L’agglomerazione di
San Gallo, con i suoi circa 170.000 abitanti è una delle più piccole tra le 8
principali agglomerazioni della Svizzera (la città di San Gallo conta poco più
di 75.000 abitanti), ma non tra le meno importanti sotto l’aspetto storico, religioso,
economico e culturale. Il complesso abbaziale, con la sua
famosa biblioteca e la cattedrale, appartiene al patrimonio mondiale
dell’Unesco. Gli italiani hanno
fornito un contributo importante allo sviluppo della città e della regione.
L’abbazia di San Gallo
San Gallo, come altre città della Svizzera, si
è sviluppata attorno a un monastero, quello appunto di San Gallo, situato nella
Svizzera nord-orientale, in un territorio sulla riva sinistra del Reno e del
Lago di Costanza tra Basilea e San Gallo un tempo disseminato di conventi
importanti come quello di Ognisanti di Sciaffusa, l'abbazia
benedettina di Reichenau nell’isola omonima del lago di Costanza, il
convento di Santa Verena di Zurzach, il monastero dei canonici
agostiniani di Kreuzlingen e l’abbazia di San Gallo,
l’insediamento monastico più importante della regione. All’origine si trattava di un eremo, ossia un
luogo isolato di preghiera, voluto nel 612 da un monaco irlandese, Gallo.
Alla sua morte, nel 645 rischiava di scomparire. A tenerlo in vita,
trasformandolo in un convento, pensò nel 719 il monaco benedettino Otmaro,
che gli lasciò il nome del fondatore. Ricordare queste origini è importante,
perché ad esse risalgono anche i primi germi dell’italianità di San Gallo. Il
monaco Gallo, infatti, nel 612 stava accompagnando il suo maestro e confratello
Colombano in viaggio verso l’Italia. Evidentemente sia l’uno che l’altro
avevano già una certa conoscenza dell’Italia e di Roma come centro della
cristianità.
E’ anche importante ricordare che il convento
fondato nel 614 in Italia, a Bobbio (provincia di Piacenza), da Colombano –
oggi conosciuto come Abbazia di San Colombano, ha avuto in tutto il
Medioevo intensi contatti con l’abbazia di San Gallo. Del resto nella celebre
biblioteca sangallese sono conservati numerosi manoscritti di autori non solo
latini classici, ma anche di «italiani» contemporanei come Prudenzio
(348-413), Cassiodoro (485-585), Paolo Diacono (720-799),
cronache di viaggi, ecc. Gli scambi tra le due abbazie dovevano essere molto
frequenti e intensi perché entrambe rappresentavano in quei secoli due dei più
importanti centri monastici e culturali d'Europa.
Si sa anche che durante il Medioevo esistevano
rapporti commerciali tra San Gallo e il Nord Italia (soprattutto Venezia e Lombardia),
come pure che l’abbazia di San Gallo possedeva delle vigne in territorio
italiano.
Fioritura e decadenza dell’abbazia
L’abbazia di San Gallo ha attraversato periodi
di grande fioritura e di decadenza, legati spesso al nuovo stato acquisito
nella prima metà del IX secolo di «abbazia imperiale» e «principato abbaziale»,
di fede cattolica e di potere assoluto. Esso comportava diversi privilegi,
soprattutto economici, e un vasto territorio sottomesso, ma anche la perdita di
autonomia nella nomina degli abati, ormai appartenenti esclusivamente alla
nobiltà, e la forte dipendenza politica dalle sorti dell’imperatore. Questi
condizionamenti incisero profondamente sui destini futuri dell’abbazia.
Quando il vento della Riforma protestante
investì anche il principato abbaziale, alle considerazioni religiose si
mescolarono aspirazioni all’autonomia politica. In un primo tempo la Riforma
prevalse (1527) e il principato e il principe abate fu costretto a fuggire.
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San Gallo: celebre biblioteca abbaziale |
Immigrati italiani a San Gallo
Nei periodi di grande vitalità intellettuale e
spirituale l’abbazia di San Gallo attirava studiosi e intellettuali da tutta
l’Europa, anche dall’Italia. Due di essi meritano di essere ricordati in
particolare, Poggio Bracciolini (1380-1459), un umanista toscano, e il
cardinale di Milano Carlo Borromeo (1538-1584), grande sostenitore della
Riforma cattolica. Non furono tuttavia molti i viaggiatori «italiani», almeno
quelli noti, che hanno visitato San Gallo prima del Settecento, come pure i
sangallesi in viaggio per l’Italia.
Nel Settecento, quando cominciò a diffondersi
in Europa la voglia di viaggiare, anche i rapporti tra l’Italia e San Gallo
s’intensificarono. Ma fu solo verso la fine dell’Ottocento che gli italiani
cominceranno ad arrivare in gran numero anche a San Gallo, come in molte altre
città della Svizzera, non spinti tuttavia da interessi culturali ma
essenzialmente per motivi di lavoro, come migranti.
L’aumento della popolazione (tra il 1850 e il
1910 sarebbe passata da 17.858 a 75.482 abitanti), i bisogni crescenti e anche
l’esigenza di trasporti più frequenti ed efficienti stimolavano a San Gallo
ogni tipo di attività industriale e commerciale. Si trattava anche di
recuperare il ritardo che molte città avevano accumulato rispetto ad altre
città europee. La manodopera indigena, tuttavia, non era sufficiente per poter
sviluppare nello stesso tempo la rete dei trasporti, l’industria, l’edilizia residenziale
e commerciale, i servizi. Il ricorso alla manodopera estera fu inevitabile. Ben
presto però anche quella proveniente dai Paesi vicini Austria e Germania si
rivelò insufficiente (e molto costosa) e gli imprenditori sangallesi spostarono
la ricerca anche a sud, all’Italia del Nord, resa più vicina dall’apertura
della galleria ferroviaria del San Gottardo (1882).
Molti e malvisti
Sebbene le condizioni di lavoro fossero
pesanti e le paghe basse, gli italiani, tra cui moltissime donne, arrivarono in
gran numero, come evidenziarono i censimenti della popolazione. Nel 1910 la
comunità italiana contava a San Gallo ben 7.337 persone ed era una delle più
consistenti della Svizzera.
Nel 1910, un ispettore di San Gallo incaricato
di verificare le condizioni abitative degli italiani (peggiori di quelle degli
svizzeri e dei tedeschi) diede la seguente spiegazione: gli italiani venivano
sempre più numerosi a lavorare nelle fabbriche di ricamo della regione a
richiesta dei loro padroni «perché questi meridionali si adattano molto bene e
inoltre lavorano a più buon mercato della gente del posto». In alcune fabbriche
essi costituivano la metà e in certi casi i tre quarti della manodopera
ausiliaria. Gli italiani servivano (all’industria, all’edilizia, al genio civile,
ecc.), eppure erano malvisti.
L’ondata antistranieri che aveva investito a
fine Ottocento Berna, Basilea, Zurigo e altre città, non risparmiò San Gallo. E
se a Zurigo nel 1900 si cominciò a parlare di «inforestierimento» (Überfremdung)
e di «invasione» degli stranieri, a San Gallo si parlò chiaramente di
«invasione degli italiani», degli sporchi italiani (schmutzige cinken). Si costituì persino un’associazione di
proprietari di case per cercare di tenere gli italiani lontani dai quartieri
residenziali, riuscendovi in parte, perché non si riuscì a frenare lo spirito
imprenditoriale degli italiani.
Associazionismo solidale e … libero
Per salvaguardare i propri interessi, gli
immigrati cercarono subito di organizzarsi. Nel 1890 venne fondata la «Società degli
Scultori e Marmisti», cui seguirà nel 1892 la «Lega Muratore di San Gallo e
dintorni» e nel 1897 la società di mutuo soccorso denominata «Patria». In
seguito vennero aperti locali, negozi e ristoranti italiani, accessibili anche
agli svizzeri, favorendo in tal modo la reciproca conoscenza e la pacifica
convivenza.
Nel 1905 su
1652 italiani che in Svizzera esercitavano professioni liberali, il maggior
numero risiedeva nei Grigioni (373) e nel Cantone di San Gallo (264),
distanziando di molto Zurigo (117), Ginevra (120) e tutti gli altri Cantoni.
La prima guerra mondiale distolse
provvisoriamente l’attenzione dai problemi migratori, che però si ripresentarono
in altra forma pochi anni dopo. Sotto il fascismo infatti sembrava che
l’immigrazione italiana dovesse essere governata anche a San Gallo dal Fascio
locale, dalla Casa d’Italia e dalla Dante Alighieri (fondata nel 1911).
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San Gallo: manifestazione 1° maggio, primi anni '70 |
Il risultato, saltando ovviamente, molte
tappe, fu l’elevato grado d’integrazione raggiunto dalla comunità italiana e il
riconoscimento dell’apporto notevole che gli italiani hanno dato allo sviluppo
della Città e del Cantone di San Gallo (cfr. Storie di italiani nella
Svizzera Orientale, 2001). Oggi gli stranieri residenti nel Cantone hanno i
diritti politici in materia comunale e per i giovani sono previste procedure
facilitate per la naturalizzazione.
A questo punto è doveroso chiedersi: dove
vanno cercate le tracce d’italianità nell’agglomerazione di San Gallo? La
risposta mi sembra facile: anzitutto nella storia di questa città, ma anche
nelle strade, nelle piazze e nelle costruzioni che gli italiani hanno
contribuito a realizzare, nell’università e in tutti i luoghi dove s’insegna e
si pratica ancora l’italiano (purtroppo in declino!), nelle iniziative delle
associazioni italiane, nei bar e ristoranti in cui si consumano prodotti
italiani, ma soprattutto nella continuità dell’italianità attraverso le seconde
e successive generazioni di italiani.
Giovanni Longu
Berna, 21.03.2018
Berna, 21.03.2018