13 giugno 2012

75° della Casa d’Italia di Berna



Per molte istituzioni il traguardo dei 75 anni è statisticamente improbabile. L’associazione Casa d’Italia di Berna l’ha raggiunto e superato, ancora in ottima forma. Segno evidente della solidità delle sue strutture e della validità dei suoi obiettivi. In base allo Statuto, essa ha lo scopo di «attuare tutte quelle forme di attività educative, assistenziali, ricreative e sportive che giovino ad elevare il livello culturale, morale e materiale della collettività italiana».

Per le sue finalità e per il suo coinvolgimento nella conservazione e nella promozione dell’italianità in Svizzera l’associazione Casa d’Italia merita senz’altro il più caloroso incoraggiamento a proseguire e intensificare i suoi sforzi in questa direzione. Anche agli italiani e agli italofoni e italofili penso stia a cuore che la Casa d’Italia, come associazione e come locale, possa ancora godere lunga vita.
In occasione della ricorrenza del 75° anno di attività, ritengo utile proporre ai lettori qualche considerazione sulle origini dell’«Associazione Casa d’Italia» e soprattutto sull’ambiente storico, politico e sociale in cui è sorta, tenendo presente il quadro generale dell’immigrazione italiana in Svizzera e quello particolare della collettività residente a Berna e dintorni.

Origini della Casa d’Italia
Secondo le fonti disponibili, in particolare «una coppia completta e esatta dell’atto originale» (così si legge nel documento-copia conservato nella sede della Casa d’Italia), la costituzione con atto pubblico dell’Associazione «Casa d’Italia» è avvenuta l’11 marzo 1937 nel corso di un’assemblea generale tenutasi non già nella sede attuale, ma «nella Casa degli Italiani» situata alla Marienstrasse n. 4.
Questo particolare può apparire sorprendente. Marienstrasse n. 4 si trova infatti quasi alla parte opposta della città rispetto alla Bühlstrasse n. 57, dove ha sede la Casa d’Italia. Per chi non fosse pratico di Berna, le due strade si trovano molto distanti tra loro, la prima nel quartiere di Kirchenfeld, la seconda nel quartiere della Länggasse.
Viene dunque spontaneo chiedersi che legami possano esservi stati tra le due zone, dal punto di vista della presenza degli italiani. La risposta non è semplice. Infatti apparentemente non risulta alcun legame, nonostante sia provata la presenza di folti gruppi di italiani fin dall’ultimo decennio dell’Ottocento sia nel quartiere di Kirchenfeld che in quello della Länggasse. E’ tuttavia probabile che tra i due gruppi ci fossero dei contatti.
Circa il gruppo di Kirchenfeld occorre ricordare che questo quartiere fu invaso per così dire dagli italiani nell’ultimo decennio dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, perché sono stati soprattutto loro a urbanizzarlo ed edificarlo. Molte ditte, non solo italiane ma anche svizzere, preferivano infatti la manodopera italiana non solo perché costava meno ma soprattutto perché rendeva più di quella indigena. Gli italiani, che fra l’altro lavoravano generalmente a cottimo, erano più esperti degli svizzeri nell’utilizzo del mattone, usato abitualmente in Italia, mentre a Berna cominciava solo allora ad essere preferito all’arenaria tradizionale.
Fu in questa situazione che il 19 giugno 1893 scoppiò la famosa rivolta passata alla storia come Käfigturm-Krawall, in cui un migliaio tra muratori svizzeri disoccupati e loro sostenitori assaltarono dapprima i cantieri dove lavoravano gli italiani e poi anche la prigione (Käfigturm) dove erano stati rinchiusi i più facinorosi. Dovette intervenire l’esercito per sedare la rivolta e proteggere i cantieri degli italiani.
E’ anche utile ricordare che uno dei primi cantieri sorti subito dopo il completamento del ponte monumentale in ferro di Kirkenfeld (1883) fu quello dell’impresa italiana Gaggione, che realizzò oltre al ristorante Kirchenfeld all’inizio della Thunstrasse anche altri edifici nella stessa zona e proprio all’inizio della Marienstrasse. E’vero che si trattava per lo più di ville con giardino per persone benestanti e non certo per lavoratori immigrati, ma si sa che in seguito nel quartiere si stabilirono anche numerosi italiani. Questo basta a spiegare che alla Marienstrasse n. 4 nel 1937 ci fosse la «Casa degli Italiani» di cui parla la fonte? Certamente no. In effetti non è dato sapere con precisione chi fossero i frequentatori di quel locale (o circolo?). Qualche lume al riguardo può provenire tuttavia dalle considerazioni seguenti.
La prima è legata al fatto che nel quartiere di Kirchenfeld aveva sede fin dall’inizio del Novecento l’Ambasciata (allora Legazione) d’Italia e i servizi consolari ed è quindi probabile che nelle vicinanze risiedessero diversi funzionari. E’ verosimile ch’essi frequentassero la sede della Marienstrasse 4, considerata la «Casa degli Italiani», unitamente ad altri concittadini immigrati.
La seconda considerazione concerne i soci fondatori dell’Associazione «Casa d’Italia» che, in base al documento succitato, furono un funzionario italiano dell’Ufficio centrale dei trasporti internazionali a Berna, due cancellieri e un direttore didattico della Legazione, il capo dell’Agenzia commerciale delle ferrovie italiane dello stato a Berna e un imprenditore edile. E’ plausibile che essi dovessero essere persone note e di prestigio non solo per la portata di un’istituzione rivolta a tutti gli italiani, che già nel nome faceva riferimento all’Italia, ma anche per assicurare che l’acquisto della sede alla Bühlstrasse deciso nel corso dell’assemblea costitutiva possedesse tutte le garanzie del caso.

Fondatori di rango
Il fatto che a fondare la Casa d’Italia siano stati dei funzionari di rango e quattro su sei insigniti di onorificenze, due Cav. Uff., un Prof. Cav., un Ing. Comm., potrebbe indurre a pensare che all’origine della Casa d’Italia, come associazione e come sede, non ci fosse il tradizionale spirito associazionistico degli italiani immigrati, ma un disegno politico ben preciso. Una tale interpretazione non può essere esclusa, tanto più che non va dimenticato che nel 1937 si era in pieno regime fascista e anche le Legazioni rispondevano alle esigenze del regime. Non sfuggiva a questi imperativi la Legazione di Berna.
Quale fosse il «disegno politico» è tuttavia difficile da individuare. E’ probabile tuttavia che la Legazione intendesse, attraverso una grande associazione sostenuta dallo Stato, esercitare anche a Berna un certo controllo sull’immigrazione italiana contro un numero crescente di antifascisti, tanto più che era fallito qualche anno prima il tentativo di instaurare un Fascio anche a Berna, come avvenuto in altre grandi città. Del resto, in quest’ottica erano state create o sostenute la «Casa degli Italiani» di Zurigo (1930-1931) e la «Casa d’Italia» di Losanna (1932) e altrettanto avverrà nel 1938 con la «Casa d’Italia» di Lucerna.
A prescindere da un verosimile «disegno politico», non si può tuttavia minimizzare che in quegli anni di grandi difficoltà economiche la Casa d’Italia poteva rappresentare un punto di riferimento sicuro per tanti immigrati in difficoltà, anche per trovare assistenza e sostegno. La Svizzera conobbe infatti uno dei periodi più gravi della sua storia proprio negli anni ’30, in seguito alla grande crisi del 1929, toccando il massimo di persone senza lavoro nel 1936 (124.008 /6,4%) e nel 1937 (110.754 /5,7%). Anche gli italiani di Berna ne furono coinvolti.
E’ dunque comprensibile che per garantire il massimo sostegno alla neocostituita Associazione Casa d’Italia anche il primo Comitato risultasse composto essenzialmente da Cavalieri e Commendatori: Presidente Comm. Dr. Ugo Guida, Vice-presidente Cav. Uff. E. Narni Mancinelli, Segretario Sig. Giovanni Valerio (cancelliere della Regia Delegazione), Cassiere Cav. Uff. Paolo Grassi, Assessori Prof. Cav. Italo Raggi, Comm. Ing. Vittorio Fazio e Sig. Alessio Groggi.
Del resto fu quasi certamente grazie ai fondatori e al primo Comitato se l’Associazione fu in condizione di acquistare lo stabile della Bühlstrasse n. 57, in pieno centro del quartiere Länggasse, tra la parte più residenziale e la zona più popolare e industriale. Chi, in aggiunta al contributo della collettività immigrata, poteva ottenere più facilmente i cospicui contributi dello Stato italiano e della Fondazione Fulcieri Paulucci de Calboli (eroe della prima guerra mondiale, medaglia d’oro al valore militare, morto ancora giovanissimo a Saanen nel 1919) e offrire garanzie alle banche?

Lunga vita alla Casa d’Italia
In questi 75 anni di vita la Casa d’Italia ha conosciuto alterne vicende gestionali e solo in anni recenti ha trovato una connotazione espressamente apartitica. L’articolo 2 dello Statuto è chiaro: la Casa d’Italia è un organismo rappresentativo della collettività italiana stabilita a Berna e dintorni, «senza distinzione di sesso, di religione e di opinioni politiche». Oggi ne danno atto le molteplici associazioni che vi hanno la propria sede e l’essere divenuta un centro d’italianità accogliente e rispettoso della pluralità, confermando per altro una lunga tradizione. Alla Casa d’Italia sono infatti passati oltre a consoli e ambasciatori, parlamentari regionali e nazionali di ogni colore politico, sottosegretari, ministri e persino un presidente della Repubblica, Sandro Pertini nella sua celebre visita del 1981, ancora ben presente nella memoria di chi vi partecipò e ricordata da una lapide sulla facciata dell’edificio.

Alla Casa d’Italia è giusto augurare pertanto lunga vita.

Giovanni Longu
Berna, 13.06.2012