Le celebrazioni per i
500 anni della Riforma protestante e per i 70 anni del Consiglio ecumenico
delle Chiese (CEC) con la partecipazione di papa Francesco hanno rinforzato nella coscienza di molti cristiani
d’occidente il desiderio di una riconciliazione tra cattolici e protestanti.
Negli articoli precedenti ho cercato di mettere in luce le motivazioni non
religiose (specialmente politiche) che hanno indotto alcuni Cantoni ad
accogliere le idee «protestanti», soprattutto di Zwingli e di Calvino, e altri
Cantoni a costituire un blocco cattolico conservatore, avvalendosi anche del
contributo di alcuni ordini religiosi, in particolare dei Gesuiti. Oggi tali motivazioni
sono del tutto superate, per cui la riunificazione appare più possibile che in
passato (pur persistendo profonde divergenze di natura dottrinale di non
facile, ma non impossibile, soluzione).
L’ostacolo dei
Gesuiti
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Papa Francesco, gesuita, grande sostenitore dell'ecumenismo. |
E’ probabile tuttavia
che proprio il successo dell’attività formativa dei Gesuiti (ritenuti per
questo almeno in parte responsabili della guerra del Sonderbund!) e il
loro forte legame col Papa abbiano indotto le principali forze politiche
liberali-radicali a considerarli ancora così «pericolosi» da chiederne
l’espulsione da tutta la Svizzera (1847) e vietarne a livello costituzionale
(1848 e 1874) qualsiasi attività nella chiesa e nella scuola, sebbene la stessa
Costituzione federale garantisse la libertà di culto a tutti i cristiani (ma
non agli ebrei!) e imponesse ai
Cantoni di farla rispettare.
Come ho ricordato in altra occasione (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2016/03/capire-la-svizzera-19-verso-la-parita.html) gli
storici sono concordi nel ritenere che l’adozione di quel divieto non fu
dettata da motivi religiosi o confessionali, ma fu il risultato di una lotta politica acerrima
fra liberali-radicali (in maggioranza protestanti) e conservatori (in
maggioranza cattolici) per la ripartizione delle competenze e dei diritti fra
Stato e Chiesa e pertanto il loro rispettivo dominio sulle masse. Non si può tuttavia negare che i Gesuiti
rappresentassero ancora forze rivoluzionarie non meno dei Riformatori protestanti del XVI
secolo. Senonché i tempi erano cambiati e lo Stato era più che mai intenzionato
a garantire più di allora la stabilità anche confessionale della giovane
Confederazione.

La situazione
religiosa favorisce il dialogo e la collaborazione
Questo preconcetto nei confronti dei Gesuiti cadde definitivamente in
votazione popolare nel 1973. Nonostante l’evidente anacronismo e
incostituzionalità del divieto nei loro confronti, è singolare che a favore dell’abrogazione
abbia votato soltanto il 55% dei votanti e contro si siano espressi a
maggioranza i Cantoni di Zurigo (52,8% di no), Berna (65,8%), Neuchâtel (70,8%),
Vaud (65,2%), Sciaffusa (54,9%) e Appenzello Esterno (61,5).
Rimosso quest’ultimo ostacolo, fu superato anche uno dei secolari
fossati che dividevano la Svizzera, quello confessionale, non senza, tuttavia,
il contributo determinante della mobilità sociale e dell’immigrazione, in
prevalenza cattolica, dei primi decenni del secondo dopoguerra.
Oggi il panorama religioso svizzero, esente da conflitti evidenti,
sembra favorire non solo la via del dialogo interconfessionale, ma anche
un’intensa collaborazione in campo sociale e religioso, non da ultimo per
frenare nella società l’indebolimento delle componenti cristiane e l’aumento
delle persone che si dichiarano senza confessione. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 8.8.2018
Berna, 8.8.2018