Quando nel luglio del 1847, con una maggioranza di dodici voti,
l’assemblea dei delegati dei Cantoni (Dieta) dichiarò sciolto il Sonderbund
e il generale Dufour (1787-1875), capo delle truppe dei Cantoni
liberali, costrinse alla resa l’esercito dei Cantoni cattolici ribelli
(novembre 1847), è possibile che qualcuno tra i vincitori abbia pensato di
punire severamente i vinti. Prevalse invece il buon senso, tant’è che,
nonostante fosse stato ordinato un processo contro i capi
del Sonderbund (rifugiatisi per lo più all'estero), nessuno di loro fu
sottoposto a indagine e punito. Evidentemente la maggioranza dei vincitori era
consapevole che solo la «parità
confessionale» avrebbe posto fine alle lotte tra cattolici e protestanti.
Verso la
parità confessionale, ma senza i Gesuiti…
Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù (di P. Paul Rubens) |
Poiché la
tolleranza reciproca delle confessioni cristiane prevista nelle diverse «paci
nazionali» non aveva superato con piena soddisfazione la prova di durata,
vincitori e vinti ritennero indispensabile fissare il principio della «parità
confessionale» tra cattolici e protestanti nella Costituzione che un’apposita
commissione mista (istituita nel luglio 1847, prima che scoppiasse la guerra del
Sonderbund, ma insediata dopo nel febbraio del 1848) stava preparando.
Effettivamente, la nuova Costituzione,
approvata nell’estate 1848 dalla maggioranza dei 22 Cantoni (6 e mezzo,
compreso il Ticino, votarono contro), garantiva la libertà di culto a tutti i
cristiani (ma non agli ebrei!) e imponeva ai Cantoni di farla rispettare (art.
44 Cost. 1848). Tuttavia,
poiché era opinione abbastanza comune tra i vincitori che uno dei maggiori
ostacoli alla pace confessionale fosse rappresentato dalla presenza in quasi
tutti i Cantoni cattolici dei Gesuiti, ritenuti responsabili della guerra del Sonderbund,
venne ripreso nella Costituzione (art. 58) anche il divieto di qualsiasi
attività religiosa dei Gesuiti, già espulsi dalla Dieta il 3 settembre 1847 e
il 26 giugno 1848.
Che non si trattasse
di una misura temporanea nei confronti dei Gesuiti lo prova il fatto che con la
revisione costituzionale del 1874 quel provvedimento (divenuto l’art. 51) venne
ulteriormente aggravato, sembrando evidente la pericolosità dell’ordine dei
Gesuiti (la Compagnia di Gesù) per lo Stato e per la pace confessionale.
Venne infatti specificato che ad essi era «interdetta ogni
azione nella chiesa e nella scuola» e che «questo divieto può mediante
risoluzione federale essere esteso anche ad altri ordini religiosi la cui
azione sia pericolosa per lo Stato o turbi la pace delle confessioni»,
aggiungendo (art. 52) che «la fondazione di nuovi conventi od ordini religiosi
e il ristabilimento di quelli già soppressi è inammissibile».
Gli storici sono
concordi nel ritenere che l’adozione di quell’articolo non fu dettata da motivi
religiosi o confessionali, ma fu il risultato di una lotta
politica acerrima fra liberali-radicali (in maggioranza protestanti) e
conservatori (in maggioranza cattolici) per la ripartizione delle competenze e
dei diritti fra Stato e Chiesa e pertanto il loro rispettivo dominio sulle
masse.
I Gesuiti fecero in qualche modo da capro
espiatorio perché con le loro idee, le loro scuole e la loro influenza
sembravano favorire la parte conservatrice, sconfitta nella guerra del Sonderbund.
Sta di fatto che per molto tempo il divieto fu applicato con grande rigore e il
Consiglio federale ha sempre vigilato affinché l'interdizione fatta ai membri
della Compagnia di intervenire nella scuola e nella chiesa fosse rispettata. «Anche
il solo salire sul pulpito di un gesuita era considerato “azione nella chiesa”»,
si legge in un documento dello stesso Consiglio federale. Solo dopo la seconda
guerra mondiale molte attività svolte dai Gesuiti in Svizzera cominciarono ad
essere tollerate e persino apprezzate.
… e senza illusioni
I Gesuiti non furono tuttavia le uniche
vittime di quella sconfitta. La loro interdizione fu accompagnata anche dalla chiusura di un gran numero di conventi sopravvissuti
alla Riforma. Nessuno, tuttavia,
s’illudeva che, senza Gesuiti e conventi e inserendo semplicemente il principio
della parità confessionale nella nuova Costituzione, i problemi della pacifica
convivenza delle due confessioni sarebbero stati facilmente superati nei
Comuni, nei Cantoni e dunque nella Confederazione.
Il dubbio era legittimo perché era
obiettivamente difficile anche solo immaginare un’assoluta parità
confessionale, dopo che per secoli era stata negata, per motivi politici ma
anche religiosi, persino la possibilità di una tolleranza reciproca: sembrava
infatti inaccettabile che il Dio unico dei cristiani potesse essere venerato
adeguatamente in due modi tanto diversi.
Inoltre, in molti Cantoni, dai tempi della
Riforma, era stata operata una sorta di «pulizia confessionale», ponendo ogni
genere di ostacoli all’esercizio del culto cattolico o protestante a seconda
della maggioranza nel Cantone, al fine di garantire la massima omogeneità
religiosa degli abitanti. I risultati vennero evidenziati al primo censimento
federale della popolazione (1850), quando in molti Cantoni la distanza tra
maggioranza e minoranza confessionale risultava piuttosto ampia. La distanza tra
protestanti e cattolici era particolarmente significativa in alcuni Cantoni
emblematici per la loro importanza demografica ed economica: Zurigo (243.928/6690), Berna (403.768/54.045), Vaud (192.225/6962),
Turgovia (107.194/21.921), Lucerna (1563/131.280), Friburgo (12.133/87.753), Vallese
(463/81.096), Ticino (50/117.707).
Dopo la sconfitta del Sonderbund era
sembrato che la pulizia andasse completata, non già con intenti punitivi, bensì
per evitare che il precario equilibrio confessionale appena raggiunto si
rompesse sul nascere. Tutte le misure prese dovevano avere un intento
precauzionale. Sta di fatto che esse comportarono molte frustrazioni,
sofferenze, tentativi di ribellione soprattutto tra i cattolici. In un romanzo
storico di quegli anni, ), L’ebreo di Verona, il gesuita letterato Antonio
Bresciani (1798-1862) parlò di «eroica dedizione» dei «cattolici della
Svizzera, oppressi dalla forza bestiale e selvaggia dei radicali».
La contrapposizione protestanti-cattolici si attenua
Il Bresciani forse esagerava, ma non c’è
dubbio che in pochi anni la stragrande maggioranza della popolazione di ogni
Cantone era divenuta o protestante o cattolica e la minoranza non aveva altra
scelta che quella di sottostare alle regole imposte dalla maggioranza. Quelli
economicamente e politicamente più forti erano tutti protestanti. Per diversi
decenni la maggioranza liberale-radicale in Parlamento non consentì alcuna
seria opposizione e tantomeno un’alternativa di governo, dove per altro fino al
1891 tutti i seggi furono detenuti da liberali-radicali. Alla minoranza
cattolico-conservatrice non restava che un ruolo politico del tutto marginale.
Solo nei Cantoni alpini a maggioranza cattolica ex-Sonderbund questa
conservava intatto il suo potere, ormai inattaccabile grazie alla sovranità
cantonale riconosciuta dalla Costituzione federale.
Josef Zemp, primo cons. fed. cattolico |
Il cammino verso la pace confessionale era
ancora lungo. Prima di raggiungerla si dovettero superare non pochi ostacoli
come il Kulturkampf (la «lotta tra le culture», soprattutto dopo
la proclamazione nel 1870 del dogma dell’infallibilità papale) che evidenziò
grandi contrasti anche all’interno del mondo cattolico. C’era infatti in ballo non solo il primato del Papa in
materia dottrinale, ma anche, di riflesso, l’autonomia dei Cantoni (cattolici)
in materia d’insegnamento. Alcuni cattolici liberali reagirono costituendo una
propria Chiesa cattolico-cristiana, per esempio a Berna, col sostegno del
Cantone (protestante).
La rigida contrapposizione tra protestanti e
cattolici si stava tuttavia attenuando. Nel 1891 per la prima volta un
cattolico conservatore, Josef Zemp, venne eletto in Consiglio federale, rompendo
il monopolio liberale-radicale. Anche il predominio parlamentare dei
liberali-radicali cominciò a sgretolarsi man mano che il partito socialista
cresceva (a cavallo tra Ottocento e Novecento), lasciando ampi spazi di manovra
anche al conservatorismo cattolico.
Il contributo dell’immigrazione italiana
Un contributo solo apparentemente marginale
alla pacificazione confessionale fu dato anche dall’immigrazione italiana.
Nel 1888 l’episcopato cattolico svizzero auspicò che sacerdoti italiani fossero
presenti, almeno durante le feste religiose, nei luoghi di maggiore
concentrazione di immigrati italiani. Nel 1896 i vescovi svizzeri si rivolsero
direttamente al Papa Leone XIII perché favorisse l’invio di missionari italiani
in Svizzera. Sul finire del secolo, già diversi sacerdoti italiani cominciano a
visitare sempre più regolarmente gli emigrati italiani. Dal 1899 e per un lungo
periodo l’assistenza religiosa agli immigrati italiani sarà assicurata
soprattutto dai missionari appartenenti all’«Opera di Assistenza degli operai
italiani emigrati in Europa e nel Levante» fondata dal vescovo di Cremona
monsignor Bonomelli. E’ innegabile che fu proprio grazie
all’immigrazione, non solo italiana, del secondo dopoguerra che il paesaggio
religioso in Svizzera mutò radicalmente, consentendo dapprima un giusto
equilibrio tra protestanti e cattolici e poi il prevalere della parte
cattolica.
Intanto intellettuali, politici, ricercatori
si rendevano sempre più conto dell’anomalia di conservare nella Costituzione i
due articoli sui Gesuiti e sui conventi divenuti ormai anacronistici e,
secondo molti, in palese contraddizione con alcuni diritti fondamentali
garantiti dalla stessa Costituzione. Non fu difficile nel 1973 abrogare in
votazione popolare i due articoli, anche se non vi fu quella valanga di sì che molti
si aspettavano, nonostante la bassa partecipazione (40,3%). Votò infatti per
l’abrogazione poco meno del 55% dei votanti, mentre fu per molti una sorpresa l’alta
quota dei no (45,1%), grazie al
contributo dei Cantoni di Zurigo (52,8% di no), Berna (65,8%), Neuchâtel
(70,8%), Vaud (65,2%), Sciaffusa (54,9%) e Appenzello Esterno (61,5).
Venuto meno quest’ultimo ostacolo, negli
ultimi decenni del Novecento la strada verso la parità confessionale si fece
sempre più agevole. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 16.3.2016
Berna, 16.3.2016
Gironzolando in rete ho trovato in internet la "Costituzione di Novergia del 1814 sotto Carlo XIII" tradotto da Angelo Lanzellotti edito a Napoli nel 1820 (Ebook reperibile in Google libri)
RispondiEliminaArt 2:La religione luterana evangelica continuerà ad essere la religione dominante del regno....I gesuiti e gli ordini monastici non saranno affatto tollerati nel regno.
Il divieto nei confronti dei gesuiti non fu un'esclusiva della Svizzera, anche se questo Paese è stato l'ultimo in assoluto, almeno nel mondo occidentale, a revocarlo. Nel corso del XX secolo, infatti, contestualmente al diffondersi delle libertà democratiche, i divieti contro i gesuiti furono abrogati ovunque. Resistettero più a lungo solo in Norvegia (fino al 1956) e in Svizzera (1973) (gl)
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