Quando negli anni Sessanta un giornalista di Basilea scrisse
una serie di articoli per dimostrare che una parte consistente del benessere
svizzero era dovuta al contributo lavorativo degli immigrati italiani,
probabilmente pochi gli credettero. E anche quando il consigliere federale Hans
Schaffner nel 1970 avvertiva i connazionali che se a giugno avessero votato
sì all’iniziativa di Schwarzenbach avrebbero compiuto una sorta di «suicidio economico»
non devono essere stati molti a cambiare opinione. Eppure era vero: gli
italiani costituivano la spina dorsale di numerose attività economiche nel
settore industriale e nei servizi. Ma perché erano così importanti?
Importanza dei numeri
Le costruzioni costituivano
negli anni ’70 una delle principali attività economiche degli immigrati italiani |
L’importanza degli italiani in quel
periodo emerge ancor più chiaramente se si pensa che nel 1970 il tasso di
attività degli italiani (ossia la proporzione delle «persone attive» dell’intera
collettività italiana) era molto più elevato di quello degli svizzeri,
rispettivamente più del 60% e meno del 50%. Era ovvio, perché gli immigrati erano
generalmente giovani e altamente produttivi, in maggioranza (specialmente gli
stagionali) senza figli e senza persone anziane a carico.
Di più, gli italiani residenti
erano anche grandi consumatori e quindi un fattore di sviluppo economico, ma
anche molto prolifici (a differenza degli svizzeri) e quindi importanti per
l’equilibrio demografico (nel 1970, dopo le facilitazioni per i
ricongiungimenti familiari convenute nell’accordo italo-svizzero del 1964, c’erano
in Svizzera oltre 150 mila bambini italiani che avevano meno di 15 anni). Non
tutti però, come si è già visto e si osserverà più avanti, erano ben disposti
verso gli italiani, anzi se ne chiederà con nuove iniziative popolari la
limitazione, nonostante si sapesse che in molte attività erano indispensabili.
Principali attività svolte
L’importanza dei lavoratori
italiani immigrati agli inizi degli anni Settanta emerge tuttavia soprattutto
osservando le attività che svolgevano. Esclusa l’agricoltura, che occupava solo
poche migliaia di italiani, la forza lavoro italiana risultava fondamentale in
alcuni rami strategici del settore secondario e dei servizi.
Il ramo delle costruzioni (edilizia
e genio civile) era certamente uno dei più importanti perché vi lavoravano,
secondo i dati del censimento federale della popolazione del 1970, ben 83.827
italiani, nella stragrande maggioranza stagionali. Sull’attività edilizia e di
genio civile si è soffermata spesso la letteratura sull’immigrazione italiana
del secondo dopoguerra dando quasi l’impressione che fosse se non l’unica la
principale attività praticata dagli italiani e si caratterizzasse per lo
sfruttamento dei lavoratori, l’alloggio in luride baracche, l’isolamento, il
divieto del ricongiungimento familiare, i bassi salari e altri aspetti simili.
In realtà la maggior parte degli
italiani lavorava nel settore industriale manifatturiero (148.860 addetti) e in
alcuni comparti del terziario (72.841). Il ramo metalmeccanico (siderurgia,
meccanica, elettrotecnica, orologeria, ecc.) ne occupava da solo più di 74.000.
Altri rami con una forte presenza di italiani e italiane erano l’industria
tessile e dell’abbigliamento, l’industria alimentare, la lavorazione del legno
e della carta, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, i trasporti, la
ristorazione e gli alberghi, le attività paramediche e di pulizia.
Altre attività
La maggior parte degli italiani svolgeva
lavori poco qualificati non essendo in possesso di una adeguata preparazione
professionale. Erano pertanto pochi gli italiani che svolgevano attività
qualificate: muratori, tornitori, fresatori, congegnatori meccanici,
disegnatori, tecnici, insegnanti, ecc. Alcuni di essi ricoprivano funzioni di
quadri intermedi nelle fabbriche e nei servizi. Eppure, al censimento federale
della popolazione del 1970 ben 55.082 persone avevano dichiarato di aver
seguito una formazione professionale completa, 11.874 una scuola di maturità e
1933 un corso di laurea.
Quasi la metà delle donne italiane occupate lavorava in
fabbrica (47%), soprattutto nel ramo tessile e della confezione, nell’industria
alimentare, nella metalmeccanica, nell’orologeria, nella vendita al dettaglio,
nel ramo dei servizi di pulizia (alberghi, ristoranti, ospedali, edifici
amministrativi) e dei servizi domestici (collaboratrici domestiche, portinaie e
addette alla pulizia e a servizi vari).
Paura della crescita degli italiani
Chi seguiva l’andamento economico,
lo sviluppo dei consumi e il diffondersi del benessere non aveva dubbi sulla
necessità del ricorso alla manodopera estera per conservare ed eventualmente accrescere
ulteriormente il tenore di vita raggiunto, ma anche sulla necessità di migliorare
le condizioni di vita e d’integrazione sociale degli stranieri e in particolare
degli italiani.
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Negli anni ’70 la
maggior parte degli italiani era occupata nell’industria manifatturiera (foto CISAP) |
Molti ambienti politici,
sindacali, ecclesiali e giornalistici si resero conto nel 1974 che, per non arrivare
nuovamente impreparati alla votazione popolare sulla terza iniziativa
antistranieri (riduzione del numero di stranieri a 500.000 unità, gli
stagionali a 150.000 e i frontalieri a 70.000), com’era avvenuto in parte alla
vigilia della votazione sull’iniziativa Schwarzenbach del 1970, occorresse una
più intensa ed efficace informazione dei votanti svizzeri. Si deve anche all’intensa
informazione e mediatizzazione (su 22 manifesti diffusi ben 20 erano contrari
all’iniziativa e solo due a favore) se questa nuova votazione (20 ottobre 1974)
fu respinta dalla grande maggioranza del popolo svizzero (65,8% di no e
34,2% di sì) e da tutti i Cantoni e segnò il
destino dell’Azione nazionale.
Fu un segnale importante anche l’alta partecipazione al voto
(70,3%, di poco al di sotto di quella del 7 giugno 1970) e fu interpretato dagli
ambienti politici e dall’opinione pubblica come una seria indicazione del
progressivo regresso della xenofobia. A questo successo aveva contribuito
certamente anche il governo che era riuscito già nel 1973 a stabilizzare la
forza lavoro straniera e si era proposto, proprio alla vigilia della votazione,
di stabilizzare l’intera popolazione straniera entro il 1980.
La crisi economica
Non fu necessario attendere tanto per stabilizzare il numero
degli stranieri a un livello «equilibrato» (ausgewogen, come si diceva
allora, senza che il concetto venisse mai precisato) o comunque più basso. Il
bisogno di ristrutturare soprattutto le grandi imprese (cfr. articolo
precedente) e la crisi intervenuta a causa della crisi energetica del 1974-75
produssero una perdita di almeno 300.000 posti di lavoro, molti dei quali già
occupati da italiani.
Poiché la valanga di licenziamenti, che colpì
particolarmente gli stranieri (italiani in primis), suscitò in ambito
politico e mediatico un’accesa discussione, il tema verrà trattato criticamente
in un prossimo articolo. Una delle conseguenze più importanti per molti
immigrati italiani fu tuttavia la decisione tutt’altro che facile di rientrare in
Italia o restare in Svizzera. (Segue).
Giovanni Longu
Berna, 13.05.2020
Berna, 13.05.2020