Nel periodo in esame
(1970-1990) il mondo dell’immigrazione italiana in Svizzera cambiò radicalmente
a causa di molteplici fattori, quali la nuova politica federale orientata alla stabilizzazione
della manodopera estera, la diminuzione di nuovi immigrati dall'Italia, l’aumento
dei ricongiungimenti familiari, l’avanzata della seconda generazione, i primi
risultati dell’integrazione scolastica e professionale, ecc. Nelle narrazioni
di questi cambiamenti si tende spesso a trascurare l’influsso della congiuntura
economica degli anni Settanta e il fondamentale apporto della popolazione
svizzera al superamento della difficile situazione che si era venuta a creare
nei rapporti con gli stranieri. L’importanza di questi fattori è rilevabile dai
numeri riguardanti gli effetti della crisi economica degli anni 1973-76 e
dall'indebolimento dei movimenti xenofobi.
La crisi economica e
la conversione di molti svizzeri e stranieri
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Negli anni ’70 molti italiani lasciarono la Svizzera in seguito alla crisi economica; pochi ritornarono. |
In questo articolo si
parlerà soprattutto della crisi economica degli anni Settanta, nei successivi
articoli degli altri contributi. Occorre tuttavia tener sempre presente che i
grandi cambiamenti, compreso quello che interessò l’immigrazione italiana in
Svizzera, avvengono sotto la spinta di molteplici fattori. Uno dei più importanti
è stato sicuramente la crisi economica di quel decennio. Per capirne l’impatto
bisogna ricordare sia pur brevemente le dinamiche economiche del dopoguerra.
Infatti, lo sviluppo economico
svizzero degli anni Cinquanta e Sessanta spingeva già decisamente, soprattutto
a causa della concorrenza internazionale, verso un cambiamento dei paradigmi
industriali e dell’economia in generale, che esigeva ampie ristrutturazioni e
trasformazioni e allo stesso tempo interventi incisivi nella politica
immigratoria. Sviluppo economico e immigrazione hanno legami profondi, che è
impossibile ignorare. Schwarzenbach e il suo movimento sono stati espressioni importanti
di quelle esigenze, ma i cambiamenti sarebbero intervenuti comunque.
Posti di lavoro
persi e diminuzione degli stranieri
Uno degli impulsi più incisivi
al cambiamento è stata la crisi economica di metà anni Settanta a seguito del
rincaro massiccio dei prezzi del petrolio e dei suoi derivati nel 1973-74. La
Svizzera non ne fu risparmiata e una drammatica crisi si abbatté sull'economia con
chiusure di aziende, licenziamenti, aumento dei disoccupati, partenza dalla
Svizzera di parecchie migliaia di immigrati, pressione sui salari, incertezza
per il futuro, ecc.
Secondo fonti
sindacali e ufficiali sarebbero stati persi dai 300 ai 350 mila posti di
lavoro, occupati in maggioranza da lavoratori stranieri. In seguito a
licenziamenti, difficoltà di trovare un nuovo impiego e ad altre considerazioni,
decine di migliaia di immigrati decisero di rientrare con le loro famiglie al
loro Paese. I posti di lavoro persi e le numerose partenze di stranieri (attivi
e non attivi) rappresentarono per molte imprese un’opportunità che venne
sfruttata per realizzare profonde razionalizzazioni e ristrutturazioni soprattutto
nel settore industriale, dov’erano maggiormente presenti gli stranieri.
E’ emblematico che anche
durante la crisi il prodotto interno lordo (PIL) abbia continuato a crescere,
molte imprese (grazie alle ristrutturazioni, alla pressione sulla produttività,
alla diminuzione dei salari e ai licenziamenti) abbiano addirittura aumentato
la produzione, multinazionali e grandi banche abbiano ripreso a distribuire
dividendi. Prima della fine del decennio, quando la crisi era ormai alle
spalle, la Svizzera era tornata ad essere il Paese più ricco del mondo, persino
più del Kuwait. Anche l’immigrazione aveva ripreso vigore dopo la batosta
ricevuta durante la crisi, ma non era più quella del dopoguerra.
Come accennato, gli immigrati,
soprattutto gli italiani, furono particolarmente colpiti dalle chiusure di
fabbriche, dalle ristrutturazioni e dai licenziamenti. Gran parte dei posti di
lavoro persi erano infatti occupati da stranieri. Molti di essi lasciarono la
Svizzera, che per anni cessò di essere un Paese amico ambito dagli emigranti, soprattutto
dagli italiani. Se fino al 1973 la popolazione straniera superava di poco il
milione (1.052.505) e costituiva il 16,6
per cento della popolazione residente totale, nel 1979 scese in cifre assolute
e percentuali rispettivamente a 883.837 persone e al 14,0
per cento (la stessa del 1964).
Nello stesso periodo il calo della collettività
italiana è stato più accentuato (da 640.579 a 418.589) nonostante l’arrivo di
nuovi immigrati e di numerosi minorenni per il ricongiungimento familiare.
Esportazione della disoccupazione?
In seguito alle numerose chiusure di aziende e
ai posti di lavoro persi soprattutto dagli stranieri, si parlò a livello
giornalistico e sindacale di «esportazione della disoccupazione». In effetti, gli
stranieri disoccupati rientrati al loro Paese non figuravano più nella
statistica svizzera della disoccupazione. Ne nacque una polemica che durò a
lungo, perché la discussione non teneva sufficientemente conto dei numeri (come
spesso accade quando le posizioni sono soprattutto ideologiche e trascurano le
statistiche).
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La CFS contestò ripetutamente l'espressione (e il senso) dell'espressione «esportazione della disoccupazione» |
In realtà, anche questa risposta non dice
molto sui numeri degli stranieri disoccupati che hanno dovuto lasciare la
Svizzera per la semplice ragione che in proposito non esistono dati certi. Non
si sa nemmeno quanti stranieri negli anni della crisi persero il lavoro e se vi
siano stati davvero disoccupati costretti (per via amministrativa) a lasciare
la Svizzera. E’ comunque certo che tra gli stranieri ci furono molti
disoccupati e tantissimi rientrarono in quel periodo al loro Paese. Di seguito
si cercherà di fornire qualche numero.
Quanti stranieri e
italiani furono toccati dalla crisi?
Va subito precisato che i 300-350 mila posti
di lavoro persi non erano occupati solo da stranieri, ma anche da svizzeri.
Inoltre, come detto, a lasciare la Svizzera non furono solo lavoratori (persone
attive occupate o disoccupate), ma spesso anche i loro famigliari. Va anche
ricordato che la diminuzione degli
stranieri residenti non fu dovuta esclusivamente alla crisi economica, anche se
certamente vi ha influito pesantemente, ma anche ad altri fattori (naturalizzazioni,
minori trasformazioni dei permessi stagionali in annuali, maggiori opportunità
di lavoro offerti dall'Italia che stava diventando sempre più un Paese
d’immigrazione, ecc.). Nel caso degli italiani si deve anche tener presente che
i nuovi arrivi dall'Italia erano già in diminuzione fin dalla metà degli anni
Sessanta.
La domanda è comunque legittima: quanti sono
stati gli stranieri (e gli italiani) colpiti dalla crisi che rientrarono al
loro Paese? Purtroppo una risposta certa è impossibile, ma si può ritenere che tra il 1974 e il 1978 la popolazione straniera
residente è diminuita di circa 167.000 persone tra annuali e domiciliati. La
diminuzione, in realtà, ha riguardato solo gli annuali (-190.000) perché i
domiciliati erano addirittura in aumento (+23.000). La forte diminuzione degli
annuali si spiega anche col fatto che gli stranieri partiti raramente venivano rimpiazzati,
probabilmente perché i loro posti di lavoro erano stati soppressi. Inoltre, non
va dimenticato che in quegli anni sono state registrate 90-95 mila
naturalizzazioni (di cui 40-45 mila riguardanti stranieri attivi).
La ragione principale delle
partenze va tuttavia vista nella pressione psicologica esercitata nell'ambiente
lavorativo (riduzione dei salari, pressione sulla produttività, minacce di
licenziamento, introduzione di nuove tecnologie, nuovi processi di lavorazione,
esigenze di adattamento, ecc.), nella società (incertezza del futuro,
inserimento scolastico dei figli, collocamento dei risparmi, ecc.) e nelle stesse
famiglie (talvolta forti contrasti tra chi voleva restare e chi voleva
rientrare, preoccupazioni per la formazione scolastica e professionale dei
figli, ecc.).
Già da queste
considerazioni si può ben capire che la popolazione straniera rimasta in Svizzera
e quella che comunque continuava ad arrivare stavano trasformando profondamente
la realtà migratoria formatasi nei primi decenni del dopoguerra. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 29.9.2021