Gli anni Settanta del secolo scorso sono stati fondamentali nell’evoluzione
della collettività italiana in Svizzera. Per poterne analizzare e descrivere in
maniera adeguata alcuni aspetti caratteristici (formazione, integrazione, attività
professionale, ecc.) occorre precisare di volta in volta di chi e di che cosa
si sta parlando. I termini «immigrati», «giovani», «attività economiche», ecc.
possono infatti risultare troppo vaghi se non sono accompagnati da connotazioni
più precise. In concreto, quando si parla di «italiani» in Svizzera, in un
contesto determinato, andrebbe specificato, per esempio, se si tratta di
«immigrati» (prima generazione) o di figli di immigrati nati in Svizzera o
giunti qui in età prescolastica o scolastica (seconda generazione). Prima di
affrontare alcuni temi specifici è dunque opportuno premettere alcune indicazioni
terminologiche.
Precisioni indispensabili
Agli inizi degli anni Settanta, spesso il termine
«immigrati» veniva usato per indicare semplicemente gli stranieri, anche quelli
non immigrati. E quando si parlava degli «emigrati italiani» molti intendevano tutti
gli italiani presenti in Svizzera. Si trattava di generalizzazioni che non
tenevano conto di alcune distinzioni indispensabili per capire la portata del
fenomeno migratorio nella sua varietà, qualità e dinamica.
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Nei primi anni '70 decine di migliaia di italiani continuarono a emigrare in Svizzera. |
Se è facile capire che la popolazione residente italiana non
è mai stata omogenea per età, origine, motivazione, preparazione, ecc., di tale
diversità si dovrebbe tener conto ogniqualvolta si descrive un fenomeno
particolare anche solo in termini quantitativi. Per rendersene conto basterebbe
riflettere quanto siano diversi fra loro il numero totale degli italiani
«residenti» in Svizzera (esclusi stagionali e funzionari internazionali) in un
determinato momento (per esempio durante un censimento della popolazione), il
numero degli italiani «immigrati» (prima generazione) e quello dei «non
immigrati» (seconda e successive generazioni), il numero degli italiani
«attivi» (popolazione attiva, lavoratori e lavoratrici), il numero degli
italiani «domiciliati», il numero degli italiani «soggetti a controllo»
(annuali, stagionali, frontalieri), ecc.
Indubbiamente non è sempre facile districarsi tra le tante
suddivisioni, ma è indispensabile se si vuole raggiungere una visione oggettiva
della situazione.
Molte categorie di stranieri
Com’è noto, inoltre, nel periodo preso in considerazione
(1970-1990), agli stranieri in Svizzera veniva attribuito un particolare
«permesso di soggiorno per stranieri»: A (stagionale), B (annuale), C
(domicilio), ecc. In certe statistiche tali distinzioni non venivano prese in
considerazione, in altre invece sì, perché non era irrilevante, sotto molti
aspetti, essere stagionale, residente annuale o domiciliato.
Non andrebbe nemmeno dimenticato il quadro giuridico
complessivo, costituito per gli italiani non solo dalla legislazione svizzera
sugli stranieri, ma anche dagli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Italia.
Ma, per capire la situazione e l’evoluzione della collettività italiana in
Svizzera è anche importante prendere in considerazione altre caratteristiche spesso
sottovalutate, per esempio la
provenienza (luogo di nascita), la scolarizzazione,
la conoscenza della lingua locale, la permanenza in Svizzera, la qualifica
professionale, l’attività svolta, la posizione professionale, ecc.
Non tutte le caratteristiche hanno evidentemente la stessa importanza,
ma alcune in particolare, come si vedrà in seguito, hanno contribuito a
determinare le condizioni salariali, sociali, professionali, abitative,
pensionistiche, ecc. di moltissimi italiani. Non va tuttavia dimenticato che
quasi sempre non era determinante una sola caratteristica, ma una combinazione
di caratteristiche. Era un errore, per esempio, considerare il titolare del
permesso C (domicilio) automaticamente integrato, tant’è vero che ci sono
ancora oggi immigrati degli anni Sessanta e Settanta che non conoscono a
sufficienza la lingua locale né nella forma standard né in quella dialettale.
Immigrati e non immigrati
La prima distinzione di cui bisogna tener conto, in
riferimento alla collettività italiana, è quella tra «immigrati» e «non
immigrati». Sono «immigrati» solo gli italiani nati in Italia (o comunque
fuori della Svizzera) e venuti qui in età post-scolastica, specialmente per
motivi di lavoro. Vanno invece considerati «non immigrati» i figli nati
in Svizzera da genitori stranieri entrambi nati all’estero come pure i figli nati
all’estero e venuti in Svizzera in età prescolastica o scolastica (purché
abbiano frequentato qui la
maggior parte delle scuole dell’obbligo).
Gli «immigrati» veri, uomini e donne, sono chiamati anche
«prima generazione», i loro figli «seconda generazione» e i loro nipoti (nati
in Svizzera da genitori di seconda generazione) «terza generazione». Pertanto
solo la prima generazione è costituita da «immigrati», ossia essenzialmente
stranieri adulti venuti in Svizzera per motivi di lavoro. Non sono propriamente
«immigrate» nemmeno le «persone non attive» (persone non in età lavorativa)
giunte in Svizzera nell’ambito del ricongiungimento familiare.
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Dalla seconda metà degli anni '60 diventa sempre più consistente
il grupopo dei giovani stranieri «non immigrati» (2a generazione) |
Negli anni 2000, in Svizzera, la terminologia riguardante
gli stranieri è stata ridefinita e, se si può continuare a parlare di immigrati
di «prima generazione», soprattutto per la seconda e per la terza generazione
si preferisce ormai l’espressione «persone con un passato migratorio» con
l’aggiunta di «diretto» (per indicare i figli di immigrati) o «indiretto» (quando
s’intendono i nipoti di immigrati). Attualmente, in Svizzera, il gruppo più numeroso
(quasi due terzi) delle persone con un passato migratorio è costituito da
italiani.
Alla luce di queste precisazioni è bene osservare che ormai
fanno parte delle «persone con un passato migratorio diretto o indiretto» anche
numerosi svizzeri, ossia persone che hanno acquisito la nazionalità svizzera dopo
la nascita. Nel 2018, ben il 38% della popolazione residente permanente con 15
anni e più (2.686.000 persone) aveva un passato migratorio in Svizzera. Un po’
più di un terzo di questa popolazione è costituito da persone di nazionalità
svizzera (974.000)
Appare pertanto evidente che parlare in termini oggettivi di
emigrazione o immigrazione italiana in Svizzera, per esempio degli anni
Settanta, è possibile solo tenendo presenti le differenze fondamentali
all’interno della collettività italiana.
Altre caratteristiche importanti
Per comprendere la situazione che si stava radicalmente
modificando nella collettività italiana negli anni Settanta, occorre tuttavia tener
conto non solo dei rapporti intergenerazionali, ma pure dei rapporti tra gli
stessi immigrati. Anche all’interno della prima generazione, infatti,
esistevano differenze rilevanti, perché pur essendo tutti «immigrati» e tutti
«italiani», molti provenivano dal Nord e molti altri, dagli anni Sessanta sempre
di più, dal Sud.
La caratteristica «provenienza» ebbe un impatto
notevole non solo sulla formazione delle varie associazioni regionali, ma anche
sull’attività e posizione professionale, sulla scolarizzazione dei figli, sulla
loro integrazione sociale, sul loro orientamento professionale, ecc. Quando si
tratterà, in un prossimo articolo, della scolarizzazione e della
successiva formazione professionale delle persone con un passato
migratorio non sarà difficile ricondurre alcune problematiche alla condizione
dei loro genitori. Basti pensare alle difficoltà linguistiche, all’insicurezza
nella scelta della scuola da seguire, alle prestazioni scolastiche, ai condizionamenti
nell’orientamento professionale, alla scelta tra seguire un apprendistato o
proseguire gli studi, ecc.
Nella narrazione dell’immigrazione italiana in Svizzera si
tende spesso a trascurare non solo la «provenienza», ma anche la capacità
professionale dei primi immigrati dal Nord e quella degli immigrati dal Sud.
Eppure essa risulta fondamentale per capire come mai i primi immigrati si sono
integrati con relativa facilità nei processi produttivi, mentre i secondi sono
stati costretti a svolgere per lo più funzioni ripetitive e subalterne.
A questo punto è anche facile capire quanto l’attività svolta
e la posizione professionale influissero sul salario e
questo, a sua volta, sulla possibilità di risparmio, sulle condizioni d’abitazione
e persino sui rapporti sociali.
Nei prossimi articoli si cercherà si precisare ulteriormente
alcuni temi specifici che hanno dovuto affrontare gli immigrati italiani in
vari contesti sociali, professionali, intergenerazionali, tenendo sempre
presente che i protagonisti continueranno ad essere gli immigrati venuti
dall’Italia essenzialmente per motivi di lavoro. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 22.4.2020