19 maggio 2025

1920-1940: L'immigrazione italiana in Svizzera durante il fascismo

In Italia il fascismo si affermò sfruttando non solo il malcontento di molti italiani ai quali la grande guerra aveva cambiato la vita, ma anche il loro basso livello linguistico e culturale (analfabetismo altissimo, attorno al 36% a livello nazionale, con punte del 70% al Sud). Molta gente, infatti, male informata, sperava in una ripresa del lavoro e del benessere promessa da Mussolini. Intanto, subito dopo la guerra era ripresa l’emigrazione verso la Svizzera, ma i flussi si ridussero drasticamente quasi subito perché la Svizzera aveva introdotto misure severe di controllo alle frontiere, ma anche perché l’Italia fascista preferiva dirottare l’emigrazione verso le «colonie». Da allora il numero degli italiani presenti in Svizzera si è progressivamente assottigliato fino al minimo storico toccato sul finire della seconda guerra mondiale. Nel frattempo, tuttavia, il regime fascista ha cercato in molti modi di «fascistizzare» gli immigrati rimasti, riuscendovi però solo in parte.

Il fascismo blandì gli immigrati in Svizzera

Casa d'Italia di Zurigo, costruita nel 1930-31.
Probabilmente l’ideologia fascista non ha mai avuto larga presa tra gli immigrati italiani in Svizzera, nonostante la massiccia adesione (circa il 26% degli italiani residenti) ai circa 25 «Fasci» diffusi in tutta la Svizzera, da Chiasso a Zurigo, Berna, Basilea…». È tuttavia innegabile che oltre le istituzioni pubbliche italiane (Legazione e Consolati) molte associazioni aderirono al fascismo, se non altro per averne i benefici finanziari.

Fu infatti sotto il regime mussoliniano che strutture note come «Casa degli Italiani» o «Casa d’Italia» si moltiplicarono non solo in Ticino (dove ce n’erano ben tre), ma in tutta la Svizzera: a Zurigo, Ginevra, Losanna, Berna, Lucerna, Soletta, San Gallo, Neuchâtel, ecc.

Una delle prime e più importanti Case degli Italiani è quella di Zurigo, costruita nel 1930-31 allo scopo di riunire in un unico edificio le sedi del Fascio, delle Organizzazioni giovanili, del Dopolavoro, della Dante Alighieri, dell'orfanatrofio e di altre istituzioni. Il centro era dotato di una grande sala degli spettacoli, di una «mensa popolare del Fascio», di un bar, di una sala da bigliardo, di aule scolastiche, dell’abitazione del custode, ecc. Il fatto che sia sorta a Zurigo è dovuto non solo alla forte presenza di immigrati italiani in questa città e in questa regione, ma anche alla volontà del regime di contrastare l’influenza antifascista dei numerosi operai e intellettuali che avevano il loro punto di riferimento nel già famoso ristorante «Cooperativo».

Mussolini e la Svizzera

Se il fascismo ha potuto diffondersi in Svizzera ed entrare in numerose associazioni fu dovuto soprattutto alla tradizione liberale della Svizzera, tollerante fino alla prova di comportamenti pericolosi per la sicurezza nazionale da parte di stranieri, ma anche a una certa simpatia iniziale delle autorità federali, che vedevano benevolmente l’atteggiamento dichiaratamente anticomunista di Mussolini. Sapendo che anche qualche membro influente del Consiglio federale, addirittura il ministro degli esteri Giuseppe Motta, provava una certa simpatia nei suoi confronti (come risulterà meglio nel prossimo articolo), non poteva che fargli piacere.

Da parte sua, anche Mussolini, soprattutto agli inizi del suo governo, nutriva una certa ammirazione per la Svizzera, che considerava un valido baluardo contro l’influenza tedesca che detestava come una seria minaccia dell’italianità del Ticino. Per questo, ogniqualvolta se ne presentava l’occasione, non lesinava gli elogi alla Svizzera e al suo popolo laborioso e amante della libertà, sottolineando «i sentimenti di fraterna amicizia dell’Italia verso la Svizzera».

Non c’è dubbio che questi atteggiamenti, forse più formali che sostanziali, contribuissero a rinsaldare i rapporti bilaterali tra i due Stati, ma non va né sottovalutata né esagerata la precauzione della Confederazione e dello stesso Dipartimento politico federale diretto da Motta, di evitare per quanto possibile forti contrasti col regime fascista. Questo spiega, per esempio, la tolleranza dei Fasci, il cui Statuto, come si vedrà appresso, non contrastava con le disposizioni costituzionali sulla libertà di associazione, ma anche la decisione del 1923 del Consiglio federale di vietare sul territorio della Confederazione di portare la camicia nera, per evitare scontri con gli antifascisti.

Fascisti e antifascisti

A Mussolini non poteva ovviamente far piacere che la Svizzera ospitasse con una certa facilità numerosi fuorusciti italiani, i quali si dimostravano ben organizzati ed attivi, specialmente attraverso la rete sempre più fitta delle Colonie Libere Italiane; ma sapeva che la tolleranza della Confederazione era subordinata all'impegno dei profughi di astenersi da ogni attività politica che potesse turbare le relazioni fra il Paese di provenienza e la Confederazione, pena l’espulsione.

Nel 1923 il Consiglio federale vietò le manifestazione in camicia nera
Mussolini, però, sapeva anche che il miglior antidoto all'antifascismo era la diffusione del fascismo per cui favorì fin dal 1922 la formazione pure in Svizzera dei Fasci e per evitare eventuali difficoltà di ordine legale o burocratico impose uno «Statuto dei fasci all'estero» (del 29 gennaio 1928), che conteneva ai primi posti questi due «comandamenti»: «1. I fascisti che sono all'estero devono essere ossequienti alle leggi del paese che li ospita. Devono dare esempio quotidiano di questo ossequio alle leggi e dare, se necessario, tale esempio agli stessi cittadini. 2. Non partecipare a quella che è la politica interna dei paesi dove i fascisti sono ospitati».

Infine, va anche ricordato che i rapporti di vertice non influirono significativamente sulla politica immigratoria federale, che continuava ad essere restrittiva, tanto da indurre l’Assemblea federale ad adottare nel 1931 una legge sulla dimora e il domicilio degli stranieri (entrata in vigore il 1° gennaio 1934) che consentiva al Consiglio federe di adottare misure contro il pericolo d'«inforestierimento» della Svizzera, rendendo di fatto inapplicabile il Trattato con l’Italia del 1868. Poco male, visto che l’immigrazione dall'Italia durante il fascismo era quasi ridotta a zero; molto male quando, finita la guerra, la Svizzera spalancherà nuovamente le porte all'immigrazione soprattutto dall'Italia, ma a condizioni ben diverse.

Giovanni Longu
Berna 19.05.2025