La bocciatura dell’iniziativa Schwarzenbach (7.6.1970),
mentre ha evidenziato l’ambiguità della politica federale verso gli stranieri e
l’ipocrisia di molti svizzeri di votare contro le misure eccessive
dell’iniziativa senza schierarsi apertamente a favore delle rivendicazioni
degli immigrati, ha imposto di fatto a tutte le parti coinvolte (politica,
economia, sindacati, immigrati), con l’eccezione dei sostenitori dell’iniziativa,
una riflessione approfondita della situazione, finalizzata a rendere meno
conflittuali e più stabili, più umani e più sostenibili le relazioni tra
svizzeri e stranieri. Da questo profondo ripensamento emergerà che l’unica
strada percorribile per raggiungere risultati soddisfacenti per tutti era
quella dell’integrazione.
La reazione dell’AN
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James Schwarzenbach, il perdente (1911-1994) |
Solo l’Azione Nazionale (AN) e Schwarzenbach continuarono a
ritenere la riduzione della popolazione straniera per legge la via più sicura
per evitare l’inforestierimento e salvaguardare la purezza della cultura
svizzera. Perciò, già all’indomani della bocciatura della precedente iniziativa
pensarono di lanciarne un’altra, nella speranza di aggiungere al bottino
precedente i voti mancati al successo finale. Tuttavia, a seguito di divergenze
profonde sorte all’interno del partito, Schwarzenbach decise di lasciarlo e
fondare un nuovo partito, il Movimento repubblicano.
L’AN lanciò ugualmente nel 1971 l’iniziativa popolare
«Inforestierimento e la sovrappopolazione della Svizzera», con richieste un po’
più blande di quelle dell’iniziativa Schwarzenbach, ma non meno
xenofoba: riduzione della popolazione straniera a 500.000 unità entro il 1°
gennaio 1978, con una proporzione massima di stranieri per Cantone, escluso
Ginevra, del 12%, 40.000 naturalizzazioni l’anno al massimo, ecc. Anche
stavolta erano esclusi dalle misure previste 150.000 stagionali, 70.000
frontalieri, il personale ospedaliero e i membri delle rappresentanze
diplomatiche e consolari, ma in quattro anni avrebbero dovuto lasciare il Paese
non meno di 300.000 persone tra residenti e domiciliati, in maggioranza
italiani. «Un’iniziativa suicida» la definì Schwarzenbach durante un dibattito
parlamentare.
L’iniziativa AN fu sottoposta al voto popolare il 20.10.1974.
Anche in questo caso la partecipazione fu alta (70,3%), ma l’esito molto più
chiaro della votazione precedente. Infatti fu respinta da tutti i Cantoni e dal
65,8% dei votanti (donne comprese, perché nel 1971 avevano
ottenuto il diritto di voto a livello federale).
La seconda iniziativa Schwarzenbach
Nel frattempo, anche Schwarzenbach e il suo Movimento
repubblicano nel 1972 avevano lanciato un’altra iniziativa popolare, apparentemente
ancor più blanda di quella dell’AN e meno xenofoba, ma proprio per questo
«molto pericolosa». Era infatti denominata: «Per la protezione della Svizzera».
In realtà anche questa iniziativa mirava a contenere la popolazione straniera entro
il 12,5% nell’arco di dieci anni e, in caso di approvazione, nello stesso
periodo circa 300.000 stranieri sarebbero stati «espulsi» dalla Svizzera.
Infatti la Confederazione avrebbe dovuto limitare «la
validità di tutti i nuovi permessi di dimora e di tutte le proroghe di detti
permessi» («in modo che il cittadino straniero non possa far valere alcun diritto ad ottenere il
domicilio») qualora «il numero degli stranieri a beneficio
di un permesso di domicilio o di dimora superasse il 12,5 per cento del numero
dei cittadini svizzeri secondo l'ultimo censimento della popolazione». Per di
più questa iniziativa prevedeva anche la protezione assoluta del lavoratore
svizzero e il divieto di un suo licenziamento «fintanto che nella stessa
azienda e nella stessa categoria professionale siano occupati degli stranieri».
In votazione popolare (13 marzo 1977), l’iniziativa fu
nettamente respinta in tutti i Cantoni e dal 70,5% dei votanti (1.182.820 NO /
495.904 SÌ). Si era recato a votare solo il 45,2% degli elettori, segno
evidente che il presunto pericolo dell’inforestierimento non aveva più presa
sull’elettorato.
Schwarzenbach e gli italiani
Di fronte a queste ripetute sconfitte si potrebbe pensare
che Schwarzenbach si sarebbe finalmente arreso, ma non era il tipo. Ne fui
convinto poco dopo il lancio della sua seconda iniziativa col «Movimento
repubblicano» nel corso di una breve conversazione.
L’occasione si presentò dopo una riunione della Commissione
federale degli stranieri alla quale avevamo partecipato entrambi. Gli domandai
esplicitamente perché ce l’avesse tanto contro gli stranieri e specialmente
contro gli italiani, che sarebbero stati i più danneggiati in caso di
approvazione dell’iniziativa. Mi rispose che egli non ce l’aveva affatto né
contro gli stranieri né contro gli italiani, ma contro uno sviluppo disordinato
ed eccessivo dell’economia svizzera che li sfruttava. Eppure, replicai, la sua
iniziativa avrebbe fatto tanto male a molti immigrati, soprattutto italiani. Se
ne rendeva conto?
Mi ripeté ch'egli non ce l’aveva «con i lavoratori
stranieri, che poveretti vengono qui solo per lavorare e guadagnare, ma con i
datori di lavoro senza scrupoli che fanno venire da noi lavoratori stranieri a
buon mercato, senza alcuna informazione sulla Svizzera, senza alcuna
preparazione, senza nemmeno sapere esattamente cosa avrebbero poi fatto nelle
nostre fabbriche, con la sola prospettiva o l’illusione di restare qui alcuni
anni, isolati nei loro ghetti, guadagnare un po’ di soldi e tornarsene al
proprio Paese».
Lo incalzai dicendogli che trovavo anch’io ingiustificabile
il metodo di molti datori di lavoro che pur di avere manodopera a buon mercato
facevano venire in Svizzera persone senza alcuna preparazione, ma trovavo anche
ingiustificabile mettere tanta paura addosso a centinaia di migliaia di
stranieri e cercare addirittura di rimandarli al paese da cui erano partiti con
grandi speranze.
Schwarzenbach continuava ad essere reticente. Mi resi però
conto che non era affatto preoccupato dei poveri lavoratori immigrati, perché
cercò di farmi capire che tutti quegli stranieri si trovavano qui solo per lavorare,
guadagnare e ritornarsene al proprio paese, tant’è che non mostravano alcun
interesse a conoscere meglio questo Paese, ad imparare la lingua e ad
assimilarsi «al nostro modo di vivere». «Non sono assimilabili», mi disse, e,
«così facendo noi alimentiamo nel nostro Paese le sottoculture, che finiranno
per rovinare inevitabilmente la nostra cultura nazionale». «Un gran numero di
persone non è mai assimilabile, un gruppo limitato sì». Mi sembrava
irremovibile.
Non doveva avere una buona opinione degli italiani, anche se
diceva di stimarli. Riteneva infatti che fossero orgogliosi e potenzialmente
pericolosi perché grazie al loro numero erano in grado di paralizzare intere
fabbriche con lo sciopero. Li considerava politicamente diretti dal Partito
comunista italiano direttamente o tramite associazioni come le Colonie Libere
Italiane (delle quali aveva ben poca stima) e per lui, convinto anticomunista,
questa dipendenza li rendeva ancor più pericolosi.
Giudizio difficile
Su Schwarzenbach è stato scritto molto, forse con una certa
approssimazione, soprattutto per giustificare o quantomeno spiegare perché da
parte degli italiani fosse considerato un razzista, anti italiano, senza pietà
nei loro confronti. E’ difficile dare un giudizio obiettivo su questo personaggio
molto controverso, perché era convinto di agire per il bene del suo Paese, ma
non si sentiva obbligato a rispettare i sentimenti e i diritti degli stranieri.
Verso costoro non provava né rispetto né sensi di colpa, gli erano
semplicemente indifferenti.

Nel 1976, durante la
discussione sulla seconda iniziativa Schwarzenbach al Consiglio nazionale, il
deputato Carlo Speziali (1921-1998), esordì con queste parole:
«Parlo a nome della
commissione in italiano non solo per una ragione di principio che tocca le fondamenta
etiche e linguistiche, e quindi politiche, dei Paese ma anche perché con queste
iniziative anti-inforestierimento si toccano soprattutto le genti italiane che
lavorano nel nostro Paese. Alla fine del 1975, più della metà degli stranieri
che operavano in tutti i settori dell'economia svizzera erano italiani ed è
difficile non intravvedere tra le parole apparentemente bonarie del collega
Schwarzenbach una antipatia - non vorrei dire di più - nei confronti di questi
laboriosissimi italiani che tanto hanno fatto per il nostro Paese, per l'intera
Svizzera prima ancora che per il Ticino, durante tutto il secolo scorso e in
quelle attuale; v'è da chiedersi cosa farebbe l'economia dei Paese - ed è il
solo accenno che faccio all'economia - se non avessimo qui questo milione di
stranieri e in particolare questo mezzo milione di italiani disposti a fare
tutti i lavori che agli svizzeri diventano sempre più désuets ...».
Quando gli dissi che gli stranieri non sono numeri da
trattare col più o col meno, o forza lavoro da far venire quando serve e
rimandare a casa quando non serve più, ma lavoratori, uomini e donne che hanno
sentimenti, speranze e una dignità che va sempre rispettata, Schwarzenbach mi
rispose con un tono pacato ma fermo che quello che pensavo degli stranieri lui
lo pensava degli svizzeri e poiché non c’era posto per entrambi egli aveva
l’obbligo di «battersi per la protezione della Svizzera». Rinunciai a ulteriori
domande.
Fiero di essere svizzero, Schwarzenbach era convinto di
avere una missione da compiere per il bene del suo Paese e nessuno l’avrebbe
fermato. La «democrazia diretta» che gli offriva i mezzi per la sua lotta non
gli diede però mai la vittoria e, rassegnato, nel 1979 si ritirò dalla politica.
Resterà negli annali come un perdente, perché non si rendeva conto che non si
può parlare di manodopera, braccia, forza lavoro, dimenticando che si tratta
sempre di persone, come fin dal 1965 aveva cercato di far capire Max Frisch.
Non aveva capito che l’unica strada percorribile per risolvere il problema
dell’inforestierimento era quella dell’integrazione. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 2 ottobre 2019
Berna, 2 ottobre 2019