31 gennaio 2018

Tracce d’italianità nella città di Basilea



Basilea, terza città svizzera per popolazione dopo Zurigo e Ginevra, conta circa 187.000 abitanti. L’agglomerazione in territorio svizzero ne conta circa 540.000. Considerando l'agglomerazione trinazionale (CH-D-F), gli abitanti arrivano a circa un milione. Nel 2016, a Basilea vivevano 8.325 italiani, in aumento rispetto al 2010, quando erano 7.863 e per oltre la metà erano nati in Italia. La presenza italiana a Basilea ha una lunga tradizione e ha segnato alcune tappe fondamentali della sua esistenza e del suo sviluppo. Forse nessun’altra grande città svizzera ha avuto per molti secoli legami così intensi e importanti con Roma. 

Fondazione e sviluppo
Cattedrale di Basilea
In base a numerosi reperti di origine romana ritrovati sul colle (Münsterberg) dove sorge attualmente la Cattedrale, Basilea sarebbe stata fondata verso il 44-43 a.C. da Lucio Munazio Planco, generale romano di Giulio Cesare e governatore delle Gallie (una sua statua si trova nel cortile del Municipio di Basilea). Inizialmente doveva trattarsi solo di una base militare (Castrum), mentre la vera Colonia Augusta Raurica (destinata a diventare la più grande città romana dell’Helvetia) sarebbe sorta poco lontano (oggi Augst) sotto l’imperatore Augusto dopo il 15 a.C.
Il luogo, sulla sponda sinistra del Reno era particolarmente importante in funzione antigermanica, ma ha conservato tutta la sua importanza come centro di transito, di commercio e di cristianità anche durante tutto il Medioevo. Sopravvisse a diverse dominazioni (Alemanni, Franchi, Burgundi), anche grazie all’opera di vescovi intraprendenti, fino all’entrata nel Sacro Romano Impero nel 1006, dopo la morte del re di Germania e d’Italia e imperatore Ottone III di Sassonia (incoronato imperatore nel 996 a Monza). Da allora per Basilea iniziò un lungo periodo di incessante sviluppo anche territoriale fino all’epoca moderna.
Per rafforzare la sua posizione strategica e il controllo del Reno, Basilea si era estesa anche sull’altra riva del fiume (dove si svilupperà la cosiddetta Piccola Basilea, Kleinbasel). Il passaggio da una parte all’altra era assicurato da un ponte fatto costruire nel 1225-26 dal vescovo Heinrich II von Thun. L’intraprendenza di questo ecclesiastico denota chiaramente quanto il potere religioso avesse di fatto assunto anche un reale potere civile e politico. Era cominciata l’era dei vescovi-principi che trasformeranno Basilea in uno Stato vescovile.

Centro di cristianità
Basilea, dopo la dominazione romana, era diventata già dalla seconda metà del IV secolo un importante centro di cristianità e sede vescovile per tutta la regione. Divenne una signoria vescovile solo con la sua integrazione nel Sacro Romano Impero e specialmente, dopo la morte di Ottone III, sotto il suo successore Enrico II detto il Santo (973-1024), anch’egli re di Germania e d’Italia e imperatore (incoronato a Roma nel 1014 da Benedetto VIII). Fu lui, infatti, a far costruire la grandiosa cattedrale (iniziata nel 1019), dotandola di grandi ricchezze e molti privilegi.
Pio II Piccolomini (Pinturicchio)
Un segno dell’importanza assunta dalla cattedrale di Basilea si ebbe nel XV secolo. Dal 1431 ospitò infatti per qualche anno il Concilio di Basilea (proseguito poi a Ferrara e Firenze e terminato a Roma nel 1445) al quale parteciparono vescovi ed esperti provenienti da tutta l’Europa. Uno di questi era l’umanista Enea Silvio Piccolomini, che diventerà dieci anni più tardi (1458) Papa Pio II.
Già in quel periodo, tuttavia, il potere del vescovo e della nobiltà a Basilea era molto contrastato soprattutto dalle varie corporazioni che crescevano via via d’importanza e volevano essere maggiormente rappresentate nel governo della città. Dopo il 1520 i contrasti si fecero sempre più accesi, fino a sfociare nell’adesione alla Riforma (1529), sostenuta dalle corporazioni, con cui la Chiesa fu assoggettata al potere statale. Da quel momento Basilea offrì rifugio, fra l’altro, a numerosi «eretici» perseguitati italiani, fra cui Agostino Mainardi, Pietro Martire Vermigli, Bernardino Ochino, Celio Secondo Curione, ecc.
Dopo la Riforma i cattolici di Basilea Città si ridussero a poche migliaia (3.600 nel 1837); aumenteranno nuovamente solo con l’immigrazione dai Cantoni cattolici e dall’Italia nella seconda metà dell’Ottocento. Nel 1910 erano già oltre 40.000. I contrasti tra cattolici e protestanti erano frequenti, tanto che per i cattolici erano persino proibiti i matrimoni misti. Gli immigrati del secondo dopoguerra, soprattutto gli italiani, hanno ulteriormente modificato il panorama religioso della città. Oggi a Basilea Città i cattolici (19,4%) superano i protestanti (16,7%).

Centro culturale
Uno dei primi atti del Papa Pio II fu l’atto di fondazione dell’Università di Basilea (1459), la prima della Svizzera, che cominciò nel 1460 ad attirare molti professori e studenti provenienti da tutta l’Europa, anche dall’Italia. Grazie all’università, Basilea divenne uno dei centri più importanti dell’Umanesimo. Il personaggio più illustre fu Erasmo da Rotterdam (1466-1536), che aveva studiato in diverse città europee, anche italiane.
Erasmo da Rotterdam
Dai tempi del Concilio e poi soprattutto come centro universitario, Basilea aveva bisogno di molta carta e di tipografie. La stampa con caratteri mobili in piombo era stata da poco inventata in Germania, a Magonza, da Johannes Gutenberg (1450) e dieci anni dopo erano già in attività le prime stamperie a Basilea.
La più antica stamperia, parzialmente ancora in uso, ma adibita soprattutto a museo (Museo svizzero della carta, della scrittura e della stampa), è la PapierMühle fondata nel 1453 da un immigrato piemontese, Antonio Galliciani. Era italiano, di Lucca, anche uno dei grandi tipografi di Basilea all’epoca della Riforma , Pietro Perna (1519-1582), che pubblicò numerose edizioni proibite in Italia per conto di esuli che avevano trovato rifugio a Basilea o in altre città della Svizzera.

Emigrati italiani a Basilea
Il Cantone di Basilea, entrato nella Confederazione nel 1501, nel 1833 si divise in due Semicantoni: Basilea Città e Basilea Campagna. A Basilea Città rimasero poco più di 23.000 persone, ma il loro numero era destinato ad aumentare fortemente nella seconda metà del secolo. Nel 1900 gli abitanti erano già oltre 110.000 e in continua crescita. Circa il 65% dell’incremento demografico era dovuto alle immigrazioni. Lo sviluppo industriale richiamava sempre più stranieri. Molti venivano dall’Italia e, purtroppo, non erano sempre ben visti.
Municipio di Basilea
Come a Zurigo e a Berna, anche a Basilea il principale luogo d’incontro degli italiani, per lo più operai dell’edilizia e del genio civile, era costituito dalla stazione ferroviaria. Agli emigranti italiani era stata riservata una grande sala d’aspetto, concepita come ricovero diurno e notturno, ma secondo le cronache di allora indecente. Per Monsignor Bonomelli, di passaggio a Basilea (1911) era «un grande stanzone tetro, buio, umido.. [che riceveva] luce da tre o quattro aperture a fior di terra, coperte di inferriate».
Inoltre, anche a Basilea, gli italiani, che non riuscivano a comunicare ed entrare in sintonia con la popolazione locale, soprattutto per questioni linguistiche, si concentravano specialmente in alcuni quartieri (Spalenquartier, Rosental, Matthäus), che la polizia individuava spesso come «quartieri italiani» (Italienerviertel, Massen-Quartiere der Italiener). Le loro abitazioni erano generalmente molto povere e spesso fatiscenti, sovrappopolate e insane, costituite da baracche, mansarde, camere in abitazioni private, alloggi collettivi per operai (soprattutto stagionali), pensioni e locande molto modeste e spesso in pessime condizioni igienico-sanitarie.
In queste concentrazioni, gli italiani tendevano (come in tutte le grandi città svizzere) a costituire una sorta di «colonia italiana» in cui cercavano di riprodurre per quanto possibile modi di vivere «all’italiana», suscitando non poche lamentele tra la popolazione svizzera e frequenti interventi della polizia. Questi erano dovuti anche al sospetto che tra gli immigrati si nascondessero attivisti socialisti e anarchici, ritenuti dalle autorità di Basilea intollerabili.

Associazionismo e integrazione
Sul finire dell’Ottocento e inizio Novecento, gli immigrati italiani diedero vita anche a numerose associazioni, specialmente di mutuo soccorso (Anziana, Società muratori italiani, Lega muratori e manovali, Concordia, ecc.), ma anche musicali e filodrammatiche. Un’associazione, piuttosto singolare, la Società per la protezione dei fanciulli italiani, lottava contro lo sfruttamento dei minorenni, spesso reclutati in Italia dagli stessi operai italiani. Fin dal 1900 operava anche l’Opera di assistenza fondata dal vescovo di Cremona monsignor Bonomelli.
Nel 1906, ossia un anno dopo la fondazione del Cooperativo di Zurigo, anche a Basilea nacque una Cooperativa italiana di consumo di Basilea e dintorni con negozi di generi alimentari a buon mercato e un ristorante. Il successo fu enorme.
Con la diminuzione dell’immigrazione italiana in concomitanza della prima guerra mondiale, i vari quartieri «italiani» persero le connotazioni assunte fino ad allora e tenderanno progressivamente a trasformarsi e addirittura a scomparire come tali (per esempio, nel quartiere operaio Matthäus, dove circa un quinto della popolazione era italiana, oggi è meno del 10%).
Dal secondo dopoguerra l’immigrazione dall’Italia è molto cambiata: è diretta soprattutto al lavoro industriale, è generalmente professionalizzata, meglio organizzata e tendenzialmente favorevole (specialmente dagli anni ’70 in poi) all’integrazione. I numerosi matrimoni misti lo confermano: nel 1960 c’erano 1090 coppie sposate con entrambi i coniugi di lingua italiana e 616 matrimoni misti con donne di altra lingua; nel 1970 le coppie monolingui (italiano) erano 3982 e quelle bilingui (marito di lingua italiana) 1020. Inoltre, gli italiani sono presenti ormai in tutte le principali attività economiche, sociali e culturali a tutti i livelli. Il loro contributo è largamente apprezzato.
Giovanni Longu
Berna, 31.01.2018