27 gennaio 2020

27 gennaio: Giorno della Memoria


Sono sempre di meno coloro che hanno un ricordo vivo di ciò che avveniva poco più di 75 anni fa nei campi di concentramento e di sterminio nazisti, i famigerati Lager; molti sono invece coloro che hanno visitato i resti di quei luoghi e hanno sentito dalla viva voce dei sopravvissuti racconti toccanti delle atrocità che vi si consumavano; tutti abbiamo la possibilità di documentarci in vari modi sull’Olocausto.

L'ingresso del campo di sterminio di Auschwitz,  con la
famigerata scritta: Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi.
E’ importante conoscere le nefandezze (dal latino nefandus, indicibile) che sono state compiute nei Lager da uomini empi, malvagi, a danno di innocenti. Solo conoscendole e provandone orrore è possibile sperare che non si verifichino più nella storia dell’umanità.
Io ho avuto l’opportunità di visitare, parecchi anni fa, il campo di concentramento di Dachau, vicino a Monaco di Baviera, e il campo di sterminio di Auschwitz, vicino a Cracovia in Polonia (dal 1979 Patrimonio dell'Umanità protetto dall'UNESCO). Li ho visitati entrambi in compagnia di un grande      studioso delle atrocità naziste, il gesuita  polacco Stanisław Musiał (1938-2004).
A Dachau mi disse che quel ch’era rimasto o ricostruito rassomigliava più a un «hotel» (ambiente asettico, pulito, silenzioso) che al Lager vero (sporco, puzzolente, in cui risuonavano i lamenti e le grida delle vittime di ogni sorta di angheria fino alla morte). I tedeschi ormai schiacciati dagli eserciti alleati, erano riusciti a distruggere gran parte delle prove materiali delle loro atrocità prima che giungessero i soldati anglo-americani e nella sistemazione successiva si doveva tener conto soprattutto dei visitatori.
Di Auschwitz, dove erano morti parenti e amici di famiglia, provava talmente orrore, che non volle accompagnarci (ero con mia moglie) nella visita, non se la sentiva. Anche da quel campo i tedeschi ormai prossimi alla disfatta riuscirono a distruggere gran parte delle installazioni che erano servite per eliminare oltre un milione di esseri umani.
Stanisław Musiał
Di Dachau, di Auschwitz e di altri Lager l’amico Stanislaw conosceva anche molti particolari poco noti. Me ne raccontò solo alcuni, perché ne parlava malvolentieri. Testimoni dei villaggi vicini alla «metropoli dello sterminio» (Auschwitz-Birkenau) gli avevano raccontato che il fumo dei forni crematori oscurava talvolta il cielo e la puzza della carne bruciata si sentiva a chilometri di distanza. Per eliminare le ceneri delle migliaia di cadaveri bruciati ogni giorno, i tedeschi avevano costruito un lago artificiale e coloro che riuscivano ad avvicinarvisi potevano osservare il livello dell’acqua che si alzava costantemente.
Stanislaw era convinto, contrariamente a quel che spesso si è detto e scritto, che molti sapevano fin dagli inizi dei crimini perpetrati nei Lager e riteneva che i responsabili degli orrori nazisti non fossero solo gli autori materiali, ma anche molte altre persone che sapevano, persino tra il clero tedesco e polacco, e non ebbero il coraggio di condannare apertamente l’antisemitismo e le malvagità del regime nazista, ma preferirono tacere.
Ricordare le atrocità dei Lager e tutte le atrocità che sono state compiute e ancora si compiono nel mondo vuol dire oggi parlare chiaro, condannare senza se e senza ma ogni forma di odio razziale, rispettare sempre l’uomo come fine e mai usarlo come mezzo, rifiutare la «cultura dello scarto». Vuol dire anche mettere in pratica l’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».
Giovanni Longu, Berna 27 gennaio 2020

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