18 gennaio 2023

Immigrazione italiana 1946-2000: 28. Considerazioni finali: 6. Figli e nipoti principali beneficiari

Nell'articolo precedente, gli immigrati italiani sono stati indicati come grandi beneficiari dell’ondata immigratoria in Svizzera della seconda metà del secolo scorso, ma più di loro a beneficiarne sono state, come più volte ricordato, la seconda e terza generazione. Gli immigrati che sono stati i principali artefici del benessere non ne furono i principali beneficiari perché per molti di loro, soprattutto quelli degli anni Sessanta e Settanta, l’apprendistato nella nuova vita, quella umana e sociale più di quella lavorativa, è stato durissimo e li ha segnati per sempre, anche quando hanno raggiunto la tranquillità e un buon livello di benessere. Per tutti coloro che sono rimasti per motivi famigliari la soddisfazione maggiore è derivata tuttavia dalla costatazione che i loro sacrifici, le loro rinunce e le loro aspettative hanno dato ai propri figli e nipoti la possibilità di non dover rifare il cammino percorso da loro e di approfittare di tutte le opportunità che portano al successo e alla prosperità. La riuscita di questi giovani costituisce uno dei principali motivi di soddisfazione dei vecchi e, per così dire, chiude il loro bilancio in attivo.

Immigrati beneficiari nonostante tutto

Non è il caso di rievocare la dura vita dell’emigrante italiano in Svizzera nei primi decenni del secondo dopoguerra, ma è importante, ai fini della stesura di un bilancio di un lungo percorso, non perdere di vista le difficoltà iniziali che molti immigrati dovettero superare, a causa delle carenze linguistiche, scolastiche e professionali. Molti arrivavano in questo Paese impreparati o disponendo solo di poche e insufficienti informazioni e competenze. L’accoglienza da parte della popolazione locale era spesso fredda se non addirittura ostile, i servizi pubblici e privati di accompagnamento erano scarsi o inesistenti, l’ambiente italiano era caloroso, utile per la sopravvivenza ma non sempre disinteressato.

Col tempo molti immigrati hanno imparato a superare ostacoli e difficoltà, hanno appreso la lingua del posto per la comunicazione essenziale, hanno saputo farsi apprezzare sul lavoro e nella vita, hanno risparmiato in vista di una vecchiaia tranquilla, alcuni si sono persino lanciati in attività autonome (soprattutto nei rami della ristorazione, dell’edilizia, della manutenzione, delle riparazioni, del piccolo commercio) e hanno fatto carriera.

Molti italiani sono rimasti anche dopo il pensionamento. Per loro il bilancio della vita migratoria è stato positivo. Il sigillo del loro personale successo è derivato, tuttavia, come accennato sopra, dall'aver contribuito alla creazione e diffusione di una prosperità diffusa che ha consentito alle seconde e terze generazioni di intraprendere, con uguali possibilità e opportunità dei coetanei svizzeri, lo stesso percorso formativo e professionale.

Non so quanto i giovani italiani con origini migratorie si rendono conto del debito di riconoscenza verso la generazione degli immigrati del secondo dopoguerra, ma resta un fatto incontrovertibile: grazie (anche) a questi negli ultimi anni del secolo scorso sono caduti molti pregiudizi e luoghi comuni sugli svizzeri e sugli italiani, è crollata la xenofobia, è cresciuta la stima per la laboriosità, l’onestà, la professionalità, il gusto degli italiani, il prestigio del marchio italiano è diffuso ovunque, l’italianità della Svizzera si è rafforzata. Questo clima positivo ha consentito alle seconde e terze generazioni di affermarsi alla pari (o quasi) degli svizzeri in tutti i campi. A loro va riconosciuto il successo, ma il debito di riconoscenza verso gli immigrati resta.

Difficoltà iniziali anche per la seconda generazione

Trattando questi temi è facile focalizzare l’attenzione sui successi e minimizzare le difficoltà per raggiungerli. Per questo è doveroso ricordare che anche gli italiani della seconda generazione hanno incontrato inizialmente non poche difficoltà nell'inserimento sociale, scolastico e professionale. Difficoltà ambientali, familiari e personali.

Basti pensare a certi nomignoli con cui venivano apostrofati talvolta i bimbi italiani, alle interminabili e sterili discussioni sulle «classi speciali» (senza tener conto degli scopi e del bene dei bambini), ai dibattiti sulle scuole italiane e sulla difficile scelta tra scuola svizzera e scuola italiana, alle scelte spesso mal orientate dell’apprendistato, ma anche a certe reazioni incontrollate di genitori vittime di pregiudizi nei confronti di tutto ciò che era «svizzero», a certe decisioni poco avvedute sulla scolarizzazione dei loro figli, ad atteggiamenti «indisciplinati» di ragazzi che si sentivano discriminati, al ricorso fortunatamente raro alla violenza, e altri atteggiamenti problematici che finivano per pesare negativamente sulle prestazioni scolastiche e sullo sviluppo dei piccoli italiani.

Uno dei risultati più positivi di quel lungo periodo di difficoltà, di dibattiti e di incertezza fu la presa di coscienza sempre più chiara e assoluta della maggioranza dei genitori italiani, decisa a fare in modo che i loro figli non subissero le stesse difficoltà che essi avevano dovuto affrontare e fortunatamente, ma a caro prezzo, superare. Una delle frasi che echeggiavano frequentemente nei dibattiti pubblici con esponenti svizzeri era questa: «non vogliamo che nostro figlio sia un immigrato come noi, vogliamo che studi e non sia discriminato». Per questi ragazzi gli immigrati erano disposti a fare anche altri sacrifici e persino a non rientrare in Italia, come avevano sempre desiderato.

Il sostegno dei genitori, l’attenzione maggiore delle istituzioni formative ai bisogni degli stranieri (e in particolare degli italiani) e un atteggiamento sempre più consapevole delle autorità svizzere alla necessità di agevolare l’integrazione della seconda e della terza generazione tenendo conto delle esigenze umane, sociali, culturali ed economiche degli stranieri ha consentito, soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso, a decine di migliaia di giovani italiani di superare facilmente difficoltà linguistiche e scolastiche, di prolungare la formazione in scuole e corsi di secondo grado, nelle scuole tecniche superiori e anche all'università e di raggiungere un alto livello d’integrazione sociale e professionale.

Successi e interrogativi

L’integrazione della seconda e terza generazione è avvenuta gradualmente e non poteva avvenire diversamente, perché cambiavano e cambiano continuamente i protagonisti, l’economia e la società. Se si dicesse che oggi gli italiani con origini migratorie sono totalmente integrati non si terrebbe conto di questo divenire, ma si direbbe una cosa in gran parte vera perché queste generazioni non sono più confrontate con le difficoltà che hanno dovuto affrontare gli immigrati del secondo dopoguerra, ma hanno le possibilità di affermazione comuni anche agli svizzeri. E’ possibile che in alcuni stranieri di seconda e terza generazione l’origine migratoria costituisca ancora una residuale difficoltà, ma non va dimenticato che questa origine può rappresentare anche un grande vantaggio in campo linguistico, culturale, sociale, gestionale, commerciale, artistico e persino politico.

Va anche aggiunto che nel raggiungimento del successo in moltissimi casi, soprattutto dopo l’introduzione (1992) nel diritto sia svizzero che italiano della possibilità di possedere la doppia cittadinanza, la naturalizzazione ha costituito una facilitazione, perché rappresentava nell'opinione pubblica la completa integrazione e realizzava le esigenze indicate dal Consiglio federale nel 1987: «Il termine di integrazione […] designa l'accoglienza dello straniero nella comunità svizzera e la disponibilità di quest'ultimo ad inserirsi nell'ambiente sociale svizzero, senza essere costretto a rinunciare ai suoi legami culturali e alla sua nazionalità originaria».

Questo nuovo atteggiamento, che ha avuto larga presa nella collettività italiana residente, ha indotto dal 1992 ad oggi oltre 140.000 italiani ad acquisire anche la cittadinanza svizzera. In certi casi si è parlato di «opportunismo», ma in generale si dovrebbe parlare di «opportunità» che soprattutto i giovani vedono favorevolmente, soprattutto se nati, cresciuti e ben integrati in questo Paese che considerano di fatto la propria patria. Già nel 2000, secondo i dati del censimento della popolazione, il 37 per cento degli italiani residenti in Svizzera era nato in Svizzera (nel 1970 era il 23%). Sempre nel 2000, parecchi professionisti italiani esercitavano attività prestigiose come alti dirigenti, imprenditori, ingegneri, informatici, giornalisti, professori universitari, medici, ricercatori, fisici, matematici, ecc. Molti di questi professionisti avevano la doppia cittadinanza.

Il numero dei doppi cittadini italo-svizzeri è in aumento, anche se rallentato negli ultimi anni, e questo dovrebbe rappresentare un rafforzamento dell’italianità in questo Paese. Ma è davvero così? L’aumento del fenomeno dei naturalizzati pone infatti una serie di interrogativi ai quali non è sempre facile dare risposte adeguate. Per esempio: i «secondi» non naturalizzati vanno considerati figli di un dio minore? La naturalizzazione supera in ogni caso il problema dell’identità dei «secondi»? I doppi cittadini hanno un problema di rappresentanza? L’integrazione europea facilita le risposte? A questi e a simili interrogativi si tenterà di rispondere nel prossimo articolo.

Giovanni Longu
Berna, 18.1.2023