13 marzo 2024

9. L'Europa umanistica e rinascimentale

Con la vittoria della Cristianità sull'Impero ottomano (Islam) a Lepanto (1571) si può ritenere che l’Europa abbia raggiunto la sua massima estensione. Lo confermano, fra l’altro, gli atlanti successivi a quell'evento. Quello è stato anche il periodo in cui Europa e Cristianità hanno coinciso al massimo, ma pure l’epoca in cui al sentimento religioso comune si è aggiunta un’altra caratteristica destinata a uniformare in misura determinante il continente: la cultura umanistico-rinascimentale. L’Umanesimo e il Rinascimento hanno infatti contribuito a trasformare l’Europa in un continente permeato, oltre che da una comune religiosità monoteistica cristiana, da valori umanistici e rinascimentali che faranno progredire le scienze, la tecnica, l’arte, la cultura in generale. Va tuttavia notato che a un tale incremento di conoscenze non è corrisposto un progressivo avvicinamento politico degli Stati, che hanno anzi perseguito interessi propri, talvolta persino confliggenti con quelli di altri.

La massima estensione dell’Europa e l’origine del nazionalismo

Atlante di A. Ortelius (1570), con i confini dell'Europa ancora arretrati rispetto a un secolo dopo.
Dopo la vittoria di Lepanto l’Europa politica raggiunse la sua massima estensione. Basta confrontare qualche atlante dell’Europa pubblicato prima del 1571 (per esempio il Theatrum Orbis Terrarum del famoso cartografo fiammingo Abraham Ortelius) e gli atlanti pubblicati dopo (per esempio quello dell’incisore e cartografo olandese Hendrik Hondius) per rendersi conto dell’estensione raggiunta dall'Europa dopo quella vittoria. Pur senza sopravvalutarne la portata, come suggeriscono molti storici, è innegabile che da allora quasi tutti i popoli europei si siano sentiti più sicuri e che i Russi ne abbiano approfittato per estendersi a nord e a est. Per essi non rappresentavano più un limite insuperabile né i grandi fiumi Don e Volga né il monti Urali né lo stretto dei Dardanelli.

Anche l'Europa cristiana, nel XVII secolo, raggiunse la sua massima estensione (fino al Mar Glaciale Artico e oltre gli Urali, sebbene anche in Siberia la Chiesa russa abbia creato chiese e diocesi) e una relativa tranquillità, dopo la riconquista spagnola e il freno russo all'espansione musulmana dell’Impero ottomano (nonostante i suoi reiterati tentativi di penetrazione in Austria e di conquistare Vienna).

Paradossalmente, tuttavia, invece di approfittare di quella condizione largamente favorevole per consolidare alleanze e perseguire una sorta di unità europea, molti Stati pensarono piuttosto a rafforzare i propri confini contro possibili minacce esterne e sollecitando la coscienza nazionale (spesso inesistente). Così, mentre il mito dell’unità europea si allontanava, nasceva quella forma di nazionalismo diffuso che ha finito per contagiare tutti gli Stati europei fino alla Seconda guerra mondiale.

La cultura diventa caratteristica comune

Quanto questa scelta dell’Europa di dividersi invece di unirsi abbia pesato sui singoli Stati è forse impossibile rilevarlo, ma ha certamente influito molto sulla storia europea, che da allora ha conosciuto numerose guerre deleterie e ritardato enormemente lo sviluppo dell’idea di unione europea in vista di uno sviluppo armonioso di tutti i popoli interessati, non solo in senso politico-militare, ma anche civile, sociale, economico, culturale e ideale.

Planisfero di H. Hondius (1630), in cui l'Europa non ha ancora raggiunto il suo estremo confine orientale.
Lo sviluppo dei singoli Stati non si è tuttavia fermato, seguendo ciascuno ritmi e modalità differenti secondo possibilità e circostanze proprie di ciascun Paese. Di fatto, approfittando della relativa pace nell'Europa dei secoli XV-XVII, quasi tutti gli Stati hanno cercato di consolidarsi all'interno, alcuni si sono estesi territorialmente approfittando di problemi di successione e relazioni matrimoniali, altri hanno approfittato delle scoperte geografiche per espandersi oltreoceano con conquiste coloniali, altri ancora hanno sfruttato condizioni di benessere particolarmente favorevoli.

Soprattutto in questi ultimi Paesi sono sorti nei secoli a cavallo tra Medioevo ed Epoca moderna due movimenti a carattere letterario-filosofico-artistico particolarmente innovativi, che si sono presto diffusi in Europa, contribuendo a trasformarla sotto il profilo non solo culturale, ma anche urbanistico, sociale, economico, scientifico, politico. Basti pensare allo sviluppo delle biblioteche, alla fondazione di numerose università, agli scambi culturali, alla trasformazione urbanistica di molte capitali, alla costruzione di palazzi e monumenti, alle collezioni d’arte, ecc. Se prima le idee circolavano lentamente grazie soprattutto agli spostamenti di monaci e pellegrini, con l’Umanesimo e il Rinascimento cominciarono a circolare sempre più facilmente e abbondantemente con scritti stampati e scambi sempre più frequenti di studiosi, letterati, scienziati, filosofi, artisti, architetti, inventori. Committenti delle grandi opere non erano più soltanto papi, abati, vescovi, re e principi, ma anche città, ricchi commercianti e banchieri, pur restando ancora i papi, i re e gli zar di Russia i principali committenti.

Giovanni Longu
Berna, 13.03.2024

12 marzo 2024

Papa Francesco per un negoziato contro la guerra in Ucraina

Qualche giorno fa, papa Francesco non ha parlato ex cathedra del conflitto russo-ucraino, ma da osservatore attento a cui non può sfuggire il dramma della popolazione civile, sia ucraina che russa, a causa di questa guerra. Invitando i belligeranti al cessate il fuoco e ad avviare trattative di pace non ha pronunciato un dogma che impegni la fede dei cristiani, ma un discorso chiaro fondato sul rispetto che i responsabili delle nazioni dovrebbero avere verso le popolazioni che rappresentano. Che molti di questi «responsabili», a cominciare dal presidente ucraino, abbiano criticato l’intervento del papa non può sorprendere perché hanno capito benissimo che quell'invito era rivolto a loro e che se lo rifiutano potranno essere considerati anche dalle loro opinioni pubbliche «irresponsabili».

Non credo che le parole del papa abbiano bisogno dell’interpretazione autentica per essere capite, perché è chiaro ch'egli sollecitava la responsabilità dei governanti, non solo dei belligeranti ma anche dei loro sostenitori, a salvare vite umane, non a continuare a uccidere. Non era un invito ad «arrendersi» rivolto ad una parte, ma un invito accorato rivolto a entrambe le parti a far cessare l’uso delle armi e a cominciare a «dialogare», partendo dal presupposto che la convivenza pacifica tra Stati e tra etnie diverse è possibile, anzi doverosa.

Dalle parole del Papa non si può quindi dedurre, come hanno fatto alcuni, che questo conflitto può concludersi solo con lo smembramento dell’Ucraina, in quanto potrebbe concludersi anche diversamente, per esempio, secondo me, con un riconoscimento formale dei diritti di tutte le parti interessate, anche di quelle popolazioni che nel 2014 avevano proclamato la proprio indipendenza da Kiev, garantendo loro, in base al diritto internazionale (Statuto ONU, artt. 1, 55 e altri), il rispetto dei diritti fondamentali individuali e collettivi, «senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione». Trovare un punto di equilibrio non sarà facile, ma nelle parole del Papa si può notare anche un certo ottimismo al riguardo.

Si può inoltre osservare che papa Francesco non è l’unico a sostenere la preminenza degli interessi delle popolazioni sugli interessi degli Stati. La sua azione rientra infatti in una tradizione, che non subordina gli interessi vitali delle persone alla «sovranità dello Stato» e all'«integrità territoriale» e non prevede tra i diritti dello Stato quello incondizionato di mandare al massacro decine di migliaia di cittadini per «difendere la patria», soprattutto se questa può essere difesa «pacificamente», e meno che mai il diritto di Stati non belligeranti a far combattere e morire in loro vece altre popolazioni in terre lontane dai propri confini.

Del resto, basterebbe chiedere ai combattenti in prima linea e alle loro famiglie cosa pensano della guerra per sentirsi rispondere che a loro interessa soprattutto vivere in pace. Quanto ai belligeranti e ai loro sostenitori, che spesso invocano il «diritto internazionale», andrebbe spiegato che per quanto imperfetta la Carta delle Nazioni Unite prevede all'articolo 1, paragrafo 2, la possibilità e il dovere di «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli».

A questo punto ci si può chiedere se non sia da incoscienti e irresponsabili pensare di raggiungere gli stessi obiettivi attraverso la guerra, senza rendersi conto dei danni diretti e indiretti enormi ch'essa provoca. Non ha dunque ragione il Papa quando supplica di porre fine al massacro della «martoriata Ucraina»? E non sarebbe saggio per i cittadini italiani manifestare il dissenso verso i sostenitori della guerra  in nome della Costituzione che all'articolo 11 recita che «l'Italia ripudia la guerra» non solo «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»? 

Giovanni Longu
Berna 12.03.2024