25 giugno 2014

Svizzera: stranieri e immigrazione in primo piano


Sicuramente molti svizzeri, ma soprattutto molti stranieri si saranno domandati più d’una volta perché in Svizzera il tema dello straniero, dell’immigrato, è sempre d’attualità. La risposta non può essere semplice, come dimostra proprio il fatto che si tratta di un tema ricorrente fin dalla costituzione della moderna Confederazione (1848). Inoltre, il tema è talmente vario, con connotazioni diverse, che non può avere di per sé un’unica risposta definitiva.

Immigrazione: una costante fin dal 1848
Chi conosce, anche sommariamente, la storia di questo Paese sa bene quanto sia cambiata nel tempo la politica migratoria svizzera, in funzione non solo delle esigenze dell’economia, ma anche della società. Negli ultimi decenni dell’Ottocento e agli inizi del Novecento la Svizzera aveva bisogno di un certo tipo di manodopera, per la realizzazione delle grandi infrastrutture ferroviarie. Ne aveva talmente bisogno che le frontiere con i Paesi vicini erano aperte e chiunque poteva facilmente passarla in cerca di lavoro. Nonostante la proporzione degli stranieri avesse raggiunto livelli molto elevati per quei tempi (fino al 15,5%), fino allo scoppio della prima guerra mondiale non venne mai presa in considerazione la possibilità di chiudere le frontiere e lasciar passare solo contingenti limitati di stranieri.
Tra la prima e la seconda guerra mondiale l’immigrazione si ridusse spontaneamente a causa delle guerre e delle crisi e ciononostante la Svizzera cominciò a introdurre limitazioni varie agli ingressi e al soggiorno degli stranieri. Dopo la seconda guerra mondiale, grazie all’eccezionale sviluppo dell’economia svizzera, i flussi migratori s’intensificarono fino a suscitare le note reazioni dei movimenti xenofobi degli anni ’60 e ’70, che portarono a numerose votazioni, che si conclusero tuttavia sempre senza grossi danni.

L’iniziativa Ecopop
In realtà anche dopo l’uscita di scena dei vari Schwarzenbach, Oehen e compagni le votazioni concernenti gli stranieri non sono mai terminate. L’ultima, per il momento, potrebbe aver luogo ancora quest’anno e verterà sull’iniziativa popolare denominata «Stop alla sovrappopolazione – sì alla conservazione delle basi naturali della vita», meglio conosciuta come iniziativa Ecopop.
Secondo questa iniziativa, il numero di residenti in Svizzera dovrebbe essere «compatibile con la conservazione a lungo termine delle basi naturali della vita». Per raggiungere questo obiettivo, «in Svizzera la popolazione residente permanente non può crescere in seguito a immigrazione di oltre lo 0,2 per cento annuo [ossia circa 16.000 persone] nell’arco di tre anni». L'iniziativa chiede in pratica una nuova politica d’immigrazione basata su tetti massimi, su un’adeguata «pianificazione familiare volontaria» e altre misure a carico della Confederazione.
Il Consiglio federale ha proposto di respingerla e altrettanto hanno fatto di recente le Camere federali. Molto probabilmente sarà spazzata via dal Popolo e dai Cantoni, ma guai a prenderla sottogamba, perché anche un’alta percentuale di voti favorevoli rappresenterebbe una ulteriore difficoltà alla politica federale in questa delicata materia, soprattutto dopo il voto del 9 febbraio scorso sulla limitazione dell’immigrazione.
Autoaffermazione della Svizzera
Ma, tornando alla domanda iniziale, perché il tema dell’immigrazione è così presente nella politica interna ed estera svizzera? Credo che tutta la storia della moderna Confederazione confermi quanto più volte affermato in questa rubrica, ossia l’assoluta necessità per gli svizzeri di rafforzare la propria identità e coesione «nazionale» e nell’essere riconosciuti liberi e indipendenti soprattutto dai Paesi confinanti. Si tratta, insomma, di una sorta di autoaffermazione, che mal si concilia, ad esempio, col principio della «libera circolazione» delle persone, non appena questa rischia di essere o anche solo di apparire incontrollabile e ingestibile. Per questo, approvando l’iniziativa popolare del 9 febbraio scorso, ha voluto fissare nella Costituzione in modo chiaro e netto che « la Svizzera gestisce autonomamente l’immigrazione degli stranieri» (art. 121a, cpv. 2).
La Svizzera cerca di avere buoni rapporti con tutti, soprattutto con i Paesi vicini, ma rifiuta qualsiasi forma di adesione a patti troppo stretti e vincolanti, riduttivi della propria sovranità, come potrebbe essere l’adesione all’Unione Europea. Per questo ha istituzionalizzato la «democrazia diretta» attribuendo al Popolo la piena sovranità statale. Ha scelto la neutralità nei confronti degli Stati belligeranti, ma anche di dotarsi di un esercito ben equipaggiato e credibile per potersi difendere da qualsiasi aggressore.
Con questo spirito sorveglia attentamente le proprie frontiere, non perché si aspetti da un momento all'altro eserciti aggressori, ma perché attraverso di esse passano o tentano di passare, oltre alle merci e alle persone in regola con le leggi, anche trafficanti, gruppi di clandestini, passatori e delinquenti vari insieme a droghe, merci contraffatte, valuta di dubbia provenienza, merci di contrabbando, ecc. Recentemente l’Ufficio federale di polizia ha messo in guardia anche contro i tentativi della criminalità organizzata italiana di insediarsi anche in Svizzera.

Rispetto della Costituzione e del Popolo
Gli svizzeri sembrano consapevoli anche del pericolo non tanto della «sovrappopolazione», quanto piuttosto di un’immigrazione incontrollata e per questo sembrano più che mai decisi a volere un controllo più attento anche sugli stranieri. Si rendono conto sicuramente anche delle difficoltà che potrebbe procurare all’economia svizzera il voto del 9 febbraio scorso «contro l’immigrazione di massa», ma hanno fiducia che il Consiglio federale sia in grado di gestire una nuova forma controllata d’immigrazione in funzione dei bisogni, reintroducendo i «contingenti» anche per i frontalieri e per tutte le categorie di immigrati a partire da un soggiorno in Svizzera di 4 mesi.
Qualche giorno fa, prima di presentare alla stampa il progetto di attuazione della norma costituzionale voluta da Popolo e Cantoni e forse per prevenire qualche domanda magari ovvia ma prematura sulle reazioni dell’Unione Europea (UE), la consigliera federale Simonetta Sommaruga ha affermato senza mezzi termini che oggi quello che fa stato è la Costituzione. Con questa affermazione voleva probabilmente affermare che in questo momento al Consiglio federale non interessa nemmeno tanto la reazione di Bruxelles, quanto il rispetto della volontà popolare. Starà poi al governo il compito di rinegoziare gli accordi con l’UE e a seconda del risultato eventualmente riconsultare il Popolo sovrano. E il popolo svizzero attende consapevole e fiducioso.

Immigrazione e integrazione
La politica immigratoria svizzera non è tuttavia solo controllo, limitazione, contingentamento. Essa mira anche, nei confronti dei residenti stabili, all’integrazione e alla naturalizzazione. Il concetto di integrazione è ormai ben radicato nella legislazione e nella politica, ma si fa molto anche nella pratica. L’integrazione è un punto qualificante della politica migratoria svizzera e d’ora in poi anche della procedura di naturalizzazione ordinaria.
Nei giorni scorsi infatti il Parlamento ha adottato una nuova legge sulla cittadinanza. Da ora in poi sarà se non più facile certamente più chiara la procedura per la naturalizzazione. Occorreranno il possesso del permesso di domicilio e 10 anni di soggiorno in Svizzera per poter chiedere il passaporto elvetico. Un periodo, secondo il governo, generalmente sufficiente a garantire un buon livello d’integrazione, che è la condizione principale per ottenere la cittadinanza svizzera.
Altre condizioni sono una certa integrazione «vissuta», dimostrata ad esempio da una certa familiarità con i modi di vita svizzeri, ma soprattutto dalla capacità di comunicare con gli altri (conoscenza di almeno una lingua nazionale), oltre che, naturalmente dal rispetto delle leggi e dei valori della Costituzione federale. Naturalmente, come finora, l’acquisizione della cittadinanza comporterà anche un certo costo, tanto per ricordare ai futuri candidati: «pas d’argent, pas de Suisse».

Giovanni Longu
Berna, 25.06.2014