Il prossimo 21 giugno
2018, papa Francesco sarà a Ginevra, su invito del Consiglio
ecumenico delle Chiese (CEC), che celebra quest’anno il 70° anniversario di
fondazione. Lo scorso anno, il 31 ottobre 2017, si era recato a Malmo, in Svezia, per commemorare i 500 anni della Riforma. I viaggi del papa hanno soprattutto una valenza
religiosa, ma contengono anche richiami importanti alla storia e alla vita politica, culturale e sociale
attuale. In questo contesto celebrativo, sebbene il messaggio principale sia
sempre: guardare insieme al futuro dialogando e collaborando nella fratellanza,
ritengo utile proporre ai lettori alcune considerazioni sulle conseguenze della
Riforma e della Controriforma in
Svizzera. Senza uno sguardo retrospettivo risulta infatti difficile, a mio
parere, comprendere gli sforzi che si stanno moltiplicando in questi ultimi
decenni in vista di una non impossibile riconciliazione delle Chiese cristiane.
Contesto
storico della Riforma e della Controriforma
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Papa Francesco e Martin Lutero, iniziatore della Riforma. |
Le
considerazioni, di tipo prevalentemente storico, che svilupperò in alcuni
articoli, mirano solo in parte a spiegare la ventata ecumenica che sta
soffiando in questi ultimi decenni nelle varie Chiese cristiane e di cui anche
la prossima venuta del papa in Svizzera è una testimonianza importante. Esse
vogliono essere soprattutto un tentativo per comprendere meglio 500 anni di
storia svizzera. Concretamente, cercherò di rispondere a domande come queste: Perché
alcuni Cantoni hanno aderito alla Riforma e altri no? Come è avvenuta la
«conversione» dei cristiani cattolici in cristiani protestanti? Quali sono
state le principali conseguenze per la (vecchia) Confederazione e per i
Cantoni? Perché oggi è auspicabile una riconciliazione generale?
Avevo avviato
questa riflessione l’anno scorso in un articolo (L’ECO del 29.11.2017: I 500 anni
della Riforma e i «potenti» del mondo) in cui, dopo aver accennato al
contesto storico-politico-religioso in cui furono avviate la Riforma e la Controriforma
(o Riforma cattolica) e ricordato i principali riformatori in Germania (Lutero) e in Svizzera (Zwingli e Calvino), facevo notare la lacerazione profonda
prodottasi nell’ortodossia cristiana, «introducendo nel popolo di Dio
divisioni inutili e dannose». Concludevo tuttavia con questa professione di
ottimismo: «non credo che si possa parlare di divisioni insanabili».
Quella
conclusione non era velleitaria, perché anche la prossima visita del papa a
Ginevra è una dimostrazione che all’interno delle principali Chiese cristiane
si fa strada il sentimento non solo della ragionevolezza della riconciliazione,
ma del dovere di ricomporre l’originaria unità. Ritengo di portata storica
alcune affermazioni di papa Francesco in Svezia, quando, per esempio, non esitò
a riconoscere l’errore («abbiamo sbagliato») della scomunica di Martin
Lutero e a riconoscergli una spiritualità profonda. Il fatto stesso che il papa abbia partecipato
alle celebrazioni del 500° della Riforma rappresenta un significativo passo avanti
sulla strada del superamento di secolari incomprensioni e conflitti.
Impulsi al
cambiamento e attualità
Oggi a molti cristiani
questi comportamenti possono apparire incomprensibili. Ma come, dirà qualcuno,
prima un papa, Leone X (che non era uno stinco di santo!) condanna Lutero come un eretico
meritevole del rogo, e ora un altro papa, Francesco, parla dei suoi «meriti» e gli riconosce una
profonda spiritualità? Dove sta l’infallibilità del papa? Domande difficili che
richiederebbero risposte complesse, anche perché andrebbero ben spiegate
affermazioni come quella che i credenti recitano durante la celebrazione della
messa: «credo la Chiesa una santa cattolica e apostolica».
Evidentemente non è
questa la sede idonea per addentrarsi in questa materia, ma si può forse
affermare che alla base delle divisioni religiose c’è anche una buona dose
d’incomprensione, soprattutto in mancanza di una fonte unica riconosciuta
d’interpretazione e se si confonde la sostanza di una dottrina ritenuta
immutabile con una sua interpretazione eterogenea, suscettibile di molte
variazioni nello spazio e nel tempo.
Fortunatamente oggi si
preferisce più il dialogo che la disputa teologica, evidenziare ciò che unisce
piuttosto che sottolineare ciò che separa, guardare al futuro più che rivangare
il passato. Anche l’atteggiamento dei papi nei confronti del Protestantesimo
sta cambiando.
Un grande impulso al
cambiamento fu dato dal Concilio Vaticano II, che nel «Decreto su l’Ecumenismo» indicava
tra i suoi intenti principali «il ristabilimento dell’unità da promuoversi
tra tutti i Cristiani» e il superamento delle divisioni, ritenute contrarie
alla volontà di Gesù Cristo nel fondare la Chiesa «una e unica». Per
raggiungere questi obiettivi indicava anche la strada: «promuovere l’equità
e la verità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l’unione»,
ma anche «la riforma della Chiesa», «la reciproca conoscenza», «la
formazione ecumenica», ecc.
Da allora l’ecumenismo ha fatto grandi progressi, ma le divisioni
permangono ancora, perché in fondo, come riconosceva lo stesso Concilio, «molte
Comunioni cristiane propongono se stesse […] come la vera eredità di Gesù
Cristo». Per esse non si tratta quindi di modificare opinioni o pratiche
esteriori, ma di rinunciare o quantomeno rivedere convinzioni
profonde, che nel tempo si sono materializzate in comunità, strutture
organizzative, ordinamenti, liturgie, ecc. I viaggi di papa Francesco, i frequenti incontri con rappresentanti di
altre chiese e religioni dimostrano che il desiderio della riconciliazione e
dell’unità è in crescita, ma il cammino verso l’unità sarà probabilmente ancora
lungo.
Il caso svizzero è
emblematico
Quanto sia difficile superare questo tipo di divisioni consolidate lo
mostra bene la storia confessionale della Svizzera, che oltre ad aver
modificato il paesaggio religioso della (vecchia) Confederazione (Cantoni
cattolici e Cantoni protestanti, Cantoni «misti») ha influito notevolmente
anche sullo sviluppo politico, sociale e culturale di questo Paese.
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Ginevra: Monumento dei riformatori |
Del resto, molti
non sanno
neppure come si è giunti alla situazione religiosa di 500 anni fa e di oggi e
non sanno che la Riforma e la Controriforma (o Riforma cattolica) hanno avuto in Svizzera implicazioni
importanti anche nella vita quotidiana. La situazione, quasi bloccata, fino
alla costituzione dello Stato federale è andata progressivamente modificandosi,
anche grazie alla prima immigrazione proveniente da regioni tradizionalmente
cattoliche. Oggi, molte vecchie distinzioni sono definitivamente superate, ma l’unità
è ancora lontana.
Peculiarità svizzere
della Riforma
Il messaggio di Lutero
del 1517 (inizio della Riforma) giunse in Svizzera alto e forte e non tardò a
trovare abili e convinti sostenitori. Grazie ad essi, ma anche e forse
soprattutto alle condizioni particolari dell’organizzazione politica, sociale e
professionale della (vecchia) Confederazione, la Riforma si diffuse abbastanza
in fretta. Si affermò inizialmente nelle Città e nei Cantoni urbani, dov’erano
maggiormente sviluppate l’economia e la cultura e dove più che nei Cantoni
rurali era forte l’aspirazione della nascente borghesia (corporazioni) a
liberarsi dai vincoli troppo stretti della nobiltà e delle autorità politiche
(imperatore, re, nobili…) e religiose (papa, vescovi, abati, preti, ecc.).
Zurigo fu il principale centro di diffusione della
Riforma nella Svizzera tedesca come Ginevra lo divenne nella Svizzera
francese. Berna fu però per la Svizzera ancora più importante di Zurigo
sotto l’aspetto politico, perché in quel momento era il Cantone più grande e
più influente della Svizzera. Basilea, culla della Riforma (Erasmo
da Rotterdam), divenne una
delle città protestanti più importanti a livello europeo per la stampa e la
diffusione di moltissime opere dei riformatori. In tutte queste Città-Stato
l’aspetto religioso della Riforma era talmente confuso con quello politico,
economico e sociale, che rese praticamente impossibile limitarsi al
rinnovamento spirituale e pastorale della Chiesa. La Riforma divenne una questione
politica con tutte le
conseguenze che si vedranno nei prossimi articoli.
La Riforma piaceva a
molti per la ventata di trasformazione della vita religiosa, ma forse
soprattutto per la prospettiva di una maggiore libertà che sembrava dare non
solo nella fede, ma anche nel pensiero e nella vita in generale. Pertanto
furono molti, soprattutto persone colte, che abbracciarono la Riforma, anche a
seguito di accesi dibattiti pubblici.
Per il popolo, che non
sapeva né leggere né scrivere, le discussioni creavano più confusione che
chiarezza. La gente comune era talmente legata alla tradizione e alle pratiche
di culto tramandate da secoli che esitava a convertirsi e rinnegare il legame
con la Chiesa di Roma, anche per non incorrere nelle pene comminate agli
eretici, specialmente la scomunica (esclusione dai sacramenti, ecc.). Nella
confusione, nelle regioni rurali alcune classi sociali approfittarono della
Riforma per rivendicare maggiore libertà dai padroni (spesso ecclesiastici e
nobili). Alcuni Cantoni, poi, chiusero totalmente le porte alla Riforma,
spaccando letteralmente in due la Confederazione. (Segue)
Giovanni LonguBerna, 6 giugno 2018