Il seme dei martiri della Legione tebana
continuava a generare in Svizzera schiere di cristiani che a un certo punto,
sul finire del XIII secolo, sentirono un gran bisogno di libertà e iniziarono
le lotte di liberazione dal potere imperiale del Sacro Romano Impero.
L’invocazione del Patto federale del
1291 «Nel nome del Signore, così sia» non era solo una formula legata al
Medioevo religioso, ma un impegno sacro da onorare. In effetti, i primi
confederati dei Cantoni primitivi Uri, Svitto e Untervaldo lottarono contro gli
Asburgo spinti e corroborati da una fede che era allo stesso tempo civile e
religiosa, per la quale si poteva anche morire. La lotta per la libertà
appariva loro come un aspetto non secondario della storia sacra della salvezza.
Per secoli sulle loro insegne militari compariva una croce, simbolo
inequivocabile della religione cristiana a cui appartenevano.
«Per Dio e per la Patria»
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Monumento agli eroi di Morgarten 1315 (foto gl) |
Una chiara testimonianza di questa visione è
il monumento inaugurato nel 1908 a ricordo di una delle battaglie più
importanti per la liberazione dal dominio degli Asburgo, quella di Morgarten nel 1315, vinta dai
confederati. Il monumento, dedicato «agli eroi del Morgarten 1315», porta anche
questa scritta significativa (traduzione dal tedesco): «Il 15 novembre 1315 hanno
combattuto al Morgarten per Dio e per la Patria la prima battaglia per la
libertà».
Anche l’eroe (molto mitizzato) di un’altra grande vittoria dei
confederati, quella di Sempach del 1386, Arnold von Winkelried, ha
qualcosa di sacro. Secondo i racconti postumi egli si sarebbe volontariamente
sacrificato per salvare i commilitoni che stavano per essere sopraffatti dai cavalieri
asburgici. Considerato come un santo nazionale, un suo monumento fu sistemato
(1865) in una nicchia nell’abside della chiesa di St. Peter, a Stans.
Non è sorprendente che ancora oggi i lucernesi ricordino ogni anno la
vittoria di Sempach con una messa di ringraziamento. Del resto, anche il
rinnovo dei Patti federali (sancito nel Patto di Zurigo del 1351, l’anno in cui
entrarono nella Confederazione i Cantoni di Zurigo e Glarona), che avveniva
inizialmente a intervalli irregolari e dal 1481 ogni cinque anni, faceva parte
dii riti religiosi celebrati unitariamente dai Cantoni che facevano parte
dell’Alleanza e non c’è dubbio che servisse anche a consolidare il sentimento
di appartenenza a un popolo che si riteneva protetto da Dio.
Sante
parole inascoltate
Questa idea (o illusione) cominciò a vacillare sul finire del XV secolo,
durante le «guerre di Borgogna» (1474-1477), ma soprattutto dopo la disfatta di
Marignano (1515) durante le «guerre d’Italia» (1494-1559).
Durante le guerre contro il duca borgognone Carlo il Temerario, i
bernesi avevano occupato il Paese di Vaud, allora appartenente alla Savoia,
alleata della Borgogna. Anche i Vescovi-Conti di Sion (Vallese) erano riusciti
a strappare ai Savoia il Basso Vallese (dove ancor oggi si parla il francese).
Contro questa bramosia di conquista, condivisa anche da altri Cantoni
della Svizzera interna, era intervenuto (v. articolo del 2.3.2016) a più
riprese il santo eremita Nicolao della Flüe, ma evidentemente le sante
parole non bastarono. Fu solo dopo Marignano che gli svizzeri cominciarono a
rendersi conto che il tempo delle conquiste facili era finito e che dovevano
pensare a consolidarsi e rafforzare l’unità. I Cantoni confederati erano ormai
tredici, senza contare le terre a loro sottomesse.
Senonché, proprio in quegli anni stava giungendo a maturazione un
profondo disagio nelle popolazioni cristiane d’Occidente, che chiedeva radicali
cambiamenti nella religione e nella società. Anche in Svizzera stava per
nascere e svilupparsi quel vasto movimento noto come «Riforma». Esso
mirava principalmente a un rinnovamento della religione e della Chiesa, ma finì
per provocare conseguenze profonde allora imprevedibili,
oltre che nella religione, nella politica, nella cultura e nella società,
rallentando di fatto quel processo di unificazione tra i Cantoni che si stava
faticosamente avviando dalla fine del XV secolo.
La Riforma
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Erasmo da Rotterdam |
A Basilea Erasmo da Rotterdam, grande
teologo e umanista, aveva appena pubblicato nel 1516, esattamente 500 anni fa,
la sua famosa edizione critica in greco e latino del Nuovo Testamento (che
servì a Martin Lutero, il grande riformatore tedesco, per la sua
traduzione in tedesco). Ma furono Zurigo e Ginevra i principali
centri d’irradiazione della Riforma, rispettivamente nella Svizzera tedesca e
nella Svizzera francese.
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Ulrich Zwingli |
Il suo messaggio riformatore si diffuse in poco tempo in buona parte
della Svizzera tedesca e ben presto si passò dalle semplici enunciazioni di
carattere dottrinale ai fatti, con implicazioni incisive in campo politico e
nella vita quotidiana delle persone. Si cominciò ad abolire tutte quelle
pratiche, tradizioni e convinzioni che sembravano non avere alcun riscontro
nelle Sacre Scritture come il culto dei santi, la pratica di alcuni sacramenti
(specialmente la messa), il celibato dei preti, il primato del papa, ecc.
Zwingli sosteneva inoltre che spettasse allo Stato, ossia ai singoli
Cantoni, riformare la Chiesa. E molti Cantoni che avevano abbracciato la
Riforma (Zurigo dal 1525, Berna dal 1527-28, Basilea e
Sciaffusa dal 1529, poi successivamente Turgovia, San Gallo, Argovia,
Neuchâtel, ecc.), non senza evidenti interessi politici ed economici, assunsero di buon grado compiti che prima non avevano, come la soppressione
degli ordini religiosi e dei conventi (con conseguente acquisizione delle
proprietà da parte dello Stato), l’equiparazione degli ecclesiastici a funzionari
statali, la drastica riduzione del potere dei tribunali vescovili, ecc.
Da molte città scomparvero, insieme a religiose e religiosi che nel
medioevo avevano contribuito notevolmente al loro sviluppo, antiche tradizioni
come i pellegrinaggi, le processioni, le messe per i defunti, le immagini dei
santi e gli altari. In breve, nelle città e nei villaggi dove veniva
affermandosi la Riforma si stava trasformando non solo la vita religiosa ma
anche quella civile e culturale delle persone. E non tutti erano favorevoli.
Gli
oppositori della Riforma
Ad opporsi alla Riforma predicata da Zwingli non erano solo i cattolici
che volevano restare fedeli alla Chiesa di Roma e alle tradizioni, ma anche
gruppi di persone appartenenti a movimenti che esigevano riforme più radicali,
come i «ribattezzatori» o «anabattisti» (così chiamati in senso
spregiativo dai seguaci di Zwingli), che propugnavano, fra l’altro, il
battesimo da conferire solo in età adulta. A differenza di Zwingli, essi
sostenevano anche la netta separazione tra Stato e Chiesa e il ritorno al «vero
cristianesimo» evangelico. Quanto bastava per essere considerati contrari alla
Riforma (ufficiale) e perseguitati. Tra il 1528 e il 1571 solo a Berna furono
giustiziati non meno di 40 anabattisti, la metà dei quali provenienti
dall’Emmental, dove si era rifugiata una numerosa comunità.
Ad opporsi alla Riforma furono però
soprattutto i cattolici della Svizzera centrale. Il propagarsi del messaggio riformista di
Zwingli preoccupò subito i cosiddetti Cantoni primitivi (Uri, Svitto e
Untervaldo), che si affrettarono ad affermare la loro contrarietà non solo per fedeltà
alla Chiesa di Roma, ma verosimilmente anche per non perdere i molti privilegi di
cui godevano, concessi loro dalla Chiesa fin dai tempi di Sisto IV (papa dal
1471 al 1484) e soprattutto di Giulio II (papa dal 1503 al 1513) in cambio della fedeltà e di servizi militari.
Quattro guerre e quattro paci nazionali
Chiesa dei Gesuiti di Lucerna (1666/67) |
A loro volta, i Cantoni che cominciavano a definirsi «protestanti» e non
approvavano le resistenze alla Riforma, per farli desistere, pensarono di
organizzare un blocco economico contro i cinque Cantoni cattolici in modo da ostacolarne
gli approvvigionamenti. Lo scontro armato fu inevitabile, ma si concluse senza
troppi danni con un accordo di pace chiamato «Pace nazionale».
Nel 1531 le armi ripresero il sopravvento e assegnarono la vittoria ai
cattolici. Tra i protestanti ci fu anche una vittima illustre: Zwingli. La
Seconda pace nazionale pose fine a questa «seconda guerra di religione», ma non
ai contrasti destinati a durare ancora a lungo tra cattolici e protestanti. Seguiranno
infatti altre due guerre per motivi religiosi e altrettante Paci nazionali nel
1656 e nel 1712. Nei periodi intermedi si faceva sempre qualche passo in avanti
sulla strada della riconciliazione e del rispetto dei Patti federali, ma non
ancora, fino al 1848, il passo decisivo.
Interno della chiesa dei Gesuiti di Soletta (1680/1689) |
Purtroppo, per garantire la pace religiosa definitiva doveva passare ancora
molto tempo. Il passo decisivo fu provocato dal rischio di una quinta guerra di
religione, ancora una volta tra cattolici (che avevano costituito un patto
separato, il Sonderbund) e protestanti. Si era nel 1847 e la guerra
civile, con armi molto più micidiali che in passato, avrebbe probabilmente
posto termine all’idea stessa di una Confederazione pacifica, forte e moderna.
Prevalse il buon senso e certamente ancora una volta il forte richiamo alle
radici cristiane della Svizzera. (Segue).
Giovanni Longu
Berna, 9.3.2016
Berna, 9.3.2016
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