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10 luglio 2024

23. Grandi «utopisti» degli Stati Uniti d'Europa

Sul finire della seconda guerra mondiale cominciò a farsi strada, soprattutto in alcuni ambienti politici e intellettuali, l’idea che occorresse trovare una soluzione efficace per evitare altre guerre e garantire stabilmente la pace in Europa. La preoccupazione era grande (perché già apparivano all'orizzonte chiari segnali che il fronte dei vincitori si sarebbe presto spaccato), le idee ancora poco chiare. Nel dibattito che ne seguì si scontarono soprattutto due posizioni, quella ideale ma generica, utopistica, che auspicava gli Stati Uniti d’Europa e quella più sostenibile che mirava a un’integrazione graduale dei Popoli europei, cominciando dalle nazioni europee del blocco occidentale. In questo articolo si tratterà della prima, nel prossimo della seconda.

Nascita dell’utopia degli Stati Uniti d’Europa

Strepitosa accoglienza di Churchill a Zurigo il 19 settembre 1946
Lo sfacelo dell’Europa provocato dalla seconda guerra mondiale suscitava in molti politici e intellettuali la sensazione che, se non si fossero eliminate alla radice le cause delle ultime due guerre mondiali, il dopoguerra sarebbe servito nuovamente alla preparazione di una nuova guerra, che sarebbe stata però certamente più deleteria, per la disponibilità delle armi nucleari. Le opinioni su come eliminare le cause principali (riconducibili fondamentalmente a forme esasperate di nazionalismo) e con esse la guerra in Europa erano tuttavia alquanto divergenti, riducibili nell'essenziale a due, definibili rispettivamente «utopistica» e «realistica».

Tra gli «utopisti» vengono annoverati solitamente Winston Churchill e i Federalisti, ma anche Pio XII, sebbene quest’ultimo abbia tenuto a battesimo, per così dire, il gruppo dei «realisti» che avvieranno concretamente il processo d’integrazione europea (e di cui si tratterà nel prossimo articolo).

Winston Churchill

In un celebre discorso tenuto a Zurigo il 19 settembre 1946, Winston Churchill (1874-1965) sostenne che per evitare una nuova guerra gli Stati europei dovevano ricreare la «famiglia dei popoli europei» unendosi in una sorta di Stati Uniti d’Europa. Il suo ragionamento era semplice: poiché l’Europa non può sopravvivere covando per anni odi e spirito di vendetta, per salvarsi ha bisogno non solo che Francia e Germania si riconcilino, ma anche di «una forma di Stati Uniti d’Europa», che renderebbero meno importante la forza dei singoli Stati. Tale soluzione, egli sosteneva, se fosse adottata liberamente dalla maggioranza dei popoli europei, «trasformerebbe come per miracolo l'intera scena e in pochi anni renderebbe tutta l'Europa, o la gran parte di essa, libera e felice com'è oggi la Svizzera».

Churchill aveva esordito dicendo: «Vorrei parlare del dramma dell'Europa, questo nobile continente, patria di tutte le grandi stirpi dell’Occidente, fonte della fede e dell'etica cristiana, culla di gran parte delle culture, delle arti, della filosofia e della scienza, dei tempi antichi e moderni». Egli vedeva il superamento del dramma negli «Stati Uniti d’Europa».

La proposta di Churchill, molto suggestiva, non fu esente da critiche perché sembrava non tener conto della realtà e soprattutto degli effetti deleteri della guerra fredda e dell’egemonia dei blocchi, che egli stesso a Jalta (11 febbraio 1945) aveva contribuito a creare. Inoltre, nell'espressione «Stati Uniti d’Europa», non era ben chiaro, se s’intendesse più un accordo tra Stati o l’integrazione dei popoli europei. Ancora, quando parlava di Europa, si riferiva evidentemente solo all'Europa occidentale, dimenticando (?!) il resto, compresa la Germania che in quel momento era divisa e sotto occupazione, anche britannica. Pertanto, la proposta di Churchill, pur suggestiva, non ebbe seguito e fu ascritta all'utopia di un grande personaggio.

Denis de Rougemont

Alla categoria degli utopisti merita di essere associato anche il grande pensatore e scrittore svizzero, che pure aveva al suo attivo l’esperienza di vivere in un Paese che era riuscito a superare diversità e contrasti grazie al federalismo, Denis de Rougemont (1906-1985). Anch'egli infatti propugnava per l’Europa una sorta di federalismo, da realizzare applicando un «metodo educativo e culturale» a lungo termine, che puntasse a salvaguardare la diversità dei popoli europei, «il nostro male e il nostro bene» e comunque la base su cui costruire «la nostra unione, se vogliamo che essa si meriti il nome di Europa».

Per Rougemont, un elemento centrale del federalismo era rappresentato da un nuovo umanesimo cristiano, che ha il suo modello di riferimento fondamentale nella figura del Cristo, riuscendo a integrare l'eredità greca e romana in una nuova nozione dell uomo, in cui convivono solitudine e solidarietà, libertà personale e responsabilità, l’amore per sé e l’amore per il prossimo. 

La persona è per Rougemont «il tesoro dell'Europa», ma è fedele a sé stesso, solo «quando accetta il dialogo, assume il dramma e li supera in creazioni». Questo «personalismo», secondo il pensatore svizzero, non solo sostanzia il federalismo quale metodo di unione nella diversità e di convivenza delle differenze, ma rappresenta anche l'unico rimedio possibile ai nazionalismi che rischiamo di portare l’Europa alla rovina.

Rougemont era anche consapevole del contributo che avrebbero potuto fornire le Chiese praticando un sincero dialogo interconfessionale, pur nel riconoscimento delle loro diversità. La sua visione politica complessiva fondata sul personalismo, il federalismo e l'ecumenismo non fu tuttavia seguita perché la sua implementazione avrebbe richiesto tempi lunghi, non garantiva il superamento di molti pregiudizi e soprattutto non teneva conto del radicamento in numerosi Stati del nazionalismo.

Pio XII

Può essere considerata quella meno utopistica la posizione assunta da Pio XII quando dalla fine della guerra augurava all'Europa l’unità e l’autonomia e sosteneva i movimenti federalistici (in cui apprezzava particolarmente il richiamo alla «comune eredità di civiltà cristiana»), sebbene si rendesse conto che «il ristabilimento di una Unione europea presenti serie difficoltà» (Radiomessaggio dell'11 novembre 1946  in occasione del II congresso internazionale per dar vita all'Unione federale europea), ma anch'egli verosimilmente non si rendeva conto degli impedimenti insormontabili costituiti dai due blocchi e dalla guerra fredda.

E' possibile, tuttavia, che ne fosse ben consapevole quando, nel radiomessaggio citato, invitava «le grandi nazioni del continente, dalla lunga storia piena di ricordi di gloria e di potenza», ma in grado di «causare l’insuccesso della formazione di una Unione europea», «a misurare se stesse alla scala del loro passato piuttosto che a quella delle realtà del presente e delle previsioni dell’avvenire. È giusto esigere da esse che sappiano fare astrazione dalla loro grandezza di altri tempi, per allinearsi su una unità politica ed economica superiore». 

In un altro radiomessaggio natalizio (24.12.1953) ai popoli di tutto il mondo, la preoccupazione di Pio XII è ancor più esplicita, perché «al Nostro sguardo, costantemente ansioso di scoprire all'orizzonte segni di stabile schiarita (...), si offre invece la grigia visione di un’Europa tuttora inquieta [...]». Le apprensioni di Pio XII riguardo all'Europa, aggiungeva, erano motivate «dalle incessanti delusioni in cui vanno a naufragare, ormai da anni, i sinceri desideri di pace e di distensione accarezzati da questi popoli, anche per colpa della impostazione materialistica del problema della pace...».  

Per questo, Pio XII richiamò l’esigenza e l’urgenza di produrre in Europa «quella unione continentale tra i suoi popoli, differenti bensì, ma geograficamente e storicamente l’uno all'altro legati». Il suo appello, come si vedrà prossimamente, fu accolto e seguito soprattutto dal trio democristiano De Gasperi, Adenauer e Schuman.

Giovanni Longu
Berna 10.7.2024

26 giugno 2024

22. «Profeti» dell’unità europea

L’Europa è un cantiere aperto di idee, di decisioni e di azioni. In questa serie di articoli, iniziata il 3 gennaio 2024, s’intende ripercorrere molto sommariamente le tappe principali di questo progetto straordinario, complesso, difficile da realizzare e incerto nell’esito finale. Il filo conduttore è costituito dalla ricerca delle sue radici cristiane. La scelta è dovuta non a motivi ideologici, ma alla storia. Infatti, l’Europa è in costruzione da quando il Cristianesimo si è radicato nel continente e le grandi istituzioni ecclesiali occidentali e orientali hanno cercato di darle un contenuto, una forma, un’anima, un’unità e un futuro. Lo scopo è semplice e ambizioso allo stesso tempo: contribuire alla riscoperta di quelle radici nella convinzione che siano ancora in grado di indicare agli europei la giusta direzione verso l’unità e la prosperità.

«Profeti» antichi…

L'Europa «medievale» verso il 1450
Nell'articolo precedente sono stati citati i tre fondatori dell’Unione europea: De Gasperi, Adenauer e Schuman. Dopo la seconda guerra mondiale, non erano gli unici ad avere idee chiare sul futuro dell’Europa, ma sono stati i primi a presentare un progetto sostenibile di unità europea e ad avviarne la realizzazione. Per questo meritano senz'altro di passare alla storia come «Padri fondatori» e di essere meglio conosciuti (come si cercherà di fare in un prossimo articolo). Non furono tuttavia i primi a ragionare sull'Europa, perché già molto tempo prima ci sono stati visionari o, come vengono talvolta chiamati, «profeti», che prefigurarono una qualche forma di unità del continente. A titolo esemplificato ne vengono ricordati di seguito alcuni, che avevano fra l’altro quasi tutti anche un riferimento diretto o indiretto al Cristianesimo.

In questo tipo di ricerca alcuni studiosi sono andati molto indietro nel tempo e hanno trovato persino nel grande poeta romano PublioVirgilio Marone (70-19 a.C.) un «profeta» non solo dell’Europa, ma anche di Cristo. Per questo, forse, Dante lo ha scelto per fargli da guida nel viaggio allegorico attraverso l’Inferno e il Purgatorio della Divina Commedia.

E’ però nel Medioevo che l’idea di Europa si fa strada, specialmente in campo letterario e religioso. Dante, Petrarca e Boccaccio, per esempio, sono considerati a giusta ragione «europei» perché hanno influito notevolmente sulla letteratura e la cultura europea dell’epoca. Ma furono soprattutto le Chiese cristiane (cattolica, protestante e ortodossa), attraverso il monachesimo (cfr. l’articolo: 3. Il monachesimo medievale e la nascita dell’Europa del 24 gennaio 2024)  e una serie di grandi santi (cfr. 6. Islam, crociate e la nascita della coscienza «europea» del 14 febbraio 2024), a realizzare la prima forma di unità dell’Europa, tanto che per diversi secoli essa è stata identificata come «il continente dove si trovano i Cristiani».

… e moderni

A Erasmo da Rotterdam, uno dei grandi «profeti» della
unità dell'Europa, è intitolato un programma di scambi
culturali tra studenti europei, il 
Programma Erasmus.
L’identificazione dell’Europa con la «Cristianità» si rafforzò durante l’Umanesimo e il Rinascimento, grazie anche alle riflessioni dell’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), divenuto poi papa Pio II (cfr. l’articolo 8. Europa, un’«idea» problematica del 6 marzo 2024). Con le scoperte geografiche, l’idea di Europa cominciò a diffondersi nel mondo al seguito dei grandi navigatori Enrico il Navigatore (1394-1460), Cristoforo Colombo (1451-1506), Amerigo Vespucci (1454-1512), Vasco da Gama (1469-1524), ecc.

Fu tuttavia nel Vecchio Continente che l’idea di Europa si diffuse rapidamente:
(a) negli ambienti universitari (dove gli scambi erano già allora molto frequenti) grazie a intellettuali come il grande umanista olandese Erasmo da Rotterdam (1469-1536), l’umanista spagnolo Juan Luis Vives (1492-1540) e naturalmente molti altri;
(b) negli ambienti politici, sull'esempio di Tommaso Moro (1478-1535), del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), fra l’altro frequentatore della corte dello zar Pietro il Grande a San Pietroburgo e propugnatore dell’unità delle Chiese, ecc.;
(c) negli ambienti prettamente religiosi, per esempio con il riformatore svizzero Giovanni Calvino (1509-1564), il teologo protestante ungherese Jan Amos Komensky, detto Comenius (1592-1670), il quacchero anglo-americano Thomas Paine (1737-1809), sostenitore del federalismo e della cittadinanza universale, ecc.;

(d) negli ambienti politico-sociali, per esempio con il filosofo francese Henri de Saint-Simon (1760-1825), sostenitore di un’Europa unita in grado di soddisfare l’interesse generale prima degli interessi nazionali e basata su un Nuovo cristianesimo, il politico cecoslovacco Tomáš Garrigue Masaryk (1850-1937), sostenitore di una «Nuova Europa» che tenesse presente il punto di vista slavo e fondata su una solida moralità, perché «senza religione tutto affonda».

La lista dei precursori o «profeti» dell’Europa unita potrebbe essere ben più lunga, ma non indicherebbe ancora il passaggio dalle idee alla fase realizzativa. Questa sarà illustrata nel prossimo articolo.

Giovanni Longu
Berna, 26.6.2024

06 marzo 2024

8. Europa, un’«idea» problematica

Dubito che in base agli articoli precedenti qualche lettrice o lettore sia riuscito a determinare con certezza i confini e quindi l’ampiezza dell’«Europa» dopo la vittoria di Lepanto (1571) o a percepirne l’«identità», cioè la caratteristica o le caratteristiche identitarie. Ciò è comprensibile, perché non è facile per nessuno indicare limiti geografici precisi a una realtà che non ha confini fisici certi, specialmente ad est, e riuscire a cogliere l’«identità» di un mosaico di popoli eterogenei e di Stati assai diversi tra loro, che stanno ancora prendendo forma. Del resto, l’incertezza e forse la confusione regna tutt'ora. Merita, dunque, prima di andare avanti nella ricerca delle radici cristiane dell’Europa di oggi, fare un po’ di chiarezza al riguardo.

Problematicità dell’«idea» di Europa

Antica carta d'Europa (ca 1580)
In genere, quando si parla di «Europa» senza ulteriori precisazioni, si presuppone che tutti gli interlocutori intendano riferirsi alla stessa realtà. Invece, stando anche solo a un’analisi sommaria dei media occidentali risulta evidente che il riferimento non è univoco. Per molti, infatti, l’«Europa» coincide con l’Unione Europea, per alcuni con i Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa, per altri con quell'entità geografica imparata a scuola, situata tra l’Atlantico e i monti Urali e tra il Mediterraneo e il mar Glaciale Artico, per altri ancora l’Europa finisce a est al confine orientale della Finlandia, dell’Estonia-Lettonia-Lituania, della Polonia, dell’Ucraina, della Romania e della Bulgaria.

A un’attenta osservazione, non si tratta, tuttavia, solo di un’incertezza sui confini, ma anche di una grande diversità di idee sull'Europa, come se, in assenza di una solida riflessione storico-culturale, ognuno si sentisse autorizzato a dare di una storia più che millenaria e di un mondo variegato di popoli, tradizioni e culture una propria interpretazione considerandola fondata. Di qui la grande varietà di «idee» sull'Europa, con o senza la Russia (di cui molti vorrebbero fare a meno, benché ne costituisca circa il 40 per cento), con o senza una parte rilevante della Turchia, con o senza un progetto chiaro e sostenibile per il futuro, ma anche con la paura di scomparire come «potenza» e di non riuscire nemmeno a difendersi in caso di attacco senza l’ombrello protettivo americano.

Tuttavia, molti politici soprattutto in sede europea parlano dell’Europa come se esistesse o potesse esistere una sua idea elaborata ex novo dopo l’invasione russa dell’Ucraina, a prescindere da duemila anni di storia e da una miriade di contaminazioni culturali, filosofiche, linguistiche, religiose, artistiche, scientifiche tra i vari popoli del continente, negando di fatto la tendenza che ha sempre visto l’Europa pacificatrice e inclusiva (e non esclusiva) di popoli, religioni, culture, arti, e ignorando che l’inclusione ha reso l’Europa grande economicamente, politicamente e culturalmente. Senza questa capacità d’integrazione e di sintesi, dell’Europa si avrebbe nel mondo ben altra idea, perché riguarderebbe ancora un luogo di divisioni, di contrasti, di nazionalismi spinti, di conflitti permanenti.

La prima riflessione sull'Europa

Antica carta d'Europa (ca. 1600)
Può forse meravigliare qualche studioso di mitologia greca e qualche lettore, ma il mito di Europa (la bella principessa fenicia rapita da Zeus e portata a Creta) era solo un mito dell’antica Grecia e non riguardava affatto il nostro continente. I Romani non avevano una nozione precisa dell’Europa se non come la terra dei Barbari abitanti oltre il Reno e il Danubio. Non l’avevano i primi cristiani di Roma, della Gallia, della Britannia, dell'Helvetia e dell'Hispania; ma non l’avevano nemmeno Carlo Magno e gli imperatori del Sacro Romano Impero Germanico. Gli stessi crociati, pur provenendo da varie «nazioni» del continente, non si ritenevano ancora «europei». Il senso di appartenenza all'Europa maturò solo fra il XV e il XVI secolo, quando anche la cartografia cominciò ad interessarsi specificamente all'Europa e la circolazione delle idee cominciava a globalizzarsi.

Il primo studioso a indagare sull'identità europea e a elencare alcuni valori di riferimento in cui credere e per cui combattere è stato l’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), eletto papa col nome di Pio II nel 1458, lo stesso anno della pubblicazione della sua opera De Europa. Data l’importanza di quest’opera, se ne tratterà più diffusamente nel prossimo articolo, cercando anche di rispondere a due domande fondamentali: Perché la prima riflessione seria sulla «identità» dell’Europa, sui suoi valori e sulla necessità di difenderli è avvenuta in un ambiente umanistico e cristiano? Perché è emersa nello stesso ambiente l’esigenza di un’Europa sostanzialmente unitaria sotto il profilo culturale e religioso?

Giovanni Longu
Berna, 6.3.2024