La svolta nell’immigrazione italiana in
Svizzera degli anni Settanta, per quanto possa apparire strano, fu dovuta anche
a Schwarzenbach. Basti pensare che la volontà di cercare una qualche forma
efficace di unità nella miriade di associazioni italiane costituitesi
soprattutto negli anni Sessanta riuscì a concretizzarsi solo alla vigilia della
famosa votazione del 7 giugno 1970. Fino ad allora ogni associazione cercava di
ritagliarsi un proprio spazio per giustificare la propria esistenza e il
contributo che riceveva dal proprio sostenitore di riferimento in Italia,
oppure perché intendeva esercitare le attività unicamente in base alla propria
vocazione e missione, come le Missioni cattoliche. Sul finire degli anni
Sessanta, tuttavia, si avvertì da più parti la pericolosità dei movimenti
xenofobi e il bisogno di opporvisi unendo le forze almeno tra le maggiori
associazioni italiane.
Urgenza di unire le forze
Non fu facile arrivare nel 1970 alla
costituzione del Comitato Nazionale d’Intesa (CNI). Per capirne le difficoltà
occorre anzitutto ricordare quanto sia stato determinante l’influsso dei
partiti politici italiani sull’organizzazione degli immigrati in Svizzera (cfr.
https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019_02_10_archive.html).
I primi a capire l’importanza
dell’associazionismo tra gli emigrati italiani in Svizzera erano stati i
fuorusciti antifascisti che fondarono le prime Colonie Libere Italiane (CLI) e,
nel 1943, la Federazione delle Colonie Libere Italiane (FCLI). Finita la
guerra, è stato soprattutto il Partito comunista italiano (PCI) a reclutare in
Svizzera soci e simpatizzanti tra gli immigrati. Il suo attivismo fu subito
imitato dalla Democrazia cristiana (DC) e da altri partiti che finirono per
provocare un’autentica proliferazione di associazioni. Nel 1970 si parlava
della presenza in Svizzera di oltre 3000 associazioni italiane, sorte in gran
parte nel decennio precedente.
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Dopo Schwarzenbach la politica immigratoria svizzera iniziava a cambiare |
Insieme, PCI e FCLI (di orientamento
decisamente filocomunista) non costituivano una forza sufficiente per
rappresentare «gli immigrati italiani», benché fossero sotto il profilo
organizzativo le associazioni più efficienti e le più diffuse. Inoltre, le loro
rivendicazioni «politiche» erano scarsamente efficaci perché pregiudicate sia
dal marcato anticomunismo svizzero e sia dalla diffidenza delle autorità
diplomatiche e consolari italiane, che non ammettevano di essere scavalcate da
espressioni dell’opposizione governativa italiana.
Un altro elemento di debolezza
dell’associazionismo italiano era dato proprio dalla sua frammentazione in
parte legata alla sua origine, perché non solo il PCI e la FCLI avevano una
matrice politica e partitica, ma anche molte altre associazioni. Tutti i
partiti italiani e talvolta singole «correnti», infatti, ritenevano utile
costituire all’estero a fini elettorali associazioni «vicine», legandole a sé
soprattutto con sovvenzioni, frequenti visite di personalità politiche o
amministratori locali, inaugurando sedi, sostenendo manifestazioni e facendo
tante promesse.
Quando, dopo l’accordo italo-svizzero
sull’immigrazione del 1964, il governo italiano era diventato più attento alle
problematiche emigratorie e il governo svizzero, su pressione dei movimenti
xenofobi e delle parti sociali, si apprestava a rivedere radicalmente la sua
politica immigratoria, le principali associazioni di immigrati italiani
ritennero urgente e indispensabile che l’associazionismo potesse far sentire in
forma unitaria la voce degli immigrati italiani su tutti i maggiori problemi
che li riguardavano.
Il percorso fu relativamente rapido perché le
forze trainanti, la FCLI e le ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani),
erano già molto attive per conto loro, Durante il 1969 sensibilizzarono la
collettività italiana immigrata promuovendo incontri, dibattiti, convegni,
prese di posizione. Insieme, agli inizi del 1970, proposero la convocazione di
un Convegno unitario di tutte le (principali) associazioni italiane per mettere
a punto una strategia d’intervento comune e dar vita a un autorevole organismo
centrale di riferimento in cui l’associazionismo potesse riconoscersi e con cui
potesse intervenire sia verso le autorità italiane e sia verso le autorità
svizzere. Per questo era indispensabile che almeno le principali associazioni e
federazioni si dessero un coordinamento nazionale e possibilmente un organismo
centrale rappresentativo e autorevole.
Importanza
e limiti del CNI
Il «Primo convegno nazionale delle
associazioni degli emigrati italiani in Svizzera» si tenne a Lucerna il 25 e 26
aprile 1970. Vi parteciparono oltre 400 delegati in rappresentanza delle
principali associazioni di immigrati in Svizzera, che considerarono il Convegno
come un evento decisivo per l’immigrazione italiana in Svizzera. Il suo
principale risultato fu la creazione del Comitato nazionale d’intesa (CNI).
Disertarono il Convegno o non vennero invitate
non solo tutte le associazioni di destra (neofasciste), ma anche alcune
rappresentanze dell’associazionismo moderato di centro non appartenente
all’area politica delle Colonie libere italiane, introducendo così in questo
grande sforzo aggregativo un elemento di debolezza. Le ripercussioni si noteranno
soprattutto sulla composizione del CNI (in cui dominerà l’area
socialista-comunista) e in seguito sulla scarsa efficacia della sua azione
verso le autorità sia svizzere che italiane.
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Rivendicazioni di immigrati negli anni '70. |
Si trattava di contestazioni e rivendicazioni
destinate a non incontrare il favore degli svizzeri, ma nemmeno delle autorità
italiane perché ritenute in parte infondate e in parte irrealizzabili. La
composizione del CNI lasciava inoltre insoluto il conflitto non solo ideologico
ma anche pratico che opponeva spesso le CLI e le Missioni cattoliche.
Il CNI avrà invece maggiore successo
all’interno dell’associazionismo perché ispirò organizzazioni analoghe a
livello di circoscrizioni consolari (Comitati cantonali d’intesa) e di
agglomerazioni urbane (ad es. Comitato cittadino d’intesa di Berna e regione,
ecc.), che riuscivano a rappresentare a livello locale tutte le associazioni
operanti sul territorio per quanto eterogenee (partiti, sindacati, associazioni
di genitori, centri di formazione, associazioni sportive, ecc.).
Il CNI sarà il principale interlocutore delle
autorità diplomatiche in Svizzera, come i Comitati d’intesa cantonali e
cittadini lo saranno per le rappresentanze consolari. Nei confronti delle
autorità svizzere non ebbero invece praticamente alcuna influenza, come
risulterà fin dal decreto del 21 aprile 1971 riguardante la politica di
contenimento dell’immigrazione. Contribuiranno comunque ad avviare tra gli
immigrati italiani il lungo percorso dell’integrazione.
Verso una nuova politica immigratoria svizzera
L’iniziativa antistranieri di Schwarzenbach ha
provocato una presa di coscienza forte nel campo dell’immigrazione italiana, ma
non è stata da meno anche nella politica immigratoria federale. Di fatto dal
1970 essa ha cambiato decisamente orientamento, abbandonando la pratica della
continua «rotazione» della manodopera straniera e indirizzando l’azione di
governo verso l’integrazione dei lavoratori impiegati stabilmente e delle loro
famiglie.
All’origine di questo cambiamento, che verrà
realizzato gradualmente, non c’è evidentemente solo la pressione esercitata in
quel periodo dai movimenti xenofobi, ma tutta una serie di considerazioni di
natura politica, economica, sociale e umanitaria che il Consiglio federale è
andato facendo nella seconda metà degli anni Sessanta e dovrà continuare a fare
seguendo gli impulsi provenienti dagli esperti, dalle parti sociali, dalle
rappresentanze diplomatiche e consolari italiane e di altri Paesi, dalle chiese
e anche dal mondo degli immigrati, sempre più presenti nel dibattito pubblico.
Un segnale delle buone intenzioni del governo
è stata, nel luglio 1970, l’istituzione della Commissione federale
consultiva per il problema degli stranieri (CFS) per consigliare il
Consiglio federale su questioni legate alla presenza di cittadini stranieri in
Svizzera nell’ambito sociale, economico, culturale, politico, giuridico, ecc.
Una commissione consultiva di esperti e rappresentanti dell’amministrazione,
delle parti sociali e delle associazioni degli stranieri, che avrebbe dovuto fornire
lumi e suggerimenti praticabili anche in materia di integrazione. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 29.01.2020
Berna, 29.01.2020