16 novembre 2016

Storia dell’immigrazione italiana all’Unitre di Soletta



Mercoledì 9.11.2016 è iniziato all’UNITRE di Soletta un corso che si propone di ripercorrere a grandi linee la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera dal 1861 (anno dell’unità d’Italia) ai giorni nostri; una storia complessa e avvincente, una delle più importanti pagine della storia moderna della Svizzera, che deve ricordare l'inestimabile patrimonio che le prime generazioni di immigrati (italiani) hanno lasciato alle generazioni future.

Esempi di riuscita
Non è facile raccontare questa lunga storia dell’immigrazione italiana in Svizzera in una forma accattivante e allo stesso tempo oggettiva, anche perché la narrazione abituale che se ne fa è generalmente triste, unilaterale, basata su stereotipi e contrapposizioni ideologiche. Raccontarla in un modo diverso, sereno e positivo, è il principale obiettivo del corso. Un altro obiettivo è quello di coinvolgere i partecipanti nel racconto della loro stessa esperienza.
Ai partecipanti al corso dell’UNITRE di Soletta ho chiesto se il più celebre immigrato «italiano» a Soletta, Martin Besenval (1600-1660), proveniente dalla Valle d’Aosta, divenuto da piccolo commerciante di articoli in argento uno dei personaggi più ricchi e influenti dell’epoca, può essere considerato un paradigma di riuscita e di buona integrazione. Le risposte sono state dubbiose, ma è innegabile che anche un immigrato possa fare molta strada in questo Paese. Del resto, gli esempi sono numerosi anche oggi.

Ciò che importa è il saldo
Martin Besenval (1600-1660)
Per una valutazione complessiva e obiettiva del fenomeno migratorio è necessario farne il bilancio, con attivi e passivi, esperienze positive e negative e soprattutto risultati raggiunti. L’importante è il saldo complessivo. Ora, non c’è dubbio che per la maggioranza degli emigrati il saldo è (stato) positivo perché il confronto va fatto tra il prima dell’esperienza migratoria (ragioni della partenza: povertà, debiti, desiderio di un lavoro sicuro e di un reddito certo, ricerca del meglio, dare un futuro ai figli, ecc.) e il dopo (gran parte degli obiettivi raggiunti, soddisfazione personale e familiare, maggiori possibilità per i figli, ecc.).
Se lo storico e chi vuol conoscere e capire il fenomeno migratorio si limitano a osservare il periodo di mezzo (l’emigrazione) tra il prima e il dopo, non c’è dubbio che per molti decenni la vita della prima generazione, almeno fino agli anni Ottanta del secolo scorso, è stata caratterizzata soprattutto da sacrifici, disagi, discriminazioni, isolamento, nostalgia, ecc.). Se però l’analisi si estende al dopo, non si può non costatare che le condizioni di vita della seconda e soprattutto della terza generazione sono nettamente migliori rispetto alla «vita dell’emigrato». Basta osservare il loro livello d’integrazione, le possibilità di carriera professionale, lo stato sociale, i livelli raggiunti nel mondo economico, sociale, culturale, politico.

Valutazione delle politiche migratorie dell’Italia e della Svizzera
In questa ottica si ripercorreranno le principali tappe dell’immigrazione italiana in Svizzera, evidenziando le principali caratteristiche socio-demografiche, culturali e socio-professionali dei protagonisti (prima generazione) e dei loro discendenti (seconda e successive generazioni).
Sarà anche inevitabile e doveroso valutare, in riferimento ai principali fenomeni descritti nei vari periodi, il punto di vista della politica emigratoria sia italiana che svizzera, ma anche i comportamenti «politici» degli italiani immigrati (associazioni, partiti politici, partecipazione sociale e politica), specialmente riguardo all’integrazione. In questo esercizio valutativo si prenderanno in considerazione diversi fattori interni (demografia, economia, politica, ecc.) e internazionali (relazioni bilaterali e multilaterali, accordi, ecc.).
In questo percorso, finalizzato ad arricchire le conoscenze già possedute e a stimolare l’interesse per ulteriori approfondimenti, si cercherà soprattutto di valorizzare il meglio dell’immigrazione italiana in Svizzera. Il saldo, infatti, il contributo dato allo sviluppo di questo Paese e al benessere raggiunto, non è solo un grande titolo di merito per gli artefici, ma anche un enorme patrimonio in senso materiale e immateriale lasciato in eredità alle generazioni future.
Sulla storia dell’immigrazione italiana in Svizzera inizierà prossimamente in questa rubrica una serie di articoli.
Giovanni Longu
Berna, 16 novembre 2016

Referendum SI o NO, con tanti dubbi!



La data del referendum sulla riforma costituzionale italiana, il 4 dicembre, si avvicina e per gli italiani residenti all’estero è imminente (voto per corrispondenza). Si moltiplicano, da una parte (i sostenitori della riforma) e dall’altra (i contrari) gli inviti a votare SI, rispettivamente NO. Fin qui niente da obiettare, perché è giusto che ciascuno difenda le proprie idee. Ciò che non trovo accettabile è la violenza che si fa alle parole da una parte e dall’altra, a cominciare dalla parola «riforma», che di per sé non è sinonimo di progresso, ma potrebbe essere un regresso. «La riforma, si legge in Wikipedia, è una modificazione volta a stravolgere l'assetto corrente di un certo ambito della società, o di questa nel suo complesso, trasformandone le regole e le leggi fondamentali».

Quesito referendario complesso e fuorviante
Nel caso specifico della «riforma costituzionale» italiana ritengo ingiustificate sia le visioni catastrofiche dei sostenitori del NO nell’ipotesi che prevalgano i SI, sia le previsioni salvifiche di chi sostiene il SI e vede lo sprofondamento dell’Italia nella palude se vincesse il NO. Le parole della modifica costituzionale sottoposta al voto popolare non giustificano né l’una né l’altra visione, anche se si prestano talvolta a interpretazioni opposte.
Capisco che possa dar luogo a esagerazioni da entrambe le parti la stessa formulazione del quesito referendario, perché poco chiaro e in parte fuorviante. Per esempio, quando si parla di «disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario» bisognerebbe anche chiedersi come avviene tale superamento e se il risultato è ragionevole. Ed è giusto chiederselo perché secondo molti cittadini il superamento avviene a scapito della democrazia e delle autonomie locali.
Non c’è dubbio che non eleggendo più direttamente i senatori si riduce l’ambito della democrazia e non c’è dubbio che il nuovo Senato non è espressione delle autonomie locali. Anzi, con la «riforma», che accentua il centralismo romano togliendo competenze alle Regioni e priva il Senato di reali poteri di controllo sull’operato del Governo (non può votare la fiducia), le autonomie locali diminuiscono, contravvenendo al dettato costituzionale (art. 5) che impone allo Stato di adeguare «i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
Quanto alle disposizioni per «la riduzione del numero dei parlamentari» il quesito referendario è persino ingannevole perché un cittadino comune è portato a credere che si riduca anche il numero dei deputati e non solo dei senatori («parlamentari» sono infatti tanto i senatori che i deputati). Sarebbe stato accettato più facilmente, sotto questo profilo, il contenuto della terza riga del quesito: «il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni», come pure (quarta riga del quesito): la «soppressione del Cnel» (posto che la maggioranza degli italiani sappia cos’è il Cnel!).
Sulla quinta riga del quesito c’è poco da dire perché rimanda alla «revisione del Titolo V della parte II della Costituzione», materia per specialisti, non certo per il popolo italiano che dovrebbe votare SI o NO, senza conoscere l’oggetto da approvare o respingere!

Chi sta dalla parte dei cittadini?
A questo punto mi domando se chiedere ai cittadini italiani di votare in questo modo sia più un esercizio di democrazia o un’evidente dimostrazione di arroganza istituzionale, soprattutto da parte del Governo Renzi, che ha fortissimamente voluto questa «riforma» senza preoccuparsi se fosse sufficientemente democratica.
Il fatto che il Tribunale di Milano abbia respinto due ricorsi di costituzionalisti che ritengono troppo differenti e poco chiari gli oggetti che il 10 dicembre il popolo italiano dovrebbe approvare o respingere con un solo voto (sì o no) non mi rassicura. Non mi rassicura soprattutto la motivazione. Andrà infatti bene al giurista o all’intellettuale che il quesito referendario così complesso e complicato non lede il «diritto alla libertà di voto degli elettori per difetto di omogeneità» e non manifesta «un difetto di chiarezza», ma non certo alla stragrande maggioranza del «popolo sovrano», che in realtà non sa cosa votare.
Capisco che i giudici devono stare dalla parte della legge, ma chi sta dalla parte dei cittadini? Trovo pertanto scandaloso, che i giudici di Milano, che devono amministrare la giustizia «in nome del popolo» (art. 101 della Costituzione) motivino il rigetto dei ricorsi affermando, fra l’altro, che spetta «ad ogni singolo elettore formulare una valutazione complessiva di tutte le ragioni a favore di e di quelle contrarie di tutte le parti di cui è composta la riforma, insieme considerate, esprimendo infine un voto sulla base della prevalenza del giudizio favorevole o sfavorevole formulato a talune sue parti». Come dire, cari cittadini, arrangiatevi!
E poi ci si meraviglia del dilagare dell’antisistema!
Giovanni Longu
Berna, 16.11.2016