Spesso, nei racconti anche recenti dell’immigrazione
italiana in Svizzera nel periodo considerato (1950-1970), si pone l’accento su
alcuni aspetti negativi, per esempio le iniziative antistranieri, i bambini
«clandestini», le discriminazioni, l’alloggio in certe baracche indecenti, ecc.
Raramente vengono invece evidenziati gli aspetti positivi delle relazioni tra
svizzeri e immigrati, ben più rilevanti di quelli negativi, come la stessa
possibilità di lavorare e percepire un salario dignitoso, la stima degli
imprenditori e del governo per il lavoro svolto, gli sforzi di molti politici e
sindacalisti, delle chiese e almeno di una parte della stampa per migliorare le
condizioni generali degli immigrati, l’impegno del governo per adeguare le basi
legali e regolamentari alle esigenze di una politica immigratoria più umana,
l’adeguamento del sistema scolastico svizzero per poter integrare i bambini
stranieri, la disponibilità di molte famiglie svizzere a favorire il dialogo e
la comprensione reciproca, ecc.
Non è vero che gli anni Sessanta e Settanta sono stati
caratterizzati soprattutto dalla xenofobia, perché proprio in quegli anni è
iniziata anche la svolta della politica immigratoria svizzera e la collettività
emigrata è cresciuta non solo in quantità, ma anche in qualità. Se prima gli
immigrati erano considerati soprattutto «braccia», dagli anni Sessanta
cominciarono ad essere considerati persone, con sentimenti ed esigenze, con
doveri e diritti imprescindibili. Se c’erano alcuni nazionalistici fanatici che
volevano cacciar via gli italiani, erano molti di più quelli che li invitavano
a restare, sapendo di non poterne fare a meno.
Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati quelli in cui la
prima generazione ha lavorato sodo, si è sacrificata e ha indicato la strada da
seguire per consentire alla seconda generazione una vita migliore e,
soprattutto, la possibilità di studiare, integrarsi ed entrare nella vita
attiva alle stesse condizioni di partenza dei coetanei svizzeri. Purtroppo di
questi aspetti si parla poco, pur essendo stati decisivi per il livello
raggiunto nei decenni successivi dagli italiani (e dall’italianità) in questo
Paese. Anche per questo il CISAP merita di essere ricordato.
I corsi della CLI e la necessità dello «strappo»
In quel periodo (cfr. http://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/11/immigrazione-italiana-1950-1970-33-il.html),
la CLI di Berna era molto attiva nel cercare di fornire informazioni e
conoscenze utili all’inserimento professionale degli immigrati, ma non
sufficienti per competere con gli svizzeri nello svolgimento di un lavoro
qualificato e per garantire un buon inserimento sociale. Per raggiungere quel
livello ci sarebbe voluto ben altro, proprio quello che immaginava il
responsabile della Commissione culturale della CLI, Giorgio Cenni, ossia
un vero e proprio centro di formazione professionale e sociale staccato e
indipendente dalla CLI.
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Giorgio Cenni, ideatore del Centro CISAP |
Il primo sostegno al progetto giunse da una parte della CLI,
dopo accese discussioni che vide i membri spaccarsi praticamente in due gruppi,
uno nettamente favorevole e l’altro decisamente contrario. Quest’ultimo vedeva
nell’idea stessa di attuare i corsi in una struttura diversa dalla CLI un
«tradimento» che andava sanzionato con l’espulsione dei responsabili. Il gruppo
dei favorevoli riteneva, invece, che il disegno elaborato da Cenni non si
sarebbe mai potuto realizzare senza uno «strappo» dalla CLI sia per la
complessità del progetto e sia per la pregiudiziale anticomunista delle
autorità e dei sindacati svizzeri (e in parte anche delle autorità italiane)
che consideravano la Federazione delle Colonie libere italiane in Svizzera
(FCLIS) troppo legata al PCI.
La pregiudiziale anticomunista
Poiché uno strappo sarebbe stato doloroso, si cercò di
rimandarlo il più possibile. Nel 1965, tuttavia, con l’organizzazione di un
primo «corso di telefonia per operai italiani» in collaborazione con la Gewerbeschule
di Berna apparve chiaro che le iniziative della CLI avevano raggiunto il
limite. Con le sue sole forze non si sarebbe potuto andare oltre.
Il cambiamento diventava sempre più urgente perché il
sostegno fondamentale delle autorità italiane, abbastanza ampio fino ad allora,
stava per venir meno e senza di esso sarebbe stato impossibile ottenere anche
quello delle autorità svizzere. I rapporti col console di Berna Antonio
Mancini avevano cominciato a deteriorarsi già nel 1964 ed erano divenute
insanabili l’anno seguente, quando alcuni dirigenti della CLI di Berna e della
FCLIS accusarono ripetutamente il console di «inaccettabili manovre» miranti a
«isolare la nostra Federazione» e a favorire aggregazioni di diverse
associazioni, escludendo le CLI, per svuotarne l’opera.
Per la Commissione culturale della CLI di Berna i rapporti
col Consolato andavano invece mantenuti e possibilmente rafforzati, anche come
condizione indispensabile per poter instaurare proficui contatti con le
istituzioni svizzere. Per i sostenitori del futuro Centro lo strappo dalla CLI
diveniva sempre più inevitabile.
Nel frattempo dev’essere apparsa sempre più evidente anche
un’altra ragione per lo strappo, la pregiudiziale anticomunista delle
autorità svizzere e pure di quelle italiane come riverbero della
contrapposizione in Italia tra la Democrazia cristiana (DC) e il Partito
comunista italiano (PCI). Si trattava di una ragione seria, perché si sapeva
che la polizia federale vigilava sulle attività di molte organizzazioni di
sinistra, soprattutto italiane (e spagnole) e che anche le Colonie libere erano
sorvegliate (inclusa quella di Berna) e alcuni suoi attivisti erano sicuramente
schedati. Mai e poi mai gli svizzeri avrebbero sostenuto (anche
finanziariamente) un’attività svolta da una istituzione sospettata di
dipendenza dal PCI.
Altre considerazioni
E’ probabile che Giorgio Cenni, responsabile della
Commissione culturale della CLI e sostenitore del futuro Centro, sia stato
messo in guardia del rischio che correva l’attività culturale e formativa da
lui diretta e invitato a metterla al sicuro sganciandola appena possibile dalla
CLI.
Lo strappo, tuttavia, non avvenne solo per ragioni di
opportunità politica, bensì per considerazioni di carattere ideale e
tecnico-organizzativo. Le CLI erano nate come organizzazioni antifasciste e
avevano conservato per statuto questo carattere ideologico anche svolgendo
altre funzioni. Il Centro che si voleva creare doveva invece coniugare il
carattere eminentemente pratico-funzionale (finalizzato all’inserimento
professionale) e quello ideale (finalizzato all’inserimento sociale e
all’elevazione culturale), prescindendo da ogni considerazione ideologica e
partitica.
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Nello scantinato e al piano terra di questo stabile (Berna, Jägerweg 7) il CISAP ebbe la prima sede |
Lo strappo finale
Non è dato sapere esattamente quando avvenne lo «strappo»,
ma dovrebbe collocarsi entro la fine del 1965. Dall’inizio del 1966 si comincia
infatti a parlare di «Centro Italiano in Svizzera per l’Addestramento
Professionale» con la sigla C.I.S.A.P.
Il primo documento in cui si fa riferimento esplicito al
progetto CISAP è del 24 gennaio 1966. Si tratta di una lettera in tedesco inviata
dal console Antonio Mancini al signor Max Kuhn, segretario della
sezione di Berna del sindacato FOMO, per informarlo delle intenzioni di un
gruppo di italiani di costituire un «Centro»
gestito da una nuova associazione per organizzare corsi di formazione
professionale per lavoratori italiani immigrati. In vista di un
approfondimento, il console Mancini invitava il signor Max Kuhn ad una cena di
lavoro all’Hotel Bellevue il 28.1.1966 alle ore 20.15.
Il documento è interessante perché fa capire non solo
l’accordo che dev’essere intercorso in precedenza tra i promotori del Centro e
il console Mancini, convinto sostenitore del progetto, ma anche il desiderio
del gruppo promotore di ottenere l’adesione delle principali istituzioni
svizzere interessate al problema della formazione professionale degli
immigrati.
Come si usa abitualmente in questi casi, alla lettera del
console era allegato l’elenco dei componenti del gruppo autocostituitosi «promotore»
del Centro da realizzare il più presto possibile: Cenni Giorgio, Ceccato
Daniele, Ciardelli Quinto, Chiarello Francesco, De Giorgi Franco, Di Pietro
Salvatore, Gonnella Giuseppe, Mino Marcello, Scognamiglio Guido, Vicentini
Claudio, Zola Dante, Zanardo Floriano. Con la costituzione di questo gruppo lo
strappo finale dalla CLI era evidentemente completato, anche se non ancora pienamente accettato da quest’ultima. (Segue)