04 dicembre 2024

39. L’Europa di Benedetto XVI (5a parte)

Ratzinger/Benedetto XVI, almeno in alcuni periodi della sua vita, è stato ottimista sul futuro dell’Europa, ritenuta un continente (dall'Atlantico agli Urali) caratterizzato da una storia, una cultura, una religiosità particolari. Sul finire degli anni Ottanta, l’ottimismo si basava sui alcuni segnali promettenti (ampliamento dell’Unione europea, crescente distensione tra Est e Ovest, caduta del muro di Berlino, successi del sindacato cattolico Solidarność in Polonia, incontro in Vaticano tra Giovanni Paolo II e il capo del Soviet Supremo dell’URSS Michail Gorbaciov, ecc.). Anche il cardinale Joseph Ratzinger, attento osservatore degli eventi interni ed esterni alla Chiesa era fiducioso sul futuro dell’Europa.

L’ottimismo di Benedetto XVI

Si sa che a quei segnali di apertura e di distensione non seguirono sempre i fatti sperati, tant'è vero che, qualche anno dopo, Ratzinger (1927-2022) parlò di «crepuscolo» dell’idea europea. Divenuto papa nel 2005, tuttavia, come credeva nel fondamento solido e inscalfibile della Chiesa fondata da Gesù Cristo, così era convinto che anche l’Europa, dotata di solide fondamenta, avrebbe superato le difficoltà presenti.

Benedetto XVI sapeva che oltre alla radice cristiana (Chiesa, monachesimo, lotta all'islam radicale, conversione dei popoli slavi, ecc.) l’Europa aveva attinto a piene mani dall'ebraismo, dal mondo classico greco-romano e persino dalla cultura islamica, elaborando una propria cultura positiva, fondata sul diritto naturale, sul rispetto dei diritti fondamentali della persona, sulla capacità di gettare ponti, sulla solidarietà, sulla ricerca scientifica, sull'arte, sulla bellezza, sul dialogo con le altre culture, ecc. Con questa eredità, in gran parte cristiana, l’Europa avrebbe superato le difficoltà presenti e future. Questa era almeno la speranza.

Del resto, con gli occhi dello storico esigente e dell’osservatore attento, Benedetto XVI vedeva che più volte l’Europa era caduta e si era sempre risollevata, che nemmeno ideologie illusorie e la follia distruttrice della seconda guerra mondiale l’avevano stroncata, anzi avevano incoraggiato lo sprigionarsi di quella «forza morale positiva» che portò nel dopoguerra alla riconciliazione tra popoli prima nemici e l’avvio di un processo d’integrazione tendente a rendere possibile «un mondo più aperto e più grande per l'individuo» e una «prosperità economica» comune.

Pericoli e soluzioni

Benedetto XVI non poteva, dunque, essere pessimista sul futuro dell’Europa, ma non ha mai esitato a denunciarne anche i rischi, che egli vedeva specialmente nel degrado morale, nel dilagare della secolarizzazione, nell'esclusione di Dio dall'orizzonte dell’uomo e della storia, nella riduzione dell’uomo a «capitale umano», «risorsa», «parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta», nel relativismo che indebolisce il discernimento tra bene e male, vero e falso, giusto e ingiusto, nel nazionalismo (anche religioso) che invece di valorizzare le differenze in grado di dar vita a una «grande sinfonia di culture» tende a far vedere negli altri popoli, negli altri Stati e nelle altre religioni degli antagonisti e persino nemici, invece che cooperatori per il bene comune, ecc.


Non so cosa pensasse il papa emerito sulla guerra in atto tra Russia e Ucraina, ma certamente condivideva la posizione del suo predecessore Benedetto XV e quella attuale di papa Francesco sull'«inutile strage». Si sa anche che pochi giorni dopo lo scoppio del conflitto, che avrebbe provocato e continua a provocare morti e distruzioni, scrisse all'arcivescovo di Kiev, assicurandogli le sue preghiere perché il Signore «vinca l’accecamento che ha condotto a simili misfatti». Forse ha anche pensato che la guerra avrebbe potuto essere evitata se non si fosse dato seguito ciecamente alle tendenze nazionaliste presenti in entrambi i Paesi e si fosse tenuto fede agli impegni internazionali sottoscritti.

Sarebbe bastato prendere sul serio anche solo due paragrafi dell’articolo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite: «2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodecisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale; 3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione». Purtroppo nei media si parla soprattutto dei diritti degli Stati e molto meno dei diritti delle persone e dei popoli. Lo Statuto dell'ONU contempla a giusta ragione gli uni e gli altri. Se entrambi venissero rispettati e applicati non ci sarebbero più guerre, perché tutti gli sforzi sarebbero orientati alla prosperità comune.

Nello spirito del messaggio di Benedetto XVI non si può dire che ormai è troppo tardi, ma occorre prendere coscienza subito che il tempo della «guerra giusta» è finito, che «la guerra è la peggiore soluzione per tutti, non porta nulla di buono per nessuno, neppure per gli apparenti vincitori», che «alla corsa agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, ridefinendo le priorità e le scale di valori».

Giovanni Longu
Berna, 4.12.2024