La politica è entrata nel discorso sull'emigrazione/immigrazione ben prima degli anni Novanta del secolo scorso, ma è in quel decennio che essa ha invaso ogni ambito degli italiani residenti in Svizzera. Al di là dell’interesse diretto dei partiti ad avere propri rappresentanti anche all'estero, in grado di mobilitare gli emigrati per votare in loro favore al momento delle elezioni in Italia, c’era l’interesse ad avere loro rappresentanti stabili nelle associazioni, nei patronati e soprattutto negli organismi di rappresentanza (Comites e CGIE) e in vista della elezione dei rappresentanti degli italiani all'estero nel Parlamento. Non si trattava tanto di diffondere visioni politiche e possibili soluzioni ai problemi, quanto di numeri, di voti, di visibilità e di potere. Purtroppo questa politica non teneva (sufficiente) conto che gli emigrati italiani erano in forte diminuzione e la seconda generazione (non emigrata) era in costante aumento e stava sviluppando un interesse prevalente per la Svizzera.
Politica orientata all'Italia
Chi ha vissuto per intero gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso in Svizzera ricorderà senz'altro che la politica italiana che si stava diffondendo tra gli emigrati organizzati era orientata prevalentemente alla gestione oltre che delle sezioni dei partiti politici, delle principali organizzazioni, dei patronati e degli organismi di rappresentanza, considerati i veri centri del potere. I principali temi trattati nelle assemblee erano le pensioni di chi rientrava in Italia in età della pensione italiana ma non di quella svizzera, le eventuali agevolazioni per chi ritornava, la scelta del patronato che sembrava più efficiente e del partito che sembrava più promettente, i disservizi consolari. Non figurava quasi mai all'ordine del giorno l’integrazione della seconda generazione, la formazione professionale, la partecipazione alle commissioni comunali locali riguardanti gli stranieri e ai gruppi di lavoro misti.
In molte assemblee
sociali di grandi associazioni ci si lamentava tuttavia abitualmente
dell’assenza dei giovani, del (presunto) disinteresse dei giovani ai problemi
dell’emigrazione, della disaffezione dei giovani alle associazioni che avevano
contribuito a dare dignità agli immigrati e a far guadagnare loro rispetto e
benessere in una società che agli occhi di molti rimaneva ancora impregnata
della stessa xenofobia alla Schwarzenbach che aveva caratterizzato gli anni
Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Che non ci sia stata
una grande evoluzione nella considerazione della società svizzera dagli anni
Settanta lo dimostra una serie di pubblicazioni recenti ambientate nell'epoca
dei movimenti antistranieri, incentrate su episodi di discriminazione, di
«bambini clandestini», di respingimenti alla frontiera, di tentativi di
perpetuare una sorta di ceto sociale subalterno, marginale nella società, ecc. In
queste pubblicazioni, invece, è sistematicamente ignorato o minimizzato il
lento ma incessante avvicinamento delle condizioni degli stranieri agli
standard svizzeri, il lavoro silenzioso ma utilissimo delle commissioni e dei
gruppi di lavoro con la partecipazione attiva anche di italiani, la
trasformazione della società svizzera sempre più consapevole del contributo
degli stranieri, le molteplici forme di collaborazione, ecc.
Diverso orientamento degli italiani
residenti
Eppure, dagli anni
Sessanta, la collettività italiana è stata sempre più caratterizzata dalla
progressiva integrazione, dall'accesso alla proprietà delle abitazioni, dalla
riuscita professionale di molti italiani, dall'incidenza sempre più marcata
nella società dei matrimoni misti, dall'introduzione della doppia nazionalità,
dalla diffusa consapevolezza di avere in Svizzera una seconda patria, dalla
crescita dell’italianità (intesa come componente della cultura e della società
svizzera, sostenuta anche dal contributo italiano), dalla presenza di italiani
(anche con la sola nazionalità italiana) nelle amministrazioni pubbliche
svizzere persino a livelli dirigenziali, dall'inserimento di italiani in
delegazioni svizzere in contesti internazionali, dalla partecipazioni politica
e sindacale a tutti i livelli di molti svizzeri con origine migratoria
italiana, specialmente della seconda generazione, ecc.
Negli anni Novanta era
evidente che la collettività italiana residente si stava trasformando e si
orientava sempre più chiaramente verso la Svizzera, pur senza perdere di vista
l’Italia. Era sintomatico, per esempio, che molte associazioni tradizionali
erano da tempo inattive o scomparse per mancanza di nuovi soci. Quelle che
riuscivano a restare in vita, resistevano grazie a un societariato numeroso e
fedele (e un significativo sostegno pubblico), che si permetteva una sede
propria, magari con annesso ristorante, o grazie a un’ideologia forte.
Non si può tuttavia dimenticare che in quei decenni aumentava anche la conflittualità tra associazioni di destra e di sinistra, degenerando addirittura in episodi al limite del grottesco, come nel caso sottoposto nientemeno che all'allora Presidente del Consiglio dei Ministri Giuliano Amato, in visita ufficiale in Svizzera (10 ottobre 2000). Gli si pose infatti il quesito se era lecito che un presidente del Comites (espressione della sinistra) negasse il diritto di accesso alla sede al rappresentante della minoranza nello stesso organismo (espressione della destra).
Motivo di scontro tra
le associazioni sopravvissute era spesso l’accaparramento delle rappresentanze
nei Comites e nel CGIE (facendoli in tal modo divenire organismi alibi) e
l’aspirazione a entrare nelle liste dei candidati per la rappresentanza degli
italiani all'estero nel Parlamento italiano. Lo scontro è stato vinto dalle
organizzazioni di sinistra, che riuscirono a monopolizzare quasi tutte le
rappresentanze degli italiani. (Nelle elezioni del 2006 le liste di sinistra
riuscirono a mandare in Parlamento dalla Svizzera ben quattro rappresentanti).
Domande lecite…
Queste lotte interne e
l’esito delle elezioni politiche del 2006 sollevarono lunghe discussioni
sull'organizzazione del sistema di voto all'estero, ma soprattutto sulla
sua utilità (anche se nel 2006 gli eletti all'estero garantirono la maggioranza
a un governo di centro-sinistra piuttosto che a uno di centro-destra). L’ex
ambasciatore ed editorialista Sergio Romano, in un articolo intitolato «La
commedia degli onorevoli italo-esteri», metteva tuttavia in guardia sull'affidabilità del gruppo estero, per sua natura
disomogeneo. Illusoria risulterà invece l’affermazione di uno degli eletti in
Svizzera, Claudio Micheloni, per il quale «il voto espresso fuori dai
confini nazionali ha dato a noi italiani all'estero un peso e una visibilità,
attraverso i quali abbiamo fatto sentire la nostra voce, la nostra presenza, la
nostra partecipazione, la nostra sensibilità politica».
Evidentemente è incontestabile il diritto degli italiani di
poter votare dall'estero su questioni riguardanti gli italiani, come pure di
avere una rappresentanza nel Parlamento italiano, ma è anche legittimo
domandarsi se almeno una parte significativa delle abbondanti energie profuse
in queste lunghe battaglie «di civiltà» (come si diceva allora) non sarebbe
stato meglio dedicarla, per esempio, a trovare una sistemazione definitiva ai
corsi di lingua e cultura integrandoli per quanto possibile nei programmi di
studio della scuola locale, a sostenere adeguatamente l’orientamento e la
formazione professionale dei giovani italiani, a coinvolgere fin dagli anni
Settanta altri italofoni (specialmente ticinesi e grigionesi) nei progetti di
sostegno all'italianità.
… e qualche dubbio
A distanza di anni, credo che sia lecito nutrire qualche
dubbio sull'utilità reale del diritto di voto politico per gli italiani
all'estero, prescindendo dalla giusta soddisfazione di una battaglia vinta.
Esaminando la questione nel suo complesso, per esempio nel contesto svizzero,
non è infatti del tutto evidente che questo diritto e questa rappresentanza
abbiano giovato all'evoluzione della collettività italiana qui residente che,
in una prospettiva storica, ha visto crescere e integrarsi sempre più la parte
«svizzera» con o senza la doppia nazionalità.
Sull'effettiva portata sia del voto all'estero che
dell’elezione di una rappresentanza degli italiani all'estero nel Parlamento
italiano è inoltre lecito avere ancora qualche dubbio tenendo presente che
dagli anni Novanta in poi, mentre la «politica» continuava a guardare quasi
esclusivamente all'Italia, la maggioranza degli italiani residenti guardava
soprattutto alla Svizzera e percepiva chiaramente l’estraneità delle
problematiche emigratorie dal sentire comune degli italiani in patria e
l’assoluta ininfluenza delle richieste, delle denunce e delle rivendicazioni
degli italiani all'estero, anche di quelli deputati a rappresentarli in
Parlamento.
E’ difficile, per chi scrive, negare che gli sforzi per
ottenere il diritto di voto all'estero e la rappresentanza politica in Italia
abbiano distolto molte energie da altre battaglie forse più utili e urgenti, né
escludere che il prevalere dell’orientamento verso l’Italia della politica degli
italiani in Svizzera abbia prodotto, come temeva un esponente delle Colonie
Libere Italiane nel 2004, «un decadimento delle attività di base, culturali,
sociali, ricreative, formative, ad esclusione dei servizi di assistenza erogati
dai patronati, che di fatto diverranno il luogo privilegiato per
l’accaparramento dei voti». (Segue)
Giovanni Longu
Berna 22.06.2022