05 settembre 2018

Memoria corta sull’emigrazione italiana


Resto allibito dalla disinvoltura con cui in Italia organi di stampa, membri del governo e personalità politiche varie trattano talvolta il tema della migrazione. Nei confronti di stranieri salvati in mare, in fuga dai loro Paesi in guerra o in miseria e con la speranza di trovare accoglienza in Europa, vengono espressi sentimenti che quando riguardavano i migranti italiani nel mondo non si esitava a chiamare ingiusti e razzisti. Trovo sconcertante che gran parte dell’opinione pubblica, stando ai sondaggi, approvi posizioni e comportamenti vistosamente antistranieri di alcuni membri del governo italiano con la complicità dell’intero Consiglio.

Situazione non facile ma gestibile
Dall'Italia si continua a emigrare... come nel dopoguerra!

Mi rendo conto che la gestione dei «migranti» salvati in mare (che qualche ministro non esita a definire rozzamente in blocco «clandestini») può comportare sforzi organizzativi eccezionali. Che però un Paese ricco e potente come l’Italia (la seconda manifattura d’Europa, uno dei quattro principali contributori netti dell’Unione Europea, uno dei sette Stati membri del G7), anche se ultimamente con un’economia in affanno, non trovi i mezzi per accogliere alcune migliaia di richiedenti l’asilo stento a crederlo. Che poi, per forzare la mano all’UE, il ministro competente Matteo Salvini, abbia «usato i migranti», impedendo loro per giorni di sbarcare da una nave militare in un porto italiano, lo trovo non solo un «atto spregiudicato …con danni permanenti alla credibilità del Paese, alla sua percezione come luogo del diritto e della solidarietà civile» (Ferruccio De Bortoli), ma anche vergognoso. E non mi meraviglia affatto che la Procura di Agrigento abbia intravisto in questo comportamento del Ministro Salvini, fra altri, anche il reato di «sequestro di persona a scopo di coazione».
Scimmiottare un Capo di Stato d’oltreoceano che ha detto “prima i nostri” non fa onore né al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte né ai ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Questi signori non dovrebbero mai dimenticare di governare un Paese che è il risultato di una fortissima migrazione interna e internazionale. Dovrebbero conoscere meglio la storia e ricordarsi che fino a pochi decenni fa gli italiani espatriavano a decine di migliaia ogni anno e che purtroppo continuano a lasciare l’Italia per cercare lavoro all’estero centinaia di migliaia di italiani («oltre 250 mila italiani [nel 2016] emigrano all’estero, quasi quanti nel Dopoguerra», Il Sole 24 ore, 6.7.2017).
La nuova emigrazione dovrebbe preoccupare il Governo italiano, non coloro che tentano di raggiungere un Paese europeo passando per l’Italia. Anzi, dovrebbe essere considerata una fortuna poterne trattenere una parte per sostituire i partenti. Chi sostiene di aver a cuore le sorti degli italiani dovrebbe riconoscere che dall’Italia partono non perché arrivano gli stranieri, ma perché non riescono a trovare occupazioni soddisfacenti in patria. Il Governo, invece di preoccuparsi della fantomatica minaccia d’invasione dei migranti che vorrebbero venire in Europa passando per l’Italia, farebbe bene a preoccuparsi delle conseguenze che stanno provocando la disoccupazione e l’emigrazione: il divario crescente tra nord e sud, il calo delle nascite, l’accentuarsi del processo d’invecchiamento, la diffusa povertà, una penosa rassegnazione soprattutto tra le donne e i giovani. Perché non riesce a concepire e a trasformare gli immigrati in una benefica risorsa per il Paese?

«Prima i nostri» e «a mare gli altri»?
In un mondo globalizzato e in un’Europa che potrà sopravvivere solo integrando tutti i suoi popoli, sventolare la bandiera «prima i nostri», come fanno alcuni Paesi dell’Unione Europea, Italia compresa, mi sembra pretestuoso e fuorviante. Ritengo giusto che gli italiani e più in generale i «residenti» reclamino l’attenzione e l’intervento del governo perché li aiuti a risolvere i loro problemi, ma non mi pare onesto e nemmeno «politicamente corretto» che il governo pretenda di doversi occupare solo o prima di tutto di loro ignorando gli altri, ben sapendo quanto i loro destini s’intreccino sempre più.
Trovo poi incomprensibile che molti italiani si dichiarino fieri di un ministro che ogni giorno va dicendo di sentirsi in prima linea per difendere i confini! «Onore ai nostri uomini e alle nostre donne che DIFENDONO il nostro Paese e i nostri confini di mare, di terra e di cielo», ha scritto recentemente quel ministro. Mi sono subito venute in mente espressioni simili pronunciate molti anni fa da un primo ministro in camicia nera da un famoso balcone in Piazza Venezia a Roma, quando voleva fare la guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Il colmo è che a preoccuparsi dei confini d’Italia non è la ministra della difesa Elisabetta Trenta (appartenente al Movimento 5 Stelle!) ma il ministro dell’interno Matteo Salvini (capo della Lega!) che dovrebbe semmai occuparsi della sicurezza interna.
Non mi permetterei mai di suggerire al Presidente Giuseppe Conte di fare un po’ d’ordine nel suo governo… tanto non ne avrebbe la forza! Fatto sta che Salvini si comporta come se avesse ricevuto lui un’investitura popolare per combattere scafisti, migranti clandestini, finti migranti o migranti veri che si avventurano via mare verso le coste italiane, per cui non teme nemmeno lo scontro con la magistratura che gli muove accuse non da poco («medaglie», però, ha commentato l’interessato!).
E che dire di chi suggerisce persino il «blocco navale delle coste libiche», ossia una vera e propria iniziativa di guerra, in barba all’articolo 11 della Costituzione («L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…») e in barba all’articolo 42 dello Statuto delle Nazioni Unite che lo consente solo in casi di legittima difesa? Ma sono così pericolosi i migranti scalzi senza armi e bagagli che vengono dal mare? Mistero della mente umana!

Pericolo di una deriva autoritaria e rovinosa
Eppure, credo, basterebbe poco per rendersi conto che i problemi degli stranieri in fuga da Paesi in guerra (compresi i conflitti etnici e religiosi) o in miseria (dove le condizioni di vita sono insostenibili) e a rischio di morire nel Mediterraneo sono seri, ben diversi e urgenti di quelli degli italiani. Tutti infatti sanno, ormai, che il «Mare nostrum» degli antichi Romani è diventato per molti infelici migranti un «mare monstrum». Si può accettare nell’indifferenza generale questa trasformazione, solo perché riguarda migranti presunti «clandestini»? Uno sforzo di solidarietà e generosità non farebbe bene oltre che ai migranti, ma anche a chi li accoglie?
Mi auguro, tuttavia, che in Italia si sviluppi presto anche un giudizio critico sul governo altrimenti il rischio di una deriva populista e autoritaria è tutt’altro che esagerato. Il tentativo di risolvere il problema dei migranti non facendoli sbarcare, respingendoli o bloccandoli con la forza prima di partire può essere oltre che brutale e forse illegale anche controproducente perché di fatto sta portando l’Italia di Salvini, Di Maio e Conte all’isolamento in Europa e alla «decrescita infelice». Ciononostante condivido solo in parte il pessimismo di Andrea Camilleri che definisce l'Italia di oggi «un Paese che torna indietro, come i gamberi. È come se avesse cominciato a procedere in senso inverso, smarrendo le importanti conquiste sociali che aveva realizzato in passato». No, l’Italia può ancora invertire la rotta.

I migranti sono una potenziale risorsa
Papa Francesco invita costantemente a «salvaguardare
chi rischia la vita sulle onde in cerca di un futuro»
I migranti che chiedono asilo hanno diritto di essere accolti. Solo in una fase successiva si dovrà stabilire chi ha il diritto di restare o il dovere di andarsene, ma non prima. Respingere i barconi, respingere i migranti che cercano un porto sicuro mi sembra ingiusto perché è come pronunciare una condanna (talvolta a morte) senza un giusto processo e senza dare al presunto colpevole (clandestino) e al presunto «sfruttatore» del benessere italiano nemmeno la possibilità di difendersi. Che fine ha fatto il pensiero del grande milanese Cesare Beccaria contro la tortura e la pena di morte? E come si fa a dimenticare totalmente che l’Italia è cresciuta nel dopoguerra grazie alla solidarietà internazionale e all’accoglienza ricevuta dai suoi cittadini emigrati in tutto il mondo? Gli italiani hanno forse perso la memoria?

L'esempio svizzero
Proprio la storia dell’emigrazione italiana in Svizzera potrebbe essere illuminante. Sul finire dell’Ottocento molti svizzeri emigrarono perché non trovavano in patria lavori confacenti ai loro desideri, nonostante si cominciasse a costruire strade e ferrovie e ad avviare fabbriche di ogni genere. Centinaia di migliaia di stranieri, soprattutto tedeschi, francesi e italiani, sostituirono i partenti e in pochi decenni la Svizzera si ritrovò una rete ferroviaria tra le più fitte del mondo, un’industria competitiva a livello europeo, un Paese in rapida crescita. Nonostante i numerosi detrattori soprattutto degli italiani, una politica chiara, leggi e accordi internazionali appropriati e un grande sforzo d’integrazione riuscirono a fare della componente straniera, in particolare di quella italiana, una fondamentale risorsa per l’economia, la cultura, la società di questo Paese.
Per risolvere grandi problemi – e quello dei migranti lo è sicuramente – occorrono grandi visioni e, forse anche, grandi uomini. Bisognerebbe, per esempio, evitare di concentrare tutta l’attenzione sul fenomeno migratorio perché esso andrebbe inquadrato nella politica generale economica, sociale, culturale, finanziaria. Non è infatti possibile gestire masse d’immigrati per lo più senza un’adeguata formazione senza disporre di un’economia sana e di sistemi formativi e integrativi efficienti. Gli stranieri diventeranno una vera risorsa per il Paese di provenienza, se decideranno di tornarvi, o per il Paese di accoglienza, se decideranno di restarvi, solo se disporranno di una formazione corrispondente alle esigenze dell’economia moderna. Perché tutto il sistema funzioni occorre tuttavia anche una visione d’insieme (europea) coerente e convergente.
Infine, vorrei ricordare un monito che fu rivolto nel 1964 dal Consigliere federale Hans Schaffner ad alcuni deputati svizzeri che ritenevano l’Accordo italo-svizzero sull’immigrazione troppo sbilanciato a favore degli italiani: meglio avere amici che nemici e «anche nella nuova Europa avremo bisogno di amici!». L’Accordo italo-svizzero fu ratificato dal Consiglio nazionale con 117 voti a favore e 26 contrari e l’amicizia italo-svizzera, nonostante tutto è salda.
Giovanni Longu
Berna, 5 settembre 2018