06 novembre 2024

36. L’Europa di Benedetto XVI (2a parte)

L’interesse di Benedetto XVI per l’Europa non era dovuto né a una scelta sentimentale né a una scelta politica, ma a considerazioni prevalentemente religiose. In quanto tedesco si sentiva ovviamente europeo e in quanto tale non poteva disinteressarsi delle vicende riguardanti l’Europa, anche se papa della Chiesa universale. Ma questo interesse di Benedetto XVI va visto soprattutto, in linea col predecessore Giovanni Paolo II, come un tentativo necessario di messa in sicurezza dei valori cristiani riguardanti l’uomo, creato a immagine di Dio e redento da Cristo, e della Chiesa, chiamata a «dare testimonianza alla verità». Non va nemmeno dimenticato che Joseph Ratzinger, prima di diventare papa, era stato a lungo stretto collaboratore del papa polacco, di cui aveva condiviso non solo la profonda spiritualità, ma anche la visione politica di un’Europa che stava ritrovando a fatica la sua anima. Divenutone suo successore, ha voluto raccoglierne in pieno l’eredità e l’impegno ecumenico mirando con umiltà al «grande traguardo della piena unità» attraverso obiettivi intermedi realistici, come «rafforzare la testimonianza comune dell’amore in un mondo che ne ha sempre più bisogno».

Tra pessimismo e ottimismo

Il cardinale Ratzinger e papa Giovanni Paolo II
E’ probabile che Benedetto XVI (1927-1922) abbia ereditato dal papa Karol Wojtyła (1920-2005) anche una buona dose di ottimismo, avendolo visto all'opera e condividendone le posizioni, mentre contribuiva, almeno indirettamente, a indurre in Europa, ancora divisa in due blocchi dalla guerra fredda, cambiamenti radicali. Il cardinale Ratzinger, come suo collaboratore, lo aveva pienamente sostenuto e come suo successore sentì la responsabilità di proseguirne l’opera soprattutto in campo ecclesiologico e teologico, ma anche politico in senso ampio.

Non va dimenticato che sia per Giovanni Paolo II e sia per Benedetto XVI i tempi, nella Chiesa e in Europa, non erano facili. A prescindere dai problemi interni alla Chiesa, non si possono dimenticare, per esempio, le difficoltà di dialogo con gli Ortodossi considerati da decenni appartenenti al blocco «comunista». D’altra parte, senza tale dialogo sarebbe stato molto più difficile dialogare con avversari politici.

Joseph Ratzinger non riuscì a raggiungere «il grande traguardo», ma grazie alla sua apertura teologica e alla sua disponibilità al dialogo e all'ascolto riuscì a progredire nel tentativo di avvicinamento non solo tra Cattolici e Ortodossi, uniti nella fede in Cristo, ma anche tra Cattolici e Islamici, con cui pregare insieme e promuovere la fratellanza umana per la pace e la convivenza nel mondo.

L’ottimismo di Benedetto XVI riguardo al futuro dell’Europa, come risulterà meglio dai prossimi articoli, potrebbe apparire esagerato perché nei media si ricordano forse più volentieri le critiche e le condanne di alcune deviazioni come il nazionalismo o il relativismo, ma non c’è dubbio che la visione di Benedetto XVI sull'Europa era complessivamente ottimistica. Ciò non significa che gli fosse indifferente la direzione che stavano prendendo la società e la politica o la pericolosità di alcuni mali che avevano portato il continente e il mondo sull'orlo dell’abisso, bensì che, conoscendoli, potevano essere meglio combattuti ed emendati.

Contro il «neopaganesimo»

Non è possibile analizzare nel poco spazio disponibile i mali più pericolosi per l’Europa e per il mondo individuati da Benedetto XVI, ma non si può fare a meno di accennare dapprima a quello di natura religiosa che maggiormente ha preoccupato i papi del Novecento, forse perché più diffuso, più contagioso e più pericoloso, costituito contemporaneamente da un progressivo allontanamento del «popolo di Dio» dal Vangelo e da una sorta di involuzione delle nostre società sul piano etico, culturale e politico. Del resto già Pio XI (1857-1939) aveva parlato di «neopaganesimo» per indicare la perdita di valori religiosi e il diffondersi di un «umanesimo ateo» in una società sempre più secolarizzata.

Benedetto XVI ha insistito in diverse occasioni sull'opposizione tra «umanesimo ateo» e «umanesimo cristiano», non solo per ragioni teologiche, ma anche per ragioni molto umane. Per lui, infatti, «l’ateismo e più precisamente l'anticristianesimo» tende a schiacciare la persona umana, anche se proclama di volerla liberare da un Dio ritenuto oppressore invece che salvatore e misericordioso.

Il tema dell’ateismo, come si vedrà anche nel prossimo articolo, non era indifferente alla problematica del futuro dell’Europa e Benedetto XVI sapeva bene che senza dialogare con la parte che si proclamava «atea» non sarebbe stato possibile nemmeno parlare di diritti dell’uomo, libertà fondamentali, tolleranza, solidarietà, sviluppo comune, ecc.

Giovanni Longu
Berna, 06.11.2024

04 novembre 2024

Attenzione alle feste «nazionali»!

L’Italia celebra oggi, 4 novembre, la Festa Nazionale, più precisamente la «Festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate» (come vuole la legge n. 27 del 1° marzo 2024). Non mi sorprende questo abbinamento, non completamente in linea con una lunga tradizione. Fino al 1949, infatti, il 4 novembre si celebrava solo la «vittoria per annientamento» dell’esercito austro-ungarico («L'Esercito Austro-Ungarico è annientato», dal Bollettino della vittoria di Armando Diaz), sorvolando sulle ingenti perdite umane (oltre 650.000 i militari italiani morti e oltre un milione i feriti!) di quell’«inutile strage» (Benedetto XV). Dal 1949, quando in Italia (e in Europa) il clima politico stava decisamente cambiando e il bellicismo perdeva consensi, alla celebrazione della Vittoria della guerra 1915-18 si aggiunse la celebrazione dell’Unità nazionale e delle Forze Armate. Negli anni Sessanta e Settanta, la contestazione non risparmiò le Forze Armate, il 4 novembre smise di essere giorno festivo e le celebrazioni furono spostate alla prima domenica di novembre. Nel 2007 annotava Sergio Romano: «Il 4 novembre non è del tutto scomparso, ma è ormai soltanto una festa domestica delle Forze armate, celebrata quasi privatamente nelle caserme».

La nuova maggioranza ha voluto ripristinare la festività nazionale del 4 novembre col titolo Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate sperando forse di rivalutare l’Unità nazionale e il ruolo delle Forze Armate. Con un pizzico di retorica la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha voluto ricordare che le Forze Armate esistono per «tutelare i valori della libertà e dell’unità» e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha aggiunto in riferimento alle Forze Armate, «le cui imprese hanno contribuito a fare dell’Italia una nazione indipendente, libera, ispirata a valori democratici e di pace». 

Non so quanti italiani si sentano toccati da queste celebrazioni «nazionali» e da questi fervorini retorici; da parte mia trovo sorprendente che anche nelle figure apicali d’Italia la storia sia ancora letta con lo sguardo rivolto al «passato» (spesso tutt’altro che glorioso) e non si riesca a valorizzare altri aspetti che pure fanno parte della Costituzione e che dovrebbero caratterizzare l’Unità nazionale. Penso in particolare agli articoli 1 (L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro), 2 (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo… l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale), 3 (E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese), 9 (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica), 11 (L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali).

Mi aspetterei che dai discorsi ufficiali risultassero più chiaramente gli impegni presi dall’Italia in favore della pace, per favorire la convivenza pacifica tra Stati poco propensi a collaborare, per promuovere in tutti i campi l’integrazione europea (che richiede inevitabilmente limitazioni di sovranità nazionale), per ridurre in Italia, in Europa e nel mondo le disuguaglianze, per promuovere ovunque la convivenza, la collaborazione, la solidarietà, la prosperità, la bellezza. Quale «nazione» bisognerebbe celebrare?

Giovanni Longu
Berna, 4 novembre 2024