08 marzo 2024

8 marzo: uomo e donna a immagine di Dio!

Uomo e donna «immagine di Dio»
Oggi, festa della donna, è un tripudio di mimose ed elogi alla bellezza e alle virtù delle donne. Certamente le donne, in ogni parte del mondo e in ogni condizione, meritano attenzione, riconoscenza e rispetto, non solo oggi, ma sempre. Tradizionalmente nella società umana si stabilisce una gerarchia tra le persone in base al ruolo e alla funzione che svolgono. Ai primi posti si trovano normalmente gli uomini perché sono essi che stabiliscono la maggior parte dei ruoli e delle funzioni, poi vengono le donne a seconda dei ruoli e delle funzioni. Da tempo, giustamente, le donne si ribellano a questa classificazione e trovano ingiustificata la disparità tra donna e uomo in base alla diversa partecipazione al «sapere», al «potere», alla «responsabilità». Hanno ragione, perché la lotta per la piena parità uomo-donna va sostenuta, a prescindere dai ruoli e dalle funzioni, essendo uomo e donna sostanzialmente uguali.

Ai credenti e non credenti andrebbe ricordato che il racconto biblico della creazione ha una valenza antropologica generale: «Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina» (Gen. 1,27). Questa «immagine di Dio» non è solo una prerogativa dei cristiani , ma di ogni persona umana, perché in ogni uomo e in ogni donna è impressa l’immagine di Dio. Quando si rivendica il rispetto dovuto alle donne come agli uomini basterebbe riferirsi a questa «immagine» e dovrebbe essere compito di ciascuno e di ciascuna rispettarla e valorizzarla, negli atti e nei pensieri.

In particolare ai credenti andrebbe tuttavia ricordato anche che, se è vero che nella storia la Chiesa non si è sempre attenuta a questo comandamento, è anche vero che essa è rimasta quasi sola a difendere i diritti fondamentali delle donne e le sue motivazioni sono così solidamente ancorate nella Bibbia e nella tradizione da non potersi efficacemente contestare o minimizzare: la dignità della donna (come dell’uomo) non deriva dal ruolo e dalle funzioni che essa svolge, ma dal suo essere «donna» (e uomo), creata (come l’uomo) a immagine di Dio. 

Fanno certamente bene le donne a rivendicare anche nella Chiesa l’esercizio di funzioni dirigenziali, di servizio e di responsabilità, ma il rispetto lo devono rivendicare a prescindere dai ruoli e se, per esempio, la funzione sacerdotale viene loro negata, la spiegazione non va ricercata in un presunto potere discriminatorio maschilista ancora presente nella Chiesa, ma in una ragionevole interpretazione della Bibbia: se infatti Gesù Cristo avesse voluto chiamare al sacerdozio anche donne, avrebbe potuto certamente farlo, ma non l’ha fatto e pertanto, secondo san Giovanni Paolo II, la Chiesa non ha il potere di farlo.

Giovanni Longu
Berna, 8 marzo 2024


06 marzo 2024

8. Europa, un’«idea» problematica

Dubito che in base agli articoli precedenti qualche lettrice o lettore sia riuscito a determinare con certezza i confini e quindi l’ampiezza dell’«Europa» dopo la vittoria di Lepanto (1571) o a percepirne l’«identità», cioè la caratteristica o le caratteristiche identitarie. Ciò è comprensibile, perché non è facile per nessuno indicare limiti geografici precisi a una realtà che non ha confini fisici certi, specialmente ad est, e riuscire a cogliere l’«identità» di un mosaico di popoli eterogenei e di Stati assai diversi tra loro, che stanno ancora prendendo forma. Del resto, l’incertezza e forse la confusione regna tutt'ora. Merita, dunque, prima di andare avanti nella ricerca delle radici cristiane dell’Europa di oggi, fare un po’ di chiarezza al riguardo.

Problematicità dell’«idea» di Europa

Antica carta d'Europa (ca 1580)
In genere, quando si parla di «Europa» senza ulteriori precisazioni, si presuppone che tutti gli interlocutori intendano riferirsi alla stessa realtà. Invece, stando anche solo a un’analisi sommaria dei media occidentali risulta evidente che il riferimento non è univoco. Per molti, infatti, l’«Europa» coincide con l’Unione Europea, per alcuni con i Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa, per altri con quell'entità geografica imparata a scuola, situata tra l’Atlantico e i monti Urali e tra il Mediterraneo e il mar Glaciale Artico, per altri ancora l’Europa finisce a est al confine orientale della Finlandia, dell’Estonia-Lettonia-Lituania, della Polonia, dell’Ucraina, della Romania e della Bulgaria.

A un’attenta osservazione, non si tratta, tuttavia, solo di un’incertezza sui confini, ma anche di una grande diversità di idee sull'Europa, come se, in assenza di una solida riflessione storico-culturale, ognuno si sentisse autorizzato a dare di una storia più che millenaria e di un mondo variegato di popoli, tradizioni e culture una propria interpretazione considerandola fondata. Di qui la grande varietà di «idee» sull'Europa, con o senza la Russia (di cui molti vorrebbero fare a meno, benché ne costituisca circa il 40 per cento), con o senza una parte rilevante della Turchia, con o senza un progetto chiaro e sostenibile per il futuro, ma anche con la paura di scomparire come «potenza» e di non riuscire nemmeno a difendersi in caso di attacco senza l’ombrello protettivo americano.

Tuttavia, molti politici soprattutto in sede europea parlano dell’Europa come se esistesse o potesse esistere una sua idea elaborata ex novo dopo l’invasione russa dell’Ucraina, a prescindere da duemila anni di storia e da una miriade di contaminazioni culturali, filosofiche, linguistiche, religiose, artistiche, scientifiche tra i vari popoli del continente, negando di fatto la tendenza che ha sempre visto l’Europa pacificatrice e inclusiva (e non esclusiva) di popoli, religioni, culture, arti, e ignorando che l’inclusione ha reso l’Europa grande economicamente, politicamente e culturalmente. Senza questa capacità d’integrazione e di sintesi, dell’Europa si avrebbe nel mondo ben altra idea, perché riguarderebbe ancora un luogo di divisioni, di contrasti, di nazionalismi spinti, di conflitti permanenti.

La prima riflessione sull'Europa

Antica carta d'Europa (ca. 1600)
Può forse meravigliare qualche studioso di mitologia greca e qualche lettore, ma il mito di Europa (la bella principessa fenicia rapita da Zeus e portata a Creta) era solo un mito dell’antica Grecia e non riguardava affatto il nostro continente. I Romani non avevano una nozione precisa dell’Europa se non come la terra dei Barbari abitanti oltre il Reno e il Danubio. Non l’avevano i primi cristiani di Roma, della Gallia, della Britannia, dell'Helvetia e dell'Hispania; ma non l’avevano nemmeno Carlo Magno e gli imperatori del Sacro Romano Impero Germanico. Gli stessi crociati, pur provenendo da varie «nazioni» del continente, non si ritenevano ancora «europei». Il senso di appartenenza all'Europa maturò solo fra il XV e il XVI secolo, quando anche la cartografia cominciò ad interessarsi specificamente all'Europa e la circolazione delle idee cominciava a globalizzarsi.

Il primo studioso a indagare sull'identità europea e a elencare alcuni valori di riferimento in cui credere e per cui combattere è stato l’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), eletto papa col nome di Pio II nel 1458, lo stesso anno della pubblicazione della sua opera De Europa. Data l’importanza di quest’opera, se ne tratterà più diffusamente nel prossimo articolo, cercando anche di rispondere a due domande fondamentali: Perché la prima riflessione seria sulla «identità» dell’Europa, sui suoi valori e sulla necessità di difenderli è avvenuta in un ambiente umanistico e cristiano? Perché è emersa nello stesso ambiente l’esigenza di un’Europa sostanzialmente unitaria sotto il profilo culturale e religioso?

Giovanni Longu
Berna, 6.3.2024