La collettività italiana in Svizzera è sempre più integrata, ossia perde
lentamente le caratteristiche originarie e assume sempre più le caratteristiche
della popolazione locale, che contribuisce a modificare nel tempo, non senza
tuttavia lasciare tracce inconfondibili della propria origine. A ben vedere, si
possono scoprire facilmente un po’ ovunque, soprattutto nelle grandi città,
nella loro storia urbanistica, architettonica, industriale, commerciale, ma
soprattutto nella cultura, nell’arte, nel modo di vivere, di vestire, di
nutrirsi, nei comportamenti sociali e persino nel linguaggio comune. Di questa
realtà diffusa si cercherà di scoprirne le origini, in una serie di articoli
riguardanti le principali città svizzere, a cominciare da Zurigo.
Italiani a Zurigo
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La Casa d'Italia di Zurigo |
Una delle principali
componenti straniere è ancora oggi quella italiana, sviluppatasi dagli ultimi
decenni dell’Ottocento e soprattutto dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Si
tratta dei due periodi di più intensa immigrazione dall’Italia, dovuta alla
necessità di manodopera estera di cui l’economia svizzera aveva maggiormente
bisogno.
Quando nell’Ottocento
giunse a Zurigo la prima ondata immigratoria, gli italiani (poche migliaia fino
al 1900) non trovarono una terra senza tracce d’italianità, ma una città che
aveva da tempo intensi rapporti con l’Italia (ancor prima dell’Unità),
soprattutto di natura militare (mercenari svizzeri), commerciale (commercio di
tessuti), industriale (industria della seta), ma anche culturale (intensi scambi
fin dal periodo della Riforma nel XVI secolo). Gli immigrati italiani
dell’Ottocento trovarono una città che aveva da tempo assorbito dai loro
precursori «un contributo umano di qualità sul piano morale, intellettuale,
spirituale, sociale ed economico» (M. Körner). Purtroppo ritrovarono anche
nella città riformata la stessa xenofobia che voleva gli italiani del XVI
secolo (per lo più profughi per motivi religiosi) o sottomessi (in mestieri
subalterni) o innovatori (capaci di creare nuovi impieghi come seppero fare
alcuni specialmente nell’industria tessile e della seta).
Molti italiani avevano
messo a frutto «la loro formazione professionale, le loro
avanzate conoscenze tecniche, i loro metodi nuovi e più razionali di
produzione, come anche le loro relazioni commerciali e finanziarie già
esistenti» ed ebbero enorme successo soprattutto nell’industria tessile, la
spina dorsale dell’industria svizzera, nell’importazione di materie prime e di
articoli di lusso e nell'esportazione di prodotti finiti zurighesi, ma avevano
incontrato anche enormi ostacoli, come per esempio il divieto di diventare
proprietari immobiliari. Per superarli dovevano naturalizzarsi, ma anche questa
strada era piena di difficoltà dovute alla diffidenza degli zurighesi.
Diventerà più facile alla seconda e alle successive generazioni, che
s’integrarono perfettamente.
Zurigo città internazionale
Nel frattempo Zurigo
era diventata un importante centro industriale, commerciale e culturale, noto
anche all’estero. Prim’ancora della costituzione dello Stato federale (1848),
Zurigo possedeva un’ampia rete industriale e commerciale, un’università (1833)
e la prima ferrovia della Svizzera di 16 km fino a Baden (1847). Proprio questo
suo carattere internazionale spinse ben presto la città a dotarsi di
infrastrutture consone al ruolo che stava assumendo come «capitale economica»
della Svizzera (quello di capitale politica era stato attribuito nel 1848 a
Berna).
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Monumento ad Alfred Escher |
In pochi decenni Zurigo divenne un centro nodale per i
principali collegamenti ferroviari delle direttrici est-ovest e nord-sud. Per far fronte alle crescenti esigenze del traffico la città dovette
dotarsi di un’ampia Stazione
centrale (1867-1871), progettata ispirandosi ad un bagno dell’antica Roma con una grande
area centrale chiusa da vetrate e abbellito da un grandioso arco di trionfo.
Davanti all’arco di trionfo venne in seguito eretto un monumento dedicato al
pioniere delle ferrovie svizzere Alfred Escher, nonché fondatore del
Credito Svizzero e sostenitore del grande sviluppo della Zurigo dell’Ottocento.
Una visita ideale di
Zurigo alla ricerca di tracce del contributo dato a questa città dagli immigrati
italiani dell’Ottocento e del Novecento non può che prendere l’avvio dalla Stazione
centrale. E’ qui, infatti, che arrivavano gli immigrati dall’Italia, quando
la città aveva bisogno di manodopera per abbellirsi di nuovi palazzi,
realizzare una moderna edilizia residenziale, sviluppare le industrie. Molti
italiani erano sicuramente addetti all’edilizia. Nel 1894 dovevano essere già
numerosi perché erano impiegati nell’edilizia 3510 stranieri su 13.384 addetti,
ossia il 25%. Molti erano sicuramente italiani (nel 1900 c’erano a Zurigo circa
6000 italiani).
Il quartiere Aussersihl
Prima del 1891, la zona attraversata dalla
ferrovia e dalla stazione centrale, sulla riva sinistra del fiume Limmat (che
nasce dal lago di Zurigo), costituiva il comune di Aussersihl (il Sihl
è un piccolo affluente del Limmat), che si era sviluppato quando Zurigo
cominciava ad espandersi. A
causa di forti debiti, il comune venne assorbito nel 1891 dalla città di Zurigo
e ne divenne il Circondario III (suddiviso poi, nel 1913, in tre circondari:
III, IV e V, ma lasciando al IV il nome Aussersihl). Essendo un
quartiere popolare e operaio (a destra della ferrovia stava sorgendo una zona
industriale), gran parte degli italiani che arrivavano in città si sistemavano
ad Aussersihl, raggiungendo all’epoca dei tumulti anti-italiani (Italiener-Krawall,
1896) una popolazione di alcune migliaia di persone.
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Il quartiere di Aussersihl |
Fin dal 1894, in questa parte della città
esisteva un gruppo organizzato di esponenti socialisti dell'emigrazione
italiana, che fondarono nel 1899 il giornale «L'Avvenire dei lavoratori»
(ora settimanale on line) e nel 1905 anche la «Società cooperativa italiana
di Zurigo» allo scopo di aggregare gli italiani residenti nella regione e
di aprire un ristorante per fornire a prezzi modesti pasti nutrienti agli
operai.
Ben presto il ristorante «Cooperativo»
(conosciuto più comunemente come «Coopi») divenne anche un centro dell’antifascismo
e un luogo d’incontro di personaggi famosi della sinistra europea come Mussolini
(1913), allora socialista, Lenin (1917), Angelica Balabanoff, Giacomo
Matteotti, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat, Antonio Gramsci,
Sandro Pertini, Ignazio Silone, Bertolt Brecht, Max
Frisch e più tardi Ezio Canonica (che fu presidente della Società
cooperativa), il pittore italo-svizzero Mario Comensoli, il giornalista
e uomo politico Dario Robbiani, l’ex Consigliere federale Moritz
Leuenberger e molti altri.
L’immigrazione italiana oggi
La popolazione italiana immigrata e non (prima
e seconda generazione), in continua crescita fino allo scoppio della prima
guerra mondiale, è divenuta a Zurigo il gruppo nazionale straniero più
importante dalla ripresa dell’immigrazione nel secondo dopoguerra, fino a
raggiungere la punta massima agli inizi degli anni ’70 (1970: 37.776 italiani).
Da allora è iniziata una progressiva diminuzione fino al 2015 (14.276 persone).
Nel 2016 si è registrato un leggero aumento degli italiani (14.543).
Soprattutto negli ultimi decenni la
partecipazione degli italiani è attestata in tutti i settori della vita
economica, sociale, culturale e persino politica. Nessun quartiere è più
caratterizzato da una forte presenza di italiani, ma l’italianità è diffusa nel
tessuto sociale e culturale della città, soprattutto grazie ad alcune
istituzioni tutt’ora presenti e attive quali il Consolato generale d’Italia, la
Casa d’Italia (oggi in fase di ristrutturazione), la Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera, l’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo, scuole (Casa
d’Italia, Liceo artistico Freudeberg, Liceo linguistico e scientifico Pier
Martire Vermigli), Società Dante Alighieri, organizzazioni italiane (Comites,
Federazione Colonie Libere Italiane, ecc.), giornali italiani, librerie, negozi di prodotti italiani, bar e
ristoranti.
Le tracce dell’italianità prodotta dagli
italiani e in parte anche dai ticinesi a Zurigo sono praticamente ovunque.
Giovanni LonguBerna, 24
.01.2018