11 maggio 2022

Immigrazione italiana 1991-2000: 06. Integrazione funzionale alla naturalizzazione

La lentezza del processo integrativo (cfr. articolo precedente era dovuta sicuramente al sistema federale della Svizzera che rallenta tutti i grandi processi decisionali, ma soprattutto a innumerevoli ostacoli di natura giuridica (la legge sugli stranieri del 1931 finalizzata a garantire un rapporto «equilibrato» tra svizzeri e stranieri), politica (lotta contro l'inforestierimento), economica (la «rotazione» della manodopera estera ritenuta per anni conveniente), sindacale (priorità alla protezione dei lavoratori svizzeri sindacalizzati) e sociale. L’ostacolo maggiore non era, però, di natura burocratico-legale, ma sociale e psicologica: la popolazione svizzera, solo nel periodo in esame 1990-2000, cominciava ad essere convintamente favorevole all'integrazione degli stranieri, soprattutto se giovani, in funzione della naturalizzazione.


Naturalizzazione in primo piano

Nell'articolo precedente si è visto come ogni tentativo di apertura verso gli stranieri da parte del Consiglio federale venisse sistematicamente ostacolato. Quando tentò di far entrare il principio dell’integrazione in una nuova legge sugli stranieri (1980), che teneva conto di alcune loro esigenze, ma senza stravolgere la struttura fondamentale della politica immigratoria svizzera per non provocare la temibile contrarietà xenofoba, la legge fu bocciata in un referendum voluto dalle destre (1982).

Per alcuni anni il tema dell’integrazione fu accantonato dalla discussione pubblica, mentre acquistò in attualità e intensità quello della naturalizzazione, balzato improvvisamente all'attenzione dell’opinione pubblica anche grazie al celebre film Die Schweizermacher, di Rolf Lyssy (1978), una satira sugli indagatori e «fabbricatori di svizzeri» (Schweizermacher). Di fatto tra il 1977 e il 1981 il numero delle naturalizzazioni riguardanti gli italiani raggiunsero una media alquanto insolita (oltre 4000 l’anno) sia in riferimento al decennio precedente (poco più di 2700 l’anno) che a quello seguente ( poco più di 2600 l’anno).

Nel frattempo, tuttavia, il Consiglio federale restava convinto che non si dovesse rinunciare a prevedere per i giovani stranieri cresciuti in Svizzera una forma di naturalizzazione agevolata, ossia con una «procedura di naturalizzazione più semplice, la riduzione delle tasse di naturalizzazione nonché condizioni meno severe concernenti residenza e idoneità». Il motivo era presto detto: i giovani stranieri della seconda generazione candidati alla naturalizzazione «sono persone che hanno vissuto molti anni in Svizzera e si sentono quindi Svizzeri, almeno in parte».

Bocciature della naturalizzazione agevolata

Il dibattito sulla naturalizzazione divenne sempre più ampio, sia perché molti osservatori ritenevano ingiustificato l’esiguo numero di naturalizzati rispetto al numero degli appartenenti alla seconda e alla terza generazione, e sia alla luce del forte incremento della popolazione straniera, che nel 1990 contava circa 1.246.000 persone e rappresentava il 18,1 della popolazione totale (nel 1980 tale percentuale era solo del 14,8 per cento). Si sapeva che un tale incremento non sarebbe rimasto inosservato e che una delle misure più efficaci per ridurne la crescita poteva essere la naturalizzazione agevolata. Per tutto il periodo in esame (1990-2000) la naturalizzazione agevolata è stato uno dei temi più dibattuti. 

Poiché il tema riguardava ormai decine di migliaia di giovani stranieri nati e cresciuti qui, da più parti s’invocava un intervento della politica per offrire loro una «naturalizzazione agevolata» (ossia meno burocratica di quella ordinaria e meno costosa). Si esitò a lungo prima di compiere un atto politico perché si pensava che l’opinione pubblica svizzera fosse in maggioranza contraria alla naturalizzazione agevolata per i figli degli immigrati stranieri. Quando nel 1983 il Consiglio federale sottopose al voto popolare un decreto federale sulla revisione del diritto di cittadinanza nella Costituzione federale, che prevedeva la naturalizzazione agevolata, il risultato fu in parte sorprendente perché il Popolo, contrariamente alle previsioni, lo approvò con una percentuale addirittura dell’80,1 per cento di consensi, mentre a bocciarlo fu la maggioranza dei Cantoni.

La maggioranza degli svizzeri temeva una sorta di naturalizzazione
 automatica...  anche se nessuna forza politica l'aveva mai chiesta!

Il consenso popolare ottenuto in quella prima votazione spinse il Governo a sottoporre al voto popolare nel 1994 un altro decreto federale «concernente la revisione del disciplinamento della cittadinanza nella Costituzione federale», ma anch'esso, sia pure con uno scarto minimo, fu ancora respinto dalla maggioranza dei Cantoni, benché nuovamente approvato dal Popolo, sia pure solo col 51 per cento di sì.

Da allora numerosi Cantoni si mossero autonomamente nella direzione di facilitare comunque la naturalizzazione dei giovani stranieri, ma si dovrà aspettare ancora a lungo prima di veder disciplinata a livello federale la normativa sulla cittadinanza per tutti i giovani di origine migratoria di seconda e terza generazione.

Meglio insistere sull'integrazione

Il Consiglio federale preferì a quel momento non insistere più sulla naturalizzazione agevolata dei figli degli stranieri e dedicarsi maggiormente alle misure per favorire la loro integrazione linguistica, scolastica, professionale. Fra l’altro, questo orientamento sembrava prevalere nell'opinione pubblica, che mostrava di aver ormai superato in larga misura i vecchi pregiudizi nei confronti degli stranieri e di preferire comunque per tutti gli stranieri la naturalizzazione ordinaria, sia pure con qualche facilitazione per i giovani.

La scelta del Consiglio federale non fu certamente improvvisata, ma ben ragionata. Era infatti ben a conoscenza che le misure d’integrazione adottate negli anni Settanta stavano dando buoni frutti e ormai schiere di giovani stranieri crescevano accanto ai coetanei svizzeri senza grossi problemi, avevano la possibilità di realizzarsi entro l’ambito di due culture, quella svizzera e quella dei genitori. Conoscendo la lingua del posto e avendo seguito generalmente un regolare apprendistato non avevano difficoltà a trovare un lavoro e intraprendere una professione e una carriera con le stesse opportunità degli svizzeri.

Il Consiglio federale sapeva anche che prima o poi gli stranieri più integrati avrebbero chiesto spontaneamente la naturalizzazione, soprattutto dopo la rimozione (dal 1° gennaio 1992) di uno degli ostacoli più severi, quello del divieto della doppia nazionalità. Del resto era facile osservare, proprio nel periodo in esame, il numero crescente di italiani che chiedevano la naturalizzazione (dai 1802 del 1991 ai 6652 del 2000). Grazie alle misure adottate e agli sforzi compiuti da entrambe le parti era anche possibile notare un netto miglioramento del clima sociale: dalla semplice «con-vivenza» pacifica si stava passando a una vera convivenza collaborativa, senza contrapposizioni e senza pregiudizi.

Alcuni risultati

Che la politica d’integrazione del Consiglio federale riuscisse non solo a motivare e mobilitare tutte le istituzioni pubbliche svizzere, ma anche a produrre risultati certi fu provato a sufficienza dal censimento federale della popolazione del 2000, l’ultimo effettuato col sistema tradizionale dell’indagine totale sull'intera popolazione residente. Data la ricchezza di dati che ha fornito, alcuni di essi saranno esaminati più in dettaglio nei prossimi articoli, non tanto per giustificare la politica d’integrazione del Governo e delle altre istituzioni pubbliche e private che vi hanno collaborato, quanto per testimoniare che la collettività italiana aveva già allora raggiunto un alto grado d’integrazione e costituiva in Svizzera una componente sociale e culturale di alto livello.

Qui basti ricordare che su 1.528.558 stranieri (ossia più di un quinto della popolazione residente totale), circa un quarto di essi era nato in Svizzera (seconda e terza generazione con origini migratorie), molti «stranieri» avevano la doppia nazionalità e risultavano perfettamente integrati a livello professionale, culturale e sociale. Del resto, proprio negli anni Novanta l’«integrazione» era divenuta un requisito per l’ottenimento della nazionalità.

Giovanni Longu
Berna 4.5.2022