Ratzinger/Benedetto XVI, almeno in alcuni periodi della sua vita, è stato ottimista sul futuro dell’Europa, ritenuta un continente (dall'Atlantico agli Urali) caratterizzato da una storia, una cultura, una religiosità particolari. Sul finire degli anni Ottanta, l’ottimismo si basava sui alcuni segnali promettenti (ampliamento dell’Unione europea, crescente distensione tra Est e Ovest, caduta del muro di Berlino, successi del sindacato cattolico Solidarność in Polonia, incontro in Vaticano tra Giovanni Paolo II e il capo del Soviet Supremo dell’URSS Michail Gorbaciov, ecc.). Anche il cardinale Joseph Ratzinger, attento osservatore degli eventi interni ed esterni alla Chiesa era fiducioso sul futuro dell’Europa.
L’ottimismo di Benedetto XVI
Benedetto XVI sapeva che oltre alla radice cristiana
(Chiesa, monachesimo, lotta all'islam radicale, conversione dei popoli slavi,
ecc.) l’Europa aveva attinto a piene mani dall'ebraismo, dal mondo classico
greco-romano e persino dalla cultura islamica, elaborando una propria cultura
positiva, fondata sul diritto naturale, sul rispetto dei diritti fondamentali
della persona, sulla capacità di gettare ponti, sulla solidarietà, sulla ricerca
scientifica, sull'arte, sulla bellezza, sul dialogo con le altre culture, ecc. Con
questa eredità, in gran parte cristiana, l’Europa avrebbe superato le
difficoltà presenti e future. Questa era almeno la speranza.
Del resto, con gli occhi dello storico esigente e
dell’osservatore attento, Benedetto XVI vedeva che più volte l’Europa era
caduta e si era sempre risollevata, che
nemmeno ideologie illusorie e la follia distruttrice della seconda guerra
mondiale l’avevano stroncata, anzi avevano incoraggiato lo sprigionarsi di quella
«forza morale positiva» che portò nel dopoguerra alla riconciliazione
tra popoli prima nemici e l’avvio di un processo d’integrazione tendente a rendere
possibile «un mondo più aperto e più grande per l'individuo» e una «prosperità
economica» comune.
Pericoli e soluzioni
Benedetto XVI non poteva, dunque, essere pessimista sul
futuro dell’Europa, ma non ha mai esitato a denunciarne anche i rischi, che
egli vedeva specialmente nel degrado morale, nel dilagare della secolarizzazione,
nell'esclusione di Dio dall'orizzonte dell’uomo e della storia, nella riduzione
dell’uomo a «capitale umano», «risorsa», «parte di un ingranaggio produttivo e
finanziario che lo sovrasta», nel relativismo che indebolisce il discernimento
tra bene e male, vero e falso, giusto e ingiusto, nel nazionalismo (anche
religioso) che invece di valorizzare le differenze in grado di dar vita a una «grande
sinfonia di culture» tende a far vedere negli altri popoli, negli altri Stati e
nelle altre religioni degli antagonisti e persino nemici, invece che
cooperatori per il bene comune, ecc.
Sarebbe bastato prendere sul serio anche solo due paragrafi
dell’articolo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite: «2. Sviluppare tra le
nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio
dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodecisione dei popoli, e prendere altre
misure atte a rafforzare la pace universale; 3. Conseguire la cooperazione
internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere
economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il
rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza
distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione». Purtroppo nei media si parla soprattutto dei diritti degli Stati e molto meno dei diritti delle persone e dei popoli. Lo Statuto dell'ONU contempla a giusta ragione gli uni e gli altri. Se entrambi venissero rispettati e applicati non ci sarebbero più guerre, perché tutti gli sforzi sarebbero orientati alla prosperità comune.
Nello spirito del messaggio di Benedetto XVI non si può dire
che ormai è troppo tardi, ma occorre prendere coscienza subito che il tempo
della «guerra giusta» è finito, che «la guerra è la peggiore soluzione per tutti, non porta nulla di buono per
nessuno, neppure per gli apparenti vincitori», che «alla corsa agli
armamenti si deve sostituire uno
sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale,
culturale ed economico, ridefinendo le priorità e le scale di valori».
Giovanni Longu
Berna, 4.12.2024