Berna avevano tratto ispirazione da questi viaggi. Non si spiega diversamente il fiorire di opere in stile neorinascimentale e neoclassico a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.

I palazzi federali
Il primo grande esempio ispirato ai palazzi rinascimentali fiorentini fu il Palazzo consiliare della Confederazione (1852-1857), oggi Palazzo federale ovest. Lo stesso stile neorinascimentale fu adottato per il vicino Bernerhof (1856-1858), originariamente un hotel di lusso, per il Palazzo federale est (1888-1892) e per il Palazzo del Parlamento (1894-1902), come pure per la sistemazione della Bundesgasse.
Per la realizzazione del Palazzo del Parlamento, che doveva rappresentare il monumento simbolo della nazione, in cui tutte le comunità linguistiche e culturali svizzere dovevano potersi ritrovare, non solo vennero scelti ditte svizzere e materiali di provenienza quasi esclusivamente indigena (con l’eccezione di qualche marmo italiano), ma anche gli artisti scelti dovevano essere espressione delle quattro sensibilità artistiche nazionali.

Palazzo federale, "Sala dei passi perduti"
Soffitto dipinto dal ticinese A. Barzaghi-Cattaneo
 All’abbellimento interno del Palazzo del Parlamento parteciparono numerosi artisti ticinesi: il pittore Antonio Barzaghi-Cattaneo (dipinti della «sala dei passi perduti») e gli scultori Natale Albisetti, Antonio e Giuseppe Chiattone, Anselmo Laurenti, Raimondo Pereda, Antonio Soldini e Luigi Vassalli.
Tra i materiali utilizzati, il granito proveniva in gran parte da cave del Ticino e del Cantone di Uri appartenenti alla ditta Antonini, un imprenditore italiano. La stessa ditta fornirà anni più tardi la base in granito ticinese del monumento dedicato all’Unione telegrafica internazionale, opera in bronzo dell’italiano Giuseppe Romagnoli (1872-1966), collocato all’Helvetiaplatz, davanti al Museo storico di Berna.

Galeotto fu il mattone!
Il contributo italiano e ticinese fu notevole nel completamento dei principali collegamenti ferroviari di Berna col resto della Svizzera (1856-1901), ma soprattutto nella realizzazione dell’edilizia residenziale, che conobbe un vero e proprio boom tra il 1890 e il 1914 in seguito al forte incremento demografico di quel periodo, dovuto in parte anche all’arrivo nella capitale di numerosi funzionari federali. I cantieri sorgevano ovunque, specialmente nelle zone periferiche della vecchia città, dove stavano crescendo i nuovi quartieri (Lorraine, Länggasse, Kirchenfeld- Gryphenhübeli-Schosshalde).
In quest’ultimo quartiere, nel 1893 si verificò contro gli italiani un episodio di straordinaria violenza, che è passato alla storia come il «Käfigturmkrawall» (Rivolta del Käfigturm). L’area a sud della città, al di là dell’Aare, ancora terreno agricolo appartenente al ricco patriziato bernese, era stata acquisita dalla società a capitale inglese Bern-Land-Company in cambio della costruzione gratuita di un ponte di collegamento tra le due parti della città.
Quando nel settembre 1883 il ponte monumentale in ferro (Kirchenfeldbrücke) fu terminato, numerose imprese edilizie cominciarono a costruire in base a una precisa pianificazione urbanistica che prevedeva essenzialmente la realizzazione di una specie di quartiere modello di ville con giardino per persone benestanti, oltre ad alcuni edifici per la Confederazione.
Uno dei primi costruttori fu l’impresa italiana Gaggione, che portò a termine in breve tempo sia il ristorante Kirchenfeld che alcuni edifici vicini della Thunstrasse e della Marienstrasse. Fu anche l’inizio di un’ondata di arrivi di lavoratori italiani (e ticinesi). Molte ditte preferivano infatti la manodopera italiana (e ticinese) perché costava meno e rendeva più di quella indigena. Gli italiani lavoravano infatti generalmente a cottimo e soprattutto erano più esperti degli svizzeri nell’utilizzo del mattone (Backstein), usato abitualmente in Italia, mentre a Berna cominciava solo allora ad essere preferito all’arenaria (Sandstein) tradizionale.

Käfigturmkrawall (1893)
In questa situazione, molti muratori e manovali bernesi finivano per non trovare lavoro e accusavano gli italiani di essere la causa della crescente disoccupazione e della pressione sui salari esercitata dagli imprenditori. Il 19 giugno 1893 decisero di passare dalle proteste verbali ai fatti. 50-60 manovali bernesi, per lo più disoccupati, partiti dalla piazza della stazione dove si erano radunati, assalirono alcuni cantieri del quartiere di Kirchenfeld distruggendo ponteggi e picchiando gli operai italiani. Fortunatamente non ci furono morti.
 
Berna, 1893: Käfigturmkrawall (disegno dell'epoca)

Per stroncare le violenze e impedire altri danneggiamenti, intervenne la polizia che arrestò alcuni agitatori. Più tardi però la massa degli assalitori s’ingrossò a più di mille e in serata si trasferì davanti alla Torre delle prigioni (Käfigturm) rivendicando la liberazione degli arrestati. La polizia dovette chiedere l’aiuto urgente dell’esercito per disperdere i manifestanti e presidiare i numerosi cantieri dove lavoravano italiani. I militari venuti da Thun e da Lucerna restarono per oltre un mese in città al fine di evitare altre violenze e danni materiali nei cantieri.
Quei disordini segnarono purtroppo l’inizio di un progressivo distacco tra la collettività svizzera e quella degli italiani, che finiranno per condurre praticamente vite parallele ancora per molto tempo. Già nel 1884 gli italiani di Berna avevano creato tra loro una società di mutuo soccorso e numerose altre associazioni vedranno la luce nei decenni successivi. D’altra parte, i datori di lavoro nel settore delle costruzioni continueranno a preferire gli italiani, tanto più che a Berna si registravano meno scioperi che, per esempio, a Zurigo o a Basilea. Sicché gli italiani continuarono ad arrivare fino a divenire una forza insostituibile, come attestò nel 1899 l’ex presidente della Confederazione Numa Droz: «considero l’immigrazione italiana non solo utile, ma necessaria».

Il boom edilizio e gli italiani
In effetti, tra la fine del secolo e il 1914, l’attività edilizia era frenetica non solo nel quartiere di Kirchenfeld-Gryphenhübeli-Schosshalde, ma in tutti i nuovi quartieri Lorraine, Länggasse, Breitenrain-Wyler e anche nel comune di Bümpliz. Si costruiva di tutto: scuole, caserme, ospedali, chiese, fabbriche, alberghi, ville e semplici case d’abitazione, ove possibile ispirandosi al modello urbanistico del celebre architetto triestino Camillo Sitte (1843-1903), illustrato nel suo libro «Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen» (L'arte di costruire le città, L'urbanistica secondo i suoi fondamenti estetici) del 1889.
Tra le chiese merita di esse ricordata la Chiesa della Santissima Trinità (consacrata nel 1899), voluta dai cattolici bernesi rimasti senza una loro chiesa nel 1875 (all’epoca del Kulturkampf, ossia la reazione di una parte dei cattolici svizzeri alla proclamazione dell’infallibilità del papa durante il Concilio Vaticano I) e costruita in stile romanico-lombardo la cui facciata ricorda facilmente la Chiesa di San Zeno. Per lungo tempo venne chiamata negli ambienti italofoni «la chiesa dei ticinesi».
In quel periodo l’edilizia residenziale era in forte espansione. I cantieri erano moltissimi e ovunque la maggioranza degli operai era costituita ormai da italiani, sia che le imprese fossero italiane o ticinesi e sia che fossero svizzero-tedesche. Vennero create migliaia di abitazioni per una popolazione in rapida crescita (tra il 1890 e il 1915 era raddoppiata toccando 100.000 abitanti). Ad usufruirne furono solo in minima parte gli operai italiani che, essendo per lo più stagionali, disponevano solo di baracche o mansarde.
Gli italiani (e i ticinesi) non erano tuttavia solo «bassa forza», manovali o al massimo muratori. C’erano tra loro anche capomastri, costruttori e architetti. Un bell’esempio si ebbe proprio nel comune di Bümpliz (prima che venisse assorbito da Berna nel 1919).

Un quartiere «italiano» a Bümpliz
Bümpliz all’inizio del secolo scorso conobbe una forte espansione, grazie alla vicinanza a Berna e ai collegamenti creati dalle nuove linee ferroviarie Berna-Friburgo e Berna-Neuchâtel, entrambe passanti per Bümpliz. Il primo sviluppo si ebbe nelle vicinanze della stazione Bümpliz Sud, ad opera principalmente dell’architetto costruttore ticinese Battista Fontana. Quasi contemporaneamente, nella zona ad est dell’attuale Brünnenstrasse, fino ad allora terreno agricolo, l’imprenditore italiano Benjamino Clivio (che aveva cominciato la carriera come aiutante muratore, come molti altri italiani prima e dopo di lui!) costruì oltre duecento case d’abitazione e un piccolo quartiere di villette signorili con giardino, considerate tutt’ora degne di conservazione. Tra i suoi circa 80 dipendenti ebbe per due stagioni anche Benito Mussolini, prima che fosse arrestato ed espulso dalla Svizzera.
Edificio costruito a Benjamino Clivio nel 1905 a Bümpliz
Oltre che ai due architetti-costruttori menzionati, l’italianità di Bümpliz è anche legata a un altro celebre personaggio, Carl Albert Loosli (1877-1959), uno tra i più importanti e significativi intellettuali svizzeri della prima metà del Novecento, denominato «filosofo di Bümpliz» per il suo attaccamento al quartiere e le sue profonde analisi della società. Era figlio di Sophie Emma Loosli, dalla quale prese il cognome, e dell’italiano Bonnacio, di cui purtroppo non si conosce pressoché nulla, nemmeno il nome.
Nel 1910 gli italiani residenti stabilmente a Berna erano ormai circa 2000. Gli uomini lavoravano soprattutto nel ramo delle costruzioni (edilizia e genio civile), le donne nell’industria alimentare (Tobler), nell’industria della seta e del tessile, nelle economie domestiche. Abitavano soprattutto nei quartieri Länggasse, Lorraine, Breitenrain-Wyler, prima di diffondersi in tutta le città. (Fine terza parte)

Giovanni Longu
Berna, 2.5.2012