La costruzione della
galleria ferroviaria transalpina sotto il San Gottardo (1872-1882) costituì il
primo vero banco di prova del «Trattato di domicilio e consolare» del
1868 tra l’Italia e la Svizzera. Il lavoro in galleria, anche se mal pagato,
era sempre meglio di niente e costituiva una forte attrazione per quanti
avevano famiglia a carico con qualche difficoltà finanziaria e una fonte di
guadagno per chi non aveva carichi familiari. A migliaia, provenienti quasi
esclusivamente dal Piemonte e dalla Lombardia, accorsero agli uffici della
ditta appaltatrice dei lavori: scavatori, minatori, muratori, ma anche fabbri,
falegnami, cuochi, manovali e persino avventurieri e pregiudicati. Ne
giungevano talmente tanti che l’imprenditore aveva solo l’imbarazzo della
scelta e poteva offrire senza problemi i salari che voleva, comunque sempre
bassi.
La sfida del
Gottardo
![]() |
Statua delle due sorelle, Svizzera e Italia, collocata alla stazione di Chiasso per ricordare la prima grande impresa ferroviaria comune |
Nella seconda metà
dell’Ottocento, la Svizzera dovette affrontare con un forte ritardo rispetto ai
Paesi vicini la problematica del trasporto ferroviario, non solo a causa del
federalismo che sottraeva alla Confederazione le competenze necessarie per costruire
ferrovie intercantonali, ma anche a causa di difficoltà finanziarie e costruttive.
Per colmare il ritardo era indispensabile affrontare con coraggio e
determinazione la sfida, su cui da tempo si discuteva non solo in Svizzera ma
anche in Italia e Germania, di un attraversamento ferroviario delle Alpi sotto
il San Gottardo.
Quale opera
ingegneristica transalpina non avrebbe rappresentato di per sé una novità
assoluta, perché gli italiani avevano appena terminato la costruzione dell’imponente
traforo ferroviario del Fréjus sotto il Moncenisio, tra l’Italia e la Francia, lungo
ben 13,6 chilometri (1857-1871). Per la realizzazione del progetto del San
Gottardo, che prevedeva una galleria di 15 chilometri, le incognite non erano tuttavia
di poco conto, soprattutto riguardo al suo finanziamento, alla società
concessionaria, alla ditta appaltatrice, alla durata
effettiva dei lavori, ecc. Il sostegno riscosso non solo da parte della
Confederazione e dei Cantoni interessati, ma anche dell’Italia e della
Germania, sembrava la migliore garanzia per avviare subito la realizzazione del
progetto.
In pochi mesi fu
completata tutta la fase preparatoria. Il 6 dicembre 1871 venne costituita la Compagnia
ferroviaria del Gottardo (la Gotthardbahngesellschaft) quale società
concessionaria dotata di un capitale di 187 milioni di lire tra pubblico
(Italia 45, Germania 20, Svizzera 20) e privato (partecipazione di vari gruppi
tedeschi con 102 milioni). Il 5 aprile 1872 fu lanciata una gara d’appalto per
l’assegnazione dei lavori. Il 7 agosto 1872 fu firmato il contratto con la
ditta appaltatrice di Louis Favre Entreprise du Grand Tunnel du
Gothard. Di lì a poco sarebbero iniziati i lavori partendo a sud da
Airolo e a nord da Göschenen.
Preventivi azzardati
Quando, nella gara d’appalto
l’impresa dell’ingegner Favre fu preferita alla Società Italiana di Lavori
pubblici, che aveva già eseguito il traforo del Fréjus, la scelta era stata
fatta in base all’offerta più bassa (47.804.300 lire, contro 58.883.530 lire),
tenendo anche conto che l’ingegnere ginevrino s’impegnava a terminare i lavori
entro otto anni a partire dal 1° ottobre 1872.
E’ possibile che Favre
avesse tenuto bassa l’offerta pensando di far tesoro delle esperienze fatte
dagli italiani nello scavo del Fréjus e della sperimentazione con successo di
nuove perforatrici più efficaci. In realtà, tanto l’ingegnere che la società
concessionaria avevano sottovalutato i costi reali dei lavori sotto il
San Gottardo, calcolato insufficientemente i rischi e sopravvalutato
la nuova tecnologia mineraria sperimentata al Fréjus.
La costruzione della
galleria del Fréjus aveva rappresentato per gli italiani (allora soprattutto piemontesi
e savoiardi perché inizialmente l’Italia non era stata ancora unificata e la
Savoia apparteneva fino al 1860 al Regno Sabaudo) un’esperienza straordinaria
per molti versi, non solo per la durata dei lavori ma anche per la
sperimentazione di nuove tecniche di perforazione e l’introduzione di nuovi
macchinari. Vennero infatti sperimentate positivamente le ultime innovazioni
tecnologiche: le perforatrici meccaniche vennero sostituite via via da perforatrici
automatiche a vapore, aria e acqua compresse e si cominciò a usare la dinamite
inventata da Nobel nel 1869. Tutto ciò, però, non rappresentava alcuna garanzia
sicura della riuscita dell’opera che Favre si apprestava a realizzare.
Lavoro in condizioni
disumane
I lavori per la
galleria del San Gottardo iniziarono il 13 settembre 1872 ad Airolo e il 24
ottobre a Göschenen. Le difficoltà di avanzamento apparvero subito evidenti a
causa di problemi tecnici imprevisti legati alla natura della roccia. I1 primo
anno, infatti, lo scavo dovette procedere a mano e a rilento. Solo in seguito
entrarono in funzione le perforatrici meccaniche. Ben presto apparve anche
chiaro che pure le altre previsioni di Favre erano irrealistiche. I costi
cominciavano a lievitare (nel 1875 la aveva già superato il 50% delle spese
preventivate), l’insoddisfazione dei lavoratori cresceva come anche il numero
degli incidenti e il ritardo che si accumulava giorno dopo giorno
nell’avanzamento in galleria. In effetti, la durata dei lavori fino alla
consegna dell’opera finita si prolungherà di ben due anni con gravi conseguenze
sia per l’impresa Favre che per la Compagnia del Gottardo.
Probabilmente Favre
aveva calcolato male anche il fattore umano non rendendosi conto che
l’esperienza da sola non basta per assicurare un buon lavoro. Pur disponendo quasi
esclusivamente di lavoratori italiani sperimentati, in massima parte piemontesi
e lombardi, molti dei quali provenienti dalla costruzione della galleria del Fréjus,
non aveva tenuto conto di altri fattori, in particolare della sopportabilità
delle condizioni di lavoro da molti osservatori ritenute «disumane».
Favre aveva presentato
un’offerta troppo bassa, pur di ottenere l’appalto dei lavori, ma si era anche
vincolato contrattualmente a pesanti penali se avesse consegnato l’opera finita
in ritardo. Per rimediare agli errori di valutazione e forse all’ambizione,
cercò di risparmiare su tutto, compresi i salari del personale e i sistemi di
sicurezza. A pagare gli errori non furono solo i finanziatori dell’opera che in
pochi anni videro dimezzarsi il valore dell’azione della Ferrovia del Gottardo
e lo stesso Favre, ma soprattutto i lavoratori italiani immigrati.
Eran giovani e
forti, e molti sono morti!
Gli operai del
Gottardo avevano un’età media di 28 anni, erano, come si dice, giovani e forti,
ma non tanto da resistere a lungo nel lavoro in galleria. Le difficoltà erano
immense, dovute a cause geologiche, all’alta temperatura, superiore ai 30
gradi, alle forti fuoruscite d’acqua, fino a 250 litri al secondo, all’umidità,
alla ventilazione insufficiente, al rumore delle perforatrici, ai gas provocati
dallo scoppio delle mine, ecc. Quasi tutti gli operai soffrirono di
congestioni, vertigini, nausea, diarrea. Questo spiega perché molti fra gli
oltre 10.000 uomini che lavorarono in galleria non guarirono mai più
completamente e solo 80 resistettero sull’arco dell’intero traforo. Il ricambio
di personale era frequente per garantire comunque un contingente medio di circa
3000 persone al giorno.
Le difficoltà che
dovettero affrontare gli operai italiani non erano solo quelle che incontravano
in galleria, ma anche quelle di fuori, a causa di un’alimentazione
insufficiente, dei bassi salari (la paga media giornaliera si aggirava sui 4
franchi), delle precarie condizioni abitative (talvolta in baracche
sovraffollate e molto sporche), ma anche all’indifferenza e persino
all’ostilità di una parte significativa dell’opinione pubblica.
A seguito delle
inutili proteste contro le pessime condizioni di lavoro, salariali e abitative
(attestate anche ufficialmente dal commissario federale Hans Hold
e dal medico Laurenz Sonderegger), nel 1875 scoppiarono diverse
agitazioni culminate il 27 e 28 luglio in tumulti. Per ristabilire l’ordine fu
fatta intervenire la milizia di Göschenen che sparò sui manifestanti ferendone
molti e uccidendone quattro.
La stampa locale reagì
a favore dell’impresa di Favre e accusò gli scioperanti di essere ingrati,
avidi di denaro e pericolosi. Era una forma di risentimento per il disturbo che
il massiccio afflusso di italiani stava provocando nei tranquilli villaggi
nelle vicinanze dei portali nord e sud della galleria. E poco importava se
quella galleria avrebbe apportato loro qualche beneficio e se in quella galleria
almeno 177 persone giovani e forti vi avrebbero lasciato la vita, per non
parlare delle centinaia che sarebbero morti dopo il rimpatrio, in seguito alla
cosiddetta «anemia del Gottardo» contratta a causa delle malsane condizioni
igieniche e di lavoro.
L'«eroica fatica» di lavoratori ignoti
Al termine dei lavori,
quando venne inaugurata con grande solennità la galleria più lunga del mondo,
un capolavoro di ingegneria e di tecnica ferroviaria, furono esaltati il genio
e l’industria, pochi ricordarono seppur vagamente quei morti giovani e forti e
le migliaia di lavoratori senza i quali, in quel momento, non si sarebbe potuto
celebrare il «trionfo della scienza e della tecnica», «l’opera di civiltà» che
avvicina i popoli. Proprio per questo meritano di essere ricordati.
![]() |
Airolo: monumento di Vincenzo Vela alle vittime del traforo ferroviario del San Gottardo (1872-1882) |
![]() |
Airolo: bassorilievo "Le vittime del lavaoro" di Vincenzo Vela |
In onore delle vittime
del traforo, sul piazzale antistante la stazione ferroviaria di Airolo venne
eretto nel 1932 un monumento dello scultore ticinese Vincenzo Vela. L'epigrafe
recita: Nel 50° anniversario della grande
umana vittoria che dischiuse fra genti e genti la via del San Gottardo, questa
pietra ove l'arte segna e consacra l'oscura eroica fatica del lavoratore ignoto.
La galleria del
Gottardo ebbe a livello politico e industriale un effetto scatenante di quella
che venne definita da alcuni la «febbre ferroviaria».(Segue)
Giovanni Longu
Berna, 31 gennaio 2017
Berna, 31 gennaio 2017