13 maggio 2020

Immigrazione italiana 1970-1990: 13. Italiani e attività economiche


Quando negli anni Sessanta un giornalista di Basilea scrisse una serie di articoli per dimostrare che una parte consistente del benessere svizzero era dovuta al contributo lavorativo degli immigrati italiani, probabilmente pochi gli credettero. E anche quando il consigliere federale Hans Schaffner nel 1970 avvertiva i connazionali che se a giugno avessero votato sì all’iniziativa di Schwarzenbach avrebbero compiuto una sorta di «suicidio economico» non devono essere stati molti a cambiare opinione. Eppure era vero: gli italiani costituivano la spina dorsale di numerose attività economiche nel settore industriale e nei servizi. Ma perché erano così importanti?

Importanza dei numeri
Le costruzioni costituivano negli anni ’70
una delle principali attività economiche
degli immigrati italiani
Per poter rispondere a questa domanda bisogna ricordare che nel 1970 gli immigrati italiani residenti stabilmente (583.855) costituivano col 53,6% (nel 1960: 59,2%) ancora la maggioranza assoluta degli stranieri residenti (cfr. articolo precedente). Aggiungendo ad essi i 101.555 stagionali e i 25.743 frontalieri (agosto 1970), è facile capire che agli inizi degli anni Settanta gli italiani, anche soltanto in forza del loro numero complessivo (711.153), costituivano davvero una parte consistente dell’intera popolazione residente.
L’importanza degli italiani in quel periodo emerge ancor più chiaramente se si pensa che nel 1970 il tasso di attività degli italiani (ossia la proporzione delle «persone attive» dell’intera collettività italiana) era molto più elevato di quello degli svizzeri, rispettivamente più del 60% e meno del 50%. Era ovvio, perché gli immigrati erano generalmente giovani e altamente produttivi, in maggioranza (specialmente gli stagionali) senza figli e senza persone anziane a carico.
Di più, gli italiani residenti erano anche grandi consumatori e quindi un fattore di sviluppo economico, ma anche molto prolifici (a differenza degli svizzeri) e quindi importanti per l’equilibrio demografico (nel 1970, dopo le facilitazioni per i ricongiungimenti familiari convenute nell’accordo italo-svizzero del 1964, c’erano in Svizzera oltre 150 mila bambini italiani che avevano meno di 15 anni). Non tutti però, come si è già visto e si osserverà più avanti, erano ben disposti verso gli italiani, anzi se ne chiederà con nuove iniziative popolari la limitazione, nonostante si sapesse che in molte attività erano indispensabili.

Principali attività svolte
L’importanza dei lavoratori italiani immigrati agli inizi degli anni Settanta emerge tuttavia soprattutto osservando le attività che svolgevano. Esclusa l’agricoltura, che occupava solo poche migliaia di italiani, la forza lavoro italiana risultava fondamentale in alcuni rami strategici del settore secondario e dei servizi.
Il ramo delle costruzioni (edilizia e genio civile) era certamente uno dei più importanti perché vi lavoravano, secondo i dati del censimento federale della popolazione del 1970, ben 83.827 italiani, nella stragrande maggioranza stagionali. Sull’attività edilizia e di genio civile si è soffermata spesso la letteratura sull’immigrazione italiana del secondo dopoguerra dando quasi l’impressione che fosse se non l’unica la principale attività praticata dagli italiani e si caratterizzasse per lo sfruttamento dei lavoratori, l’alloggio in luride baracche, l’isolamento, il divieto del ricongiungimento familiare, i bassi salari e altri aspetti simili.
In realtà la maggior parte degli italiani lavorava nel settore industriale manifatturiero (148.860 addetti) e in alcuni comparti del terziario (72.841). Il ramo metalmeccanico (siderurgia, meccanica, elettrotecnica, orologeria, ecc.) ne occupava da solo più di 74.000. Altri rami con una forte presenza di italiani e italiane erano l’industria tessile e dell’abbigliamento, l’industria alimentare, la lavorazione del legno e della carta, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, i trasporti, la ristorazione e gli alberghi, le attività paramediche e di pulizia.

Altre attività
La maggior parte degli italiani svolgeva lavori poco qualificati non essendo in possesso di una adeguata preparazione professionale. Erano pertanto pochi gli italiani che svolgevano attività qualificate: muratori, tornitori, fresatori, congegnatori meccanici, disegnatori, tecnici, insegnanti, ecc. Alcuni di essi ricoprivano funzioni di quadri intermedi nelle fabbriche e nei servizi. Eppure, al censimento federale della popolazione del 1970 ben 55.082 persone avevano dichiarato di aver seguito una formazione professionale completa, 11.874 una scuola di maturità e 1933 un corso di laurea.
Quasi la metà delle donne italiane occupate lavorava in fabbrica (47%), soprattutto nel ramo tessile e della confezione, nell’industria alimentare, nella metalmeccanica, nell’orologeria, nella vendita al dettaglio, nel ramo dei servizi di pulizia (alberghi, ristoranti, ospedali, edifici amministrativi) e dei servizi domestici (collaboratrici domestiche, portinaie e addette alla pulizia e a servizi vari). 

Paura della crescita degli italiani
Chi seguiva l’andamento economico, lo sviluppo dei consumi e il diffondersi del benessere non aveva dubbi sulla necessità del ricorso alla manodopera estera per conservare ed eventualmente accrescere ulteriormente il tenore di vita raggiunto, ma anche sulla necessità di migliorare le condizioni di vita e d’integrazione sociale degli stranieri e in particolare degli italiani.
Negli anni ’70 la maggior parte degli italiani era occupata
nell’industria manifatturiera (foto CISAP)
Di ben altro avviso erano i movimenti xenofobi che vedevano soprattutto nella crescita del numero di stranieri un pericolo grave per la società e l’identità svizzera, per cui bisognava intervenire con un voto popolare per limitarlo. Molti sostenitori di questa posizione xenofoba erano anche convinti che una parte consistente di italiani fosse inadatta all’integrazione perché non dimostrava alcuno sforzo per imparare la lingua del posto e preferiva rinchiudersi in sé stessa e nelle tante associazioni che si erano venute creando soprattutto nella seconda metà degli anni Sessanta. In effetti era innegabile lo stato d’incomunicabilità tra svizzeri e italiani, ma purtroppo molti svizzeri non si rendevano conto che il tentativo di parlarsi e di vivere insieme andava fatto anche da loro.
Molti ambienti politici, sindacali, ecclesiali e giornalistici si resero conto nel 1974 che, per non arrivare nuovamente impreparati alla votazione popolare sulla terza iniziativa antistranieri (riduzione del numero di stranieri a 500.000 unità, gli stagionali a 150.000 e i frontalieri a 70.000), com’era avvenuto in parte alla vigilia della votazione sull’iniziativa Schwarzenbach del 1970, occorresse una più intensa ed efficace informazione dei votanti svizzeri. Si deve anche all’intensa informazione e mediatizzazione (su 22 manifesti diffusi ben 20 erano contrari all’iniziativa e solo due a favore) se questa nuova votazione (20 ottobre 1974) fu respinta dalla grande maggioranza del popolo svizzero (65,8% di no e 34,2% di sì) e da tutti i Cantoni e segnò il destino dell’Azione nazionale.
Fu un segnale importante anche l’alta partecipazione al voto (70,3%, di poco al di sotto di quella del 7 giugno 1970) e fu interpretato dagli ambienti politici e dall’opinione pubblica come una seria indicazione del progressivo regresso della xenofobia. A questo successo aveva contribuito certamente anche il governo che era riuscito già nel 1973 a stabilizzare la forza lavoro straniera e si era proposto, proprio alla vigilia della votazione, di stabilizzare l’intera popolazione straniera entro il 1980.

La crisi economica
Non fu necessario attendere tanto per stabilizzare il numero degli stranieri a un livello «equilibrato» (ausgewogen, come si diceva allora, senza che il concetto venisse mai precisato) o comunque più basso. Il bisogno di ristrutturare soprattutto le grandi imprese (cfr. articolo precedente) e la crisi intervenuta a causa della crisi energetica del 1974-75 produssero una perdita di almeno 300.000 posti di lavoro, molti dei quali già occupati da italiani.
Poiché la valanga di licenziamenti, che colpì particolarmente gli stranieri (italiani in primis), suscitò in ambito politico e mediatico un’accesa discussione, il tema verrà trattato criticamente in un prossimo articolo. Una delle conseguenze più importanti per molti immigrati italiani fu tuttavia la decisione tutt’altro che facile di rientrare in Italia o restare in Svizzera. (Segue).
Giovanni Longu
Berna, 13.05.2020