La Svizzera è sicuramente il principale beneficiario dell’immigrazione italiana del secondo dopoguerra. Infatti, è soprattutto grazie a questa (che rappresentava la grande maggioranza di tutti gli immigrati stranieri) che ha risolto numerosi problemi di natura non solo economica, ma anche demografica, formativa, sociale. Con l’arrivo in massa di milioni di lavoratori italiani e loro famigliari (anche se molti rientravano definitivamente dopo qualche stagione o anno) ha incrementato nella seconda metà del secolo scorso tutte le attività produttive e la diffusione in ogni angolo del Paese della prosperità, ha garantito l’approvvigionamento energetico, ha intensificato il sistema dei trasporti e delle comunicazioni, ha sviluppato il patrimonio urbanistico ed edilizio, ha migliorato l’equilibrio demografico superando il problema della bassa natalità autoctona, ha rafforzato la coesione nazionale valorizzando l’italianità e ha creato le basi per un ulteriore sviluppo economico, sociale, culturale della Svizzera.
Immigrazione necessaria e concordata
La lunga durata di questi accordi lasciano facilmente
intendere che la convenienza a tenerli in vigore corrispondeva agli interessi
sia della Svizzera che dell’Italia, ma anche degli stessi immigrati che
continuavano ad alimentare i flussi. Pertanto, accusare
la Svizzera di sfruttamento disumano della manodopera straniera o ridurre la
migrazione a uno scontro tra imperialismo capitalistico e proletariato da
sfruttare (come capita di leggere in qualche pagina dedicata al tema) è
paradossale e indice di scarsa conoscenza non solo degli accordi bilaterali tra
la Svizzera e l’Italia, ma anche degli organi di vigilanza (commissioni miste).
Significa soprattutto far torto all'intelligenza e alla dignità dei principali
protagonisti, gli immigrati.
Al riguardo giova ricordare
che quando, prima ancora che finisse la guerra, l’Ufficio federale
dell’industria, delle arti e mestieri e del lavoro chiese al Consiglio federale
(governo) l’autorizzazione per reclutare in Italia, tramite la Legazione
(allora non ancora ambasciata), lavoratori per l’economia svizzera, a tempo
determinato o indeterminato, una delle condizioni vincolanti fu che gli
stranieri venissero assunti alle stesse condizioni salariali e lavorative degli
svizzeri. A queste condizioni fu possibile avviare i flussi immigratori
dall'Italia (mai interrotti fino ad oggi, pur variando d’intensità), dapprima
con accordi verbali, poi con accordi formali e organismi di controllo.
Fu tenendo conto di queste premesse che il 22 giugno 1948 si
giunse alla firma, a Roma, di un vero e proprio accordo di
emigrazione/immigrazione tra i due Paesi. Nel rileggerlo, oggi, insieme ai
resoconti del relativo negoziato, si intuisce facilmente che la Svizzera si
trovava allora in una posizione di forza rispetto all'Italia, perché era in
grado non solo di assumere la manodopera estera di cui abbisognava, ma anche di
fissarne le condizioni. Una, indicata esplicitamente dal Consiglio federale ai
negoziatori, stabiliva che i governi interessati garantissero la disponibilità
a riaccogliere i propri connazionali qualora non fossero stati più necessari
alla Svizzera. Doveva cioè essere chiaro che gli emigranti erano funzionali in
numero e qualità alle esigenze dell’economia e fintanto che l’economia ne
avesse bisogno.
Collaborazione, non «resa»
I negoziatori italiani, non si sa con quanta convinzione,
firmando l’accordo ne accettarono le condizioni, ma per l’Italia non si
trattava di una sorta di atto di resa (come sembra invece ritenere un noto
«storico delle migrazioni») ma di una nuova forma di collaborazione che avrebbe
potuto intensificarsi anche in altri campi oltre la migrazione. In effetti il
governo italiano, allora a guida democristiana, contava di migliorare subito gli
scambi commerciali con la Confederazione, di riuscire a «trovare alla nostra
sovrappopolazione quegli sbocchi che avrebbero permesso […] di poter
ristabilire un certo equilibrio» (come auspicavano anche i partiti
dell’opposizione) e persino di poter «riequilibrare la bilancia dei pagamenti
con le rimesse degli emigrati». Oltretutto il partner dell’accordo sembrava
solido e affidabile.
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La diga Grande Dixence, una delle più grandi del mondo. |
Inoltre, la Svizzera, che risultava la maggiore beneficiaria
dell’accordo, sentiva anche una sorta di obbligo morale di aiutare l'Italia «per non correre il rischio
che il comunismo prenda piede sulla nostra lunga frontiera meridionale».
Di fatto la stampa italiana dell’epoca appariva a maggioranza molto soddisfatta
delle buone relazioni che l’Italia era riuscita a stabilire con la Svizzera.
Del resto il potere di attrazione che l’economia svizzera esercitava sui
lavoratori italiani era sotto gli occhi di tutti. Il flusso di emigrati era
continuo, perché non tutti fuggivano dalla disoccupazione, ma tutti erano
attratti dalla prospettiva di un’occupazione stabile e ben retribuita, anche a
costo di alimentare forme di emigrazione/immigrazione irregolari.
A questo punto, accusare la
Svizzera di sfruttamento disumano della manodopera straniera o ridurre la
migrazione a uno scontro tra imperialismo capitalistico e proletariato da
sfruttare, è paradossale e indice di non conoscenza degli accordi bilaterali
formali e informali tra la Svizzera e l’Italia. Questo non vuol dire che
l’applicazione degli accordi non pose anche problemi seri, ma si trattava
sempre di casi risolvibili dalle istanze previste dagli accordi. Altri
problemi, di natura politica o di diritti umani, non rientravano nella
competenza dei negoziatori, per cui andrebbero visti in un’ottica diversa.
Risultati soddisfacenti
In base agli accordi sull'emigrazione/immigrazione i
risultati positivi furono quasi immediati, come attestano le statistiche ma
anche le numerose testimonianze della stampa dell’epoca e i documenti
ufficiali. In
pochi anni vennero creati in Svizzera 300.000 nuovi posti di lavoro in gran
parte occupati da immigrati italiani. Gli italiani residenti stabilmente soprattutto
nelle grandi agglomerazioni urbane passarono da poco più di 95.000
(1946) a 140.000 (1950) con una tendenza all'aumento. La stampa italiana
dell’epoca attestava una generale soddisfazione delle condizioni di vita degli
italiani, tanto è vero che molti decidevano persino di restare e non esitavano
a prendere moglie o marito di nazionalità svizzera. In effetti i matrimoni
misti passarono da poco più di 1000 (1946) a oltre 2000 (1950) l’anno.
Col tempo, però, soprattutto con l’immigrazione di massa
degli anni Sessanta, i problemi di una difficile convivenza si fecero sentire
sempre di più e il governo svizzero, anche a causa del federalismo, difficilmente
riusciva a trovare soluzioni soddisfacenti. Due concezioni finirono per
polarizzarsi proprio negli anni Sessanta e Settanta, una che auspicava una
soluzione drastica imponendo limiti cogenti all'immigrazione, sostenuta dai
movimenti anti stranieri e l’altra che invocava anch'essa un maggior controllo
dell’immigrazione ma al contempo una maggiore stabilizzazione e integrazione
della manodopera residente e disposta ad integrarsi. Negli articoli precedenti
si è visto chiaramente che la seconda opzione ha finito per imporsi e oggi la
situazione appare alquanto tranquilla e positiva.
Bilancio positivo
Volendo tirare una specie di bilancio, credo che sia sotto
molti aspetti positivo, anche se la storia dell’immigrazione italiana in
Svizzera ha avuto pure momenti dolorosi. In ogni caso dovrebbe apparire evidente
che il contributo degli italiani allo sviluppo della Svizzera nella seconda
metà del secolo scorso è stato determinante. Negarlo significherebbe dar prova
di totale ignoranza di come le grandi opere infrastrutturali e sovrastrutturali
siano state realizzate in quel periodo. Nella costruzione di tutte le grandi
dighe e centrali idroelettriche come pure delle strade e autostrade svizzere,
nella realizzazione di grandi complessi industriali, commerciali e
residenziali, nella sistemazione di ampie zone urbanistiche del secolo scorso
gli italiani hanno versato la maggiore quantità di sudore e sangue. Giustamente
il giornalista basilese Alfred Peter poteva
scrivere nel 1962 in una serie di articoli che senza gli italiani non c’era
benessere (Ohne Italiener kein Wohlstand).
Allo stesso tempo, e per conseguenza, si deve ammettere che
il principale beneficiario degli accordi di emigrazione/immigrazione tra la
Svizzera e l’Italia sia stata la prima, anche se, come si vedrà nel prossimo
articolo, pure la seconda ha tratto enormi benefici.
Giovanni Longu
Berna, 7.12.2022