Sulla
Riforma nel suo complesso i giudizi sono ancora divisi e probabilmente un
giudizio definitivo non si avrà mai, anche perché è difficile o impossibile
«pesare» con obiettività il contributo
positivo
della Riforma ai cambiamenti intervenuti successivamente nella Chiesa cattolica
(a cominciare dal Concilio di Trento, 1545-1563) e nelle società di tutto
l’occidente, ma anche il danno ch’essa ha prodotto
lacerando profondamente l’ortodossia cristiana, introducendo nel popolo di Dio
divisioni inutili e dannose, alimentando odio e intolleranza, per non parlare
del danno materiale e culturale prodotto con la soppressione di ordini
religiosi, la rimozione di altari e statue, la distruzione di opere d’arte,
ecc.
La Riforma vista da Riformatori
La
buona fede dei grandi Riformatori Lutero, Zwingli, Calvino e altri è fuori
discussione. Essi
volevano ridare alla Chiesa la purezza evangelica delle
origini, ancorare i fondamenti del culto cristiano nel Vangelo, estirpare la
corruzione dilagante, ricondurre il papato alla sua funzione originaria di
guida spirituale, ecc. Lo facevano generalmente con la predicazione e le
dispute teologiche, ma anche con gesti eclatanti. Zwingli, per esempio, a Zurigo sfidò il vescovo di
Costanza che lo minacciava di scomunica perché, pur essendo ancora prete,
conviveva con la figlia di un oste, affermando che i mali della Chiesa hanno
ben altre origini, oppure quando la prima domenica di quaresima partecipò con
degli amici al consumo di una salsiccia, ritenendo che «rompere il digiuno non
è un peccato».
Ulrich Zwingli (ritratto di Hans Asper) |
Per
capire bene la posizione dei Riformatori nei confronti della Chiesa, va
tuttavia ricordato non solo il degrado della gerarchia cattolica e del papato
in particolare, ma anche la situazione politico-sociale svizzera di allora,
caratterizzata dallo sforzo delle nuove forze produttrici nei Cantoni urbani
per liberarsi dallo strapotere della nobiltà patriziale redditiera. Esse erano
rappresentate dai borghesi, dalle corporazioni delle arti e mestieri che
avevano saputo rinnovarsi, dai banchieri, dagli intellettuali, ma anche dai
contadini che aspiravano ad affrancarsi dalla tradizionale servitù della gleba.
I Riformatori erano per il cambiamento e per una maggiore libertà.
Essi
riconoscevano quelle legittime aspirazioni anche all’interno della Chiesa, che
ritenevano doversi rinnovare sia in senso evangelico che in senso democratico.
Era noto che i papi del tempo si comportavano né più né meno come gli altri
potenti della terra. Ambivano infatti a fare della Chiesa più una potenza
politica, che una comunità di fede animata da spirito evangelico. I Riformatori
ne contestavano sia i metodi che gli scopi e i risultati.
Per
essere liberi di agire, i papi cercavano
di stroncare ogni opposizione interna, accentrando tutto il potere nello
loro mani e talvolta anche in quelle dei propri sostenitori (talvolta
familiari, figli naturali compresi) e dichiarando «eretici» quanti sostenevano
che nella Chiesa il potere spettasse al Concilio piuttosto che al papa (com’era
stato sostenuto nei concili di Costanza e di Basilea). Ai vari contestatori si
aggiunsero anche i Riformatori che mal sopportavano la «tirannia papale» e il «partito del papa», anche perché le loro
richieste di cambiamento all’interno della Chiesa non trovavano alcun ascolto a
Roma.
La Riforma vista dalla Chiesa cattolica
Vista
dalla parte della Chiesa di Roma la Riforma era considerata una contestazione
pericolosa e contagiosa perché scardinava dalle fondamenta la vita della
Chiesa, minava in particolare l’autorità del papa e aveva molta presa
nell’opinione pubblica. I Riformatori non capivano che il papa aveva il compito
di difendere la fede con ogni mezzo, come prescrizioni, divieti e scomuniche, e
persino con alleanze militari con altri Stati cattolici come Francia, Spagna,
Portogallo, Austria e, in Svizzera, con i Cantoni cattolici che avevano
dichiarato la loro fedeltà a Roma. Per i cattolici, tutto quel che facevano i
papi in quanto papi sembrava fatto in difesa della fede.
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Il duomo di Zurigo (Grossmünster), dove Zwingli predicò la Riforma |
In
un primo tempo, avvertendo il pericolo di uno scisma, Roma offrì numerose
possibilità di dialogo per evitare divisioni pericolose, facendo scendere in
campo abili teologi, diplomatici e cardinali, ma invano. Zwingli, per esempio, era
perentorio: Cristo, e non Pietro e dunque il papa, è il fondamento della Chiesa
e la salvezza è frutto esclusivo della fede e non di certe pratiche religiose.
Man mano che questi tentativi fallivano le due parti s’irrigidivano e si
allontanavano, preparandosi al peggio.
Uno
dei massimi difensori della Chiesa e grande oppositore della Riforma, il
cardinale di Milano Carlo Borromeo, considerava i protestanti «eretici» e le loro
affermazioni «pestifere eresie» che «come loglio e zizzania hanno occupato i
campi della Religione Cristiana, e quasi soffocano il frumento». Riteneva che
«i Luteri, i Calvini, e mille altri simili mostri orribili, sono l’Idoli delle
misere genti».
Il Borromeo non era
tuttavia tenero nei confronti di certi prelati, che «costituiti da Dio come
siepi e muri per la difesa della vigna», con il loro cattivo esempio e con le
«molte ingiustizie hanno distrutta la vigna». Per lui, però, bisognava
difendere il popolo di Dio soprattutto dai protestanti, «i lupi rapaci che disperdono il gregge del
Signore», «i maestri bugiardi che fuggono la via delle verità».
Per
arginare l’espandersi della Riforma, a tutti coloro che avevano la possibilità
d’influenzare il popolo (quindi il
clero, gli ecclesiastici in generale, gli insegnanti, i medici, ecc.) veniva chiesto di fare la professione di fede nella Chiesa.
Molti, tuttavia, si rendevano sempre più conto che la fede cattolica sarebbe
stata meglio salvaguardata intervenendo al suo interno con una vera riforma
(Riforma cattolica) della gerarchia, del clero e dei fedeli tutti. Per questo
ritenevano necessario un concilio (il Concilio di Trento), un’appropriata
formazione del clero, l’estensione della scuola popolare e la creazione di
scuole d’élite, l’uso del nuovo potente mezzo di diffusione dell’informazione,
la stampa, già utilizzata abbondantemente dai protestanti.
L’esempio di Zurigo
La predicazione dei
Riformatori creava sconcerto e discordie nei centri urbani dove più facilmente
riusciva a fare proseliti. A Zurigo, per esempio, dove dal 1518 predicava Zwingli, in più occasioni si sfiorò la rissa. Per
evitare che i contrasti tra protestanti e cattolici degenerassero, l’autorità
civile, a cui secondo Zwingli spettava la decisione finale, prima di decidere
convocò, tra il 1523 e il 1524 una serie di «Dispute» in cui, alla presenza di
centinaia di persone, furono discusse questioni dottrinali (Sacra Scrittura,
Salvezza eterna, Chiesa, Sacramenti, ecc.) e questioni pratiche (celebrazione
della messa, culto delle immagini, devozioni, ecc.). Al termine delle Dispute
il Consiglio della città diede sempre ragione a Zwingli, adottando di fatto la
Riforma (1525).
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Immagine della furia iconoclasta del periodo della Riforma a Zurigo: abbattimento della Croce di Stadelhofen |
La decisione del
Consiglio di Zurigo non era solo una semplice autorizzazione data a Zwingli e ai suoi seguaci di predicare
e di compiere determinati atti liturgici conformi alla nuova dottrina, ma
comportava anche il divieto di predicare la dottrina cattolica tradizionale e di compierne atti di
culto diversi da quelli consentiti dalla Riforma. Vennero così aboliti e
vietati nel Cantone di Zurigo la messa cattolica, la pratica dei sacramenti ad
eccezione del battesimo, il culto dei santi, il primato del papa, il celibato
dei preti, il digiuno quaresimale, ecc. Una delle conseguenze immediate dell’abolizione
della messa e del divieto del culto dei santi, fu la rimozione dalle chiese delle
immagini ritraenti la Madonna e i Santi, scatenando una furia iconoclasta
che portò alla distruzione anche di pregiate opere d’arte e di ricchi altari.
Zwingli era categorico: le immagini dovevano essere distrutte.
Un’altra conseguenza
dell’adozione della Riforma fu la soppressione degli ordini religiosi e
l’incameramento dei loro beni, per poi destinarli a istituzioni assistenziali
(per esempio mense pubbliche per i poveri). Il Consiglio della città, allo
scopo di moralizzare la vita pubblica, decise anche la revisione (su
suggerimento di Zwingli) del diritto matrimoniale e l’istituzione di un
tribunale matrimoniale, composto da quattro laici e due pastori, incaricato di
vigilare sulla moralità pubblica.
L’esempio di Zurigo fu
subito seguito, più o meno con le stesse modalità, da Berna, Basilea, Sciaffusa,
San Gallo, Glarona, Ginevra, e altre città. Contemporaneamente, tuttavia, i
Cantoni cattolici che volevano restare uniti a Roma si organizzarono per
impedire che la Riforma penetrasse anche nei loro territori. Si stava creando
una pericolosa spaccatura nella (vecchia) Confederazione dalle conseguenze
imprevedibili.
A questo punto, una prima
domanda mi pare ineludibile: era
possibile, tanto per le autorità civili che per i cittadini, aggirare i divieti
e sottrarsi all’obbligo di seguire la Riforma? La risposta sarà data nel
prossimo articolo (Segue).
Giovanni Longu
Berna, 13.6.2018
Berna, 13.6.2018