Negli anni Sessanta l’immigrazione italiana in Svizzera
cominciò a meridionalizzarsi. Grazie al boom economico, che assorbiva quasi
tutta la manodopera disponibile del nord d’Italia, erano sempre meno i
settentrionali che emigravano in Svizzera. Là dove il progresso stentava ad
arrivare, nel Mezzogiorno, si continuò invece ad emigrare, anzi i flussi,
soprattutto nei primi anni Sessanta, aumentarono in misura impressionante. L’immigrazione
italiana in Svizzera si meridionalizzava sempre più, aggiungendo nuovi problemi
a quelli già esistenti: contrasti tra gli stessi immigrati, aumento
dell’incomunicabilità con la popolazione locale (scarsa conoscenza delle
lingue), difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro (impreparazione
professionale, scarsa sindacalizzazione) e nella società (disinteresse per
l’integrazione), asprezza della lotta politica specialmente alla vigilia delle
elezioni in Italia.
Italia: boom economico al nord, emigrazione dal sud
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Anche durante il boom economico si continuava ad emigrare... |
Sul finire
degli anni Cinquanta, lo sviluppo economico italiano ottenne una grande spinta
dalla creazione della Comunità economica europea (CEE), istituita con i
Trattati di Roma (25 marzo 1957) entrati in vigore il 1° gennaio
1958. L’economia italiana si consolidò e si trasformò profondamente, grazie
all’incremento dei consumi interni e alle crescenti esportazioni di beni di
largo consumo (automobili, frigoriferi, lavatrici, ecc.) soprattutto nei Paesi
della CEE, che favorirono l’occupazione e la diffusione del benessere.
Si parlò di «miracolo economico», dimenticando talvolta di aggiungere che
il benessere e la ricchezza si concentravano soprattutto al nord nel famoso
«triangolo industriale» Milano-Torino-Genova. Qui industrie e commerci
garantivano la piena occupazione, mentre al sud cresceva la disoccupazione. Per
rincorrere il benessere, molti meridionali abbandonarono le campagne e
cercarono lavoro al nord, dove venivano chiamati in tono dispregiativo «terroni»
e considerati un po’ sottosviluppati. Molti emigrarono ancora più a nord,
soprattutto in Svizzera e in Germania, dove la manodopera scarseggiava, ma dove
non ricevettero una migliore accoglienza.
Purtroppo l’ondata immigratoria degli anni Sessanta, costituita in
maggioranza da meridionali, differiva notevolmente da quella dell’immediato
dopoguerra. Negli ultimi arrivati il livello d’istruzione era piuttosto basso
(molti erano addirittura analfabeti), le conoscenze linguistiche erano scarse,
la preparazione professionale specifica era inesistente o comunque non adeguata
ai parametri svizzeri. Questa situazione contribuì ad accrescere il divario tra
italiani e popolazione locale.
Svizzera: benessere
e malcontento
In Svizzera, il persistente sviluppo industriale del
dopoguerra richiamava ogni anno dall’Italia decine di migliaia di immigrati. Nella
Svizzera interna spesso li chiamavano «Tschingg», perché nel
tempo libero pronunciavano spesso cinq giocando alla morra. Erano ormai
tanti perché la manodopera indigena scarseggiava: nel 1961, alla fine di agosto
si contavano appena 551 persone in cerca d’impiego e decine di migliaia di
posti di lavoro liberi. Erano tanti anche perché si trattava di manodopera
relativamente a buon mercato. Alcuni datori di lavoro pagavano
incentivi ai collaboratori che riuscivano a reclutare colleghi di lavoro.
La crescita della popolazione straniera e di quella italiana in particolare
creava tuttavia non poche preoccupazioni nelle autorità (paura
dell’inforestierimento e della pressione xenofoba), nei sindacati (paura della
concorrenza straniera e della pressione sui salari), nella popolazione (paura
di perdere il lavoro, dell’inflazione, dell’aumento delle pigioni), ma
soprattutto negli immigrati, che si sentivano sfruttati, discriminati,
marginalizzati, abbandonati dall’Italia.
Interventi maldestri delle autorità italiane e
svizzere
Il malcontento di molti immigrati giunse fino a Roma. Portavoce erano
soprattutto esponenti comunisti, allora all’opposizione dei governi
democristiani. Questi, che non intendevano lasciare all’opposizione la gestione
dei problemi migratori, cominciarono a preoccuparsi e intervennero a più
riprese tramite i canali diplomatici per ottenere migliori condizioni per gli
italiani. Nel 1961 intervenne persino un ministro, Fiorentino Sullo, ma
col suo modo di fare arrogante finì per scontentare sia gli svizzeri che gli
stessi connazionali.
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(CdS) Le espulsioni del 1963 fecero molto scalpore in Italia. |
Il governo italiano moderò la protesta per un
interesse ritenuto superiore, quello di non turbare le buone relazioni tra i
due Paesi e di non compromettere gli attuali flussi emigratori verso la
Svizzera. La loro interruzione o flessione avrebbe potuto procurare ulteriori
disagi agli italiani già emigrati, ma soprattutto al Mezzogiorno, dove era
sempre alta la disoccupazione e la voglia di emigrare. Non era tuttavia
nell’interesse del governo non reagire affatto per evitare che con la propria
inerzia o indifferenza le sinistre (soprattutto il PCI) sfruttassero a proprio
vantaggio i rancori e il malcontento degli immigrati.
Anche per la Svizzera i rischi non potevano essere
sottovalutati: senza gli italiani alcune attività economiche avrebbero subito
danni probabilmente irreversibili e la loro sostituzione con altra manodopera
straniera avrebbe posto enormi problemi di reclutamento e d’inserimento nel
contesto svizzero in evoluzione. Era dunque nell’interesse di entrambi i
governi trovare un’intesa o quantomeno compromessi soddisfacenti almeno sui
punti più controversi.
Premesse per un accordo
Nel 1961, riconoscendo il pericolo dell’inforestierimento e
dell’avanzata dei movimenti xenofobi, il Consiglio federale aveva nominato
un’apposita Commissione di studio incaricata di esaminare i problemi legati
alla presenza degli stranieri sotto l’aspetto economico, demografico, sociale e
politico. L’oggetto del mandato non erano i problemi degli stranieri, ma i
problemi derivanti dalla presenza in Svizzera dei numerosi (forse troppi?)
stranieri.
Al governo italiano interessava invece affrontare tutta una
serie di problemi riguardanti i connazionali immigrati. Intendeva pertanto
negoziare con la Svizzera una nuova convenzione bilaterale riguardante la
sicurezza sociale dei lavoratori italiani immigrati e un nuovo accordo generale
italo-svizzero per l’emigrazione. Lo scopo era quello di trovare
soluzioni adeguate ai vari problemi, ma anche quello di dare possibilmente un
nuovo orientamento alla politica emigratoria/immigratoria italo-svizzera.
La richiesta italiana, le pressioni sindacali per
una politica immigratoria più restrittiva e soprattutto quelle delle destre xenofobe
non rendevano certo facile il compito del governo svizzero, chiamato ad
assicurare un difficile equilibrio tra le esigenze (ritenute comunque
prioritarie) dell’economia che procurava benessere, i legittimi interessi della
popolazione che mal sopportava un aumento sconsiderato di stranieri «in casa
propria», ma anche le giustificate rivendicazioni della popolazione italiana
immigrata.
1964: l’Accordo che segnò una svolta
Com’è noto (cfr. http://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2014_10_19_archive.html), nel corso di una lunga trattativa l’Italia preferì rinunciare ad alcune rivendicazioni
iniziali, piuttosto che far fallire il difficile negoziato con pretese o
richieste esagerate. Anche il Consiglio federale preferì fare alcune importanti
concessioni soprattutto sui ricongiungimenti familiari, piuttosto che privare
l’economia svizzera di un sicuro approvvigionamento di forza lavoro a buon
mercato.
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All'orizzonte cominciavano a profilarsi i problemi dell'integrazione. |
L’Accordo, firmato a Roma
il 10 agosto 1964, doveva avviare a soluzione annosi problemi, ma segnare anche
l’inizio di un approccio diverso e lungimirante con i nuovi immigrati, perché
nuovi problemi stavano giungendo a maturazione, soprattutto quelli legati alle
seconde generazioni, alla loro scolarizzazione, alla formazione professionale,
al delicato processo d’integrazione.
A non essere per nulla
soddisfatti dell’Accordo furono i movimenti antistranieri, che dalla metà del decennio
si dimostrarono campioni nella lotta all’inforestierimento (Überfremdung)
e nella xenofobia, contribuendo ad aggravare la difficile convivenza tra la
popolazione svizzera e gli stranieri.
«Di fatto l’Accordo del 1964 segnò una cambio di
paradigma fondamentale nella politica emigratoria italiana come in quella
immigratoria svizzera. L’Italia divenne da allora più attenta alle
rivendicazioni degli emigrati italiani […]. La Svizzera pure cominciò a mettere
in discussione il principio della «rotazione» (per favorire la stabilizzazione
della manodopera piuttosto che sostituirla in continuazione) e a ipotizzare
forme d’integrazione, comunque di difficile introduzione per la forte
opposizione dei movimenti xenofobi e per la mancanza di modelli, ma anche per
le resistenze in seno alla collettività italiana immigrata (si pensi per
esempio alla difesa ad oltranza delle scuole italiane)» (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2017/11/italiani-in-svizzera-30-gli-anni.htm) (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 19.06.2019
Berna, 19.06.2019